Cultura
Antisemitismo e principio di responsabilità

Riflessioni sulla lettera internazionale, firmata da quasi duecento organizzazioni, rivolta ad Elon Musk, contro l’antisemitismo su Twitter

L’Osservatorio Solomon sulle discriminazioni, Progetto Dreyfus, l’Unione Associazioni Italia-Israele, l’Unione Giovani Ebrei d’Italia (UGEI) e il Centro di documentazione ebraica contemporanea (CDEC), tra gli altri, hanno sottoscritto una lettera internazionale, a sua volta firmata da quasi duecento organizzazioni, rivolta ad Elon Musk, contro l’antisemitismo su Twitter. Sulle vicende, anche piuttosto incostanti e travagliate, dell’ingresso del magnate del web come azionista di maggioranza e amministratore delegato della piattaforma digitale, le voci si sono sprecate in queste ultime settimane. Il suo ondeggiare tra dichiarazioni eclatanti (come quella per la quale avrebbe inteso licenziare un grande numero di dipendenti) e un’esposizione mediatica sussultoria ma permanente, lasciano capire che Musk voglia proiettarsi ben oltre la sua già consolidata posizione di imprenditore del digitale (così come della meccatronica e dei comparti ad alto investimento di nuove tecnologie), semmai pensando anche ad eventuali orizzonti politici. Non vi è alcun riscontro certo a quest’ultimo riguardo ma rimane il fatto che l’avanzata digitalizzazione che inizia a caratterizzare una parte crescente dei paesi a sviluppo avanzato, e la capacità che essa ha di influenzare, quanto meno indirettamente, i processi di decisione politica, oltre ovviamente a quelli di ordine economico, fa riflettere sulla visionarietà che supporta gli esponenti più in vista del capitalismo postindustriale.

Anche per questa ragione risultano essere per nulla neutri i dibattiti e i confronti di opinioni che attraversano quotidianamente l’info-sfera. I social network sono al centro di queste dinamiche. La «piazza virtuale» sta oramai sostituendo quella materiale, con ricadute di lungo periodo nella formazione dell’opinione pubblica, ossia delle idee correntemente condivise da un grande numero di persone. Quello che è conosciuto anche come «capitale simbolico», ossia l’insieme dei saperi, delle competenze e delle cognizioni disponibili in un determinato tempo per una specifica parte della società, si incrocia con la sua utilizzazione per indirizzare le scelte politiche delle collettività. Le peculiarità dell’info-sfera non sono solo la smaterializzazione delle relazioni sociali, la velocissima circolazione della comunicazione (buona o cattiva che sia), la moltiplicazione – potenzialmente all’infinito – delle informazioni così come delle falsificazioni ma, anche e soprattutto, le molteplici ricadute sui modi in cui si interpreta il mondo. E quindi, sui criteri con i quali lo si trasforma, intervenendo sui processi che ne accompagnano lo sviluppo collettivo.

A tale riguardo, l’antisemitismo, così come il più generale panorama dei tanti pregiudizi, assume non solo nuove vigore ma anche inedite maschere. Se il digitale non è solo una modalità di comunicazione ma un nuovo paradigma nelle relazioni sociali, dove sono le nozioni stesse di fonte, verificabilità, attendibilità delle notizie a subire più di una trasformazione, allora non ci si può sottrarre dalla riflessione sugli effetti che tutto ciò ha sulla plurisecolare tradizione dell’avversione contro gli ebrei. Non a caso, in questi ultimi anni, ed anche in coincidenza con la pandemia – che ha incrementato esponenzialmente le teorie complottiste e la loro pervasività sociale – lo sviluppo dell’antisemitismo come manifestazione di senso comune ha conosciuto un ulteriore rafforzamento. Beninteso, i social network non solo non vanno demonizzati ma non costituiscono di per sé un problema, a patto – tuttavia – che non se ne trascuri la loro natura di habitat, ossia di luoghi, ancorché virtuali, quindi smaterializzati, dove comunque si costruiscono e si rigenerano relazioni interpersonali non meno durevoli. Chi sta nel web,e frequenta abitualmente lo spazio virtuale, subisce un sovradosaggio di sollecitazioni informative, a prescindere dalla loro verificabilità. A stretto giro, oramai non è neanche più solo questo il vero problema, poiché la percezione traslata delle cose, così come la cosiddetta «realtà aumentata» («l’arricchimento della percezione sensoriale umana mediante informazioni, in genere manipolate e convogliate elettronicamente, che non sarebbero percepibili con i cinque sensi», così come affermano Vito Di Bari e Paolo Magrassi), sembrano a volte potere prescindere dalla verifica stessa dei dati di fatto, per sostituire ad essi l’esperienza delle sensazioni, delle emozioni e delle prese di posizione viscerali.

Twitter è un elemento strategico in questi processi. La diffusione e la letterale proliferazione di tweet, in una sorta di catena endemica, ovvero di trasmissione multipla dei messaggi che contegono, è peraltro una delle fondamentali chiavi del successo del social network di Musk. In questo quadro, quindi, si inserisce la questione della recrudescenza dell’antisemitismo. Già nel 2018, l’Anti-Defamation League (ADL) aveva individuato almeno 4,2 milioni di tweet antisemiti in un solo periodo di 12 mesi. Nelle analisi a campione era poi risultato che il social network presentasse almeno un quarto di contenuti antisemiti maggiore di quello delle piattaforme concorrenti, con un bassissimo tasso di rimozione. In altre parole, anche quando i tweet antisemiti vengono segnalati dagli utenti per violazione dei termini di servizio di Twitter, vengono presi pochi provvedimenti.Spesso nessuno.

La lettera a firma collettiva, infatti, afferma che: «dalla sua creazione, Twitter è diventato uno dei social network più importanti al mondo. Si tratta di una piattaforma online unica, a cui possono partecipare cittadini, governi e media attraverso conversazioni sane e produttive. Sfortunatamente, alcuni usano questa “piazza della città moderna” per diffondere l’odio. Noi, le 180 organizzazioni per i diritti civili e no profit firmatarie, crediamo che i discorsi di odio e discriminazione non debbano essere tollerati nei social media, e che lo scambio di idee su Twitter non possa compromettere la sicurezza così come il benessere degli utenti, e in particolare di quelli che fanno parte di comunità vulnerabili. Coerentemente con questo principio, le politiche e le linee guida di Twitter dovrebbero proteggere gli utenti di fede ebraica da contenuti antisemiti e molestie. Ciò è particolarmente urgente in considerazione dell’aumento del numero di incidenti antisemiti nel corso degli ultimi anni. Ad esempio, nel solo periodo compreso tra il 2020 e il 2021, gli incidenti antisemiti sono aumentati del 75% in Francia, del 78% nel Regno Unito, del 35% in Australia e del 30% in Germania. Negli Stati Uniti, l’antisemitismo ha raggiunto un livello record con 2.717 incidenti registrati, corrispondente ad un incremento del 34% rispetto all’anno precedente.

Attualmente, le politiche di monitoraggio praticate da Twitter utilizzano criteri vaghi, che si basano su una definizione poco chiara di antisemitismo e su un limitato tasso di applicazione di quelle che sono le indicazioni rivolte alla repressione dei fenomeni d’odio. Di conseguenza, l’antisemitismo è stato in grado di diffondersi liberamente sul social network. Per lottare efficacemente contro l’antisemitismo, deve essere definito chiaramente cosa si intenda con tale espressione. A tale riguardo chiediamo a Twitter di aggiornare le sue politiche contro l’odio online. Ciò può avvenire adottando la definizione universalmente riconosciuta di antisemitismo espressa dall’Alleanza Internazionale per la Memoria dell’Olocausto (IHRA), in quanto strumento di riferimento per contrastare il dilagare dell’odio verso gli ebrei. Quasi quaranta paesi, tra cui Stati Uniti, Canada e la Francia, hanno già approvato o adottato ufficialmente la definizione di antisemitismo dell’IHRA. Inoltre, la stragrande maggioranza dei gruppi della società civile, in prima linea nella lotta all’antisemitismo, incoraggiare l’adozione e l’uso di questa definizione. La definizione dell’IHRA identifica vari tipi di antisemitismo, inclusa la giustificazione dell’assassinio di ebrei in nome di ideologie radicali, la negazione dell’Olocausto e la negazione del diritto del popolo ebraico all’autodeterminazione nello Stato di Israele.[…] Alla luce di queste minacce, l’adozione della definizione IHRA fornirebbe a Twitter uno strumento efficace, neutro e sfumato per proteggere gli utenti ebrei dall’odio e dalla violenza che il contenuto antisemita può invece istigare. Anche per tali ragioni chiediamo a Twitter di onorare il suo impegno ad essere un’”agorà moderna”, adottando la definizione di antisemitismo dell’IHRA».

A corredo di questa presa di posizione si aggiungono poi le polemiche per la decisione con la quale Elon Musk ha decretato la riammissione dell’account di Donald Trump nella piattaforma. Sabato 19 novembre 2022, infatti, Twitter aveva pubblicato un sondaggio in cui poneva alla platea degli iscritti una domanda all’apparenza molto diretta: «reintegrare Donald Trump: sì o no?». Oltre quindici milioni si sono espressi nel merito, decretando la vittoria del sì per il 51,8 per cento, contro il 48,2 dei dissenzienti. «Il popolo ha parlato. Trump sarà reintegrato. Vox Populi, Vox Dei» ha quindi affermato Musk il giorno dopo, ufficializzando il ritorno sul social network dell’ex presidente degli Stati Uniti dopo un banno di quasi due anni deciso in seguito alla sua responsabilità nell’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021.

I molti critici rispetto a questa operazione hanno sottolineato come gli utenti di Twitter siano 237 milioni. Di questi, solo la metà sarebbe venuta a conoscenza del singolare referendum, Una minima parte di essi, poi, vi ha concretamente preso parte, senza che vi fossero strumenti di verifica sull’attendibilità delle procedure di manifestazione delle singole volontà. Qualcuno ha voluto sottolineare che un tale modo di procedere, che riguarda senz’altro un’azienda privata  – quale Twitter è – ma le cui scelte si riflettono sull’intera collettività, costituisca «una vera minaccia alla democrazia rappresentativa, che richiama il sempre più presente concetto del “fare ciò che chiedono i cittadini”, non importa se questo vada contro lo Stato di diritto, contro la Costituzione, contro i fondamenti stessi di una nazione. È la totale rinuncia al concetto anglosassone di accountability, traducibile con “responsabilità” nell’accezione di “capacità di rendere conto” delle proprie azioni. La rinuncia alla propria responsabilità di persone dotate di potere, in virtù del quale è sacrosanto prendersi il merito di decisioni particolarmente positive mentre è disdicevole, quasi indegno assumersi le colpe di una scelta sbagliata o contraria all’interesse pubblico». Si tratta della «delega al popolo che decide da sé stesso per sé stesso, in modo che i potenti possano restare potenti senza dover rispondere ad alcuno e gli individui siano gli unici responsabili di verdetti contro il proprio interesse. È la degenerazione della democrazia, della libertà per come il mondo ha provato a costruirle, ovvero con un insieme di regole condivise e costrutti sociali legate assieme da una struttura denominata Stato» (così Alessandro Balbo, su Linkiesta.it). I toni, come si può osservare, sono molto accesi. Di certo non si può slegare l’antisemitismo dalle molte questioni che riguardano gli indirizzi politici del tempo corrente, a costo – altrimenti – di neutralizzare aprioristicamente qualsiasi pratica di contrasto dell’odio online.

 

Claudio Vercelli
collaboratore

Torinese del 1964, è uno storico contemporaneista di relazioni internazionali, saggista e giornalista. Specializzato nello studio della Shoah e del negazionismo (suo il libro Il negazionismo. Storia di una menzogna), è esperto di storia dello stato di Israele e del conflitto arabo-israeliano.


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