Hebraica Nizozot/Scintille
Bereshit/Genesi 1: la creazione come battaglia primordiale contro il caos

Discorso intorno all’ordine, alla giustizia e all’uomo: dalla creazione del mondo al tikkun ‘olam

Viviamo tempi caotici. Il nostro orizzonte mentale è occupato da guerre e naufagi in mare, da cataclismi ambientali dovuti a un clima impazzito, dai timori che nuove imprevedibili pandemie siano dietro l’angolo (magari portate da animali cosmopoliti tipo zanzare o pipistrelli)… È diffuso un vago sentore apocalittico. Convivere con il caos sta diventando per tutti un fondamentale esercizio spirituale, e a filosofi e scienziati offre il destro per ripensare teorie a loro congeniali. Il Kaos, dunque, per citare il memorabile film del 1984 dei fratelli Vittorio e Paolo Taviani, titolo che faceva eco a un appunto di Pirandello nel quale si auto-definiva “figlio del caos”, per via del nome d’una contrada girgentina che storpiava quel termine greco. Da qui la domanda: esiste una declinazione ebraica del concetto di caos? O meglio, di questo anti-concetto, se concettualizzare è già frutto di un principio ordinatore, mentre il caos è esattamente il suo opposto: il disordine, l’irrazionale che deborda, si ribella e dà guerra a ciò che chiamiamo ragione (che in greco è ricondicibile al logos). Esiste l’idea di caos nel Tanakh, nella Bibbia ebraica? Soprattutto, cosa resta nelle sacre scritture ebraiche del mito ancestrale della “battaglia contro il caos” – noto in tedesco come Chaoskampf – che si trova diffusissimo nelle letterature antiche, da quella assiro-babilonese a quella egizia?

Caos significa ‘vuoto’ e ‘abisso’ e gli unici veri corrispettivi che abbiamo in ebraico sono tohu e tehom, sebbene l’endiadi che rende meglio il concetto resta quella espressa in Bereshit/Genesi 1,2: ve-ha-aretz haità tohu va-vohu ve-choshek ‘al-panè tehom ossia “la terra era informe e vuota e il buio [ricopriva] la faccia dell’abisso”. Il solenne incipit del primo libro della Torà dice, sì, che Iddio benedetto creò in principio il cielo e la terra, ma anche che in principio v’era tohu va-vohu, un informe e tenebroso vuoto, un indistinto caos. Da qui può cavarsi una mole di ipotesi, che da esegetiche ardiscono farsi teologiche e secondo le quali la creazione stessa, invero, non fu che un processo di trasformazione di un caos in un cosmos, del disordine in un mondo ordinato, dove chiaro è il confine tra gli enti (realtà astrali e vegetali, animali e umane). Non fu, tuttavia, un processo lineare, apollineo e sereno; piuttisto fu un processo violento e tumultuoso, una vera e propria guerra del Divino con… le forze che, appunto, son dette caotiche e irrazionali, dipinte poi dal nostro senso morale come “forze del male”. Ecco la creazione come Chaoskampf. Dimenticate la filosofica e quasi magica creatio ex nihilo o creazione dal nulla. Altro che nulla! Il caos è pur qualcosa, anzi è tutto ciò che fa resistenza all’ordine e, soprattutto, agli dèi. Sì, perché i miti della lotta contro il caos – in tutte le letterature antiche, tranne quella biblica – sono teogonie, spiegazioni della nascita e della sopravvivenza degli dèi, più che cosmogonie ossia teorie della nascita del mondo. Come tali, sono elaborazioni politeiste dove l’ordine del mondo riflette l’ordine (e la gerarchia) tra divinità, un ordine che esse garantiscono esattamente in virtù di quel Chaoskampf. La vera differenza tra la narrativa biblica e quelle ancor più antiche mitologie è che l’autore di Bereshit – ki-vyakol, se così posso esprimermi, data la complessità di un siffatto discorso esegetico – ha espunto ogni traccia di quel politeismo e delle connesse teogonie, volendo di contro mostrare che l’ordine del mondo dipende ed è il risultato di una Divinità che lo ha liberamente voluto porre in essere, “creare” nel senso forte del termine. Tale creazione avviene pertanto come un processo ordinato, una graduale e complessa separazione degli elementi naturali: anzitutto del tempo nello schema dei sei giorni, e poi delle acque, del firmamento (con i luminari) e della terra, e infine ecco la collocazione dei tre regni (vegetale, animale e umano) sul suolo terrestre.

Questo racconto – tra le pagine letterarie più strepitose di tutti i tempi, capolavoro assoluto esso stesso di creatività poetica e filosofica – porta, tuttavia, ampia traccia di materiali che ben possiamo ritrovare nella mitologia babilonese-assira, come Enumà elish, un ‘poema di creazione’ che narra come il dio Marduk sia diventato il primo e il più glorioso degli dèi creando il mondo attraverso la lotta contro Tiamat, nome di una forza ancestrale identificabile come il Caos (ripetendo il gesto di suo padre Ea – dio dei destini – che aveva incatenato e ucciso Apsu, traducibile come ‘abisso’). Tiamat vuole a questo punto vendicare Apsu e genera mostri da mandare contro Ea e gli altri dèi, i quali scelgono Marduk come loro eroe-guerriero… il mito è complesso ma nell’epopea teo-cosmogonica si legge: “Quando in alto il cielo non era stato ancora formato, e di sotto la terra non aveva nome, allora Apsu, il generatore, e Tiamat, la madre di tutti loro, le loro acque insieme si mescolarono, ecc. ecc.”. Gli studiosi ritrovano un rimando e una citazione di queste ‘acque mischiate’ proprio in Bereshit/Gn 1,2 dove è scritto che “la terra era informe e vuota, un buio esteso sull’abisso, e il soffio divino [ruach ha-Elohim] aleggiava/sorvolava/velava sulla superficie delle acque”; le acque, dunque, che non furono affatto create dal Creatore ma esistevano già! La creazione fu, in tal senso, un attività ordinatrice/separatoria, come si legge nei successivi versetti 4-10: la luce fu separata dalle tenebre, e il firmamento dalle acque, e ancora “le acque dalle acque” ossia le acque sopra il firmamento dalle acque sotto il firmamento… Solo eloquenza poetica o non piuttosto una chiara citazione, per nulla cifrata, di quell’antica epopea babilonese di cui abbiamo letto un passo-chiave? Certo, come lo studioso Giovanni Rinaldi fece a suo tempo notare, i termini pur semanticamente collegati – tehom e Tiamat, nel nostro caso – non sono, nelle due narrazioni, portatori della medesima concezione ‘epica’ del mondo e del divino. Verissimo. Ma proprio quel collegamento fa risaltare la ri-significazione che il racconto biblico ha apportato, pur conservando traccia dell’antico mito.

Questo non è l’unico passo biblico che evocherebbe, sottotraccia, l’idea del Chaoskampf nella storia ebraica della creazione (ma forse ora sarebbe meglio dire della formazione – yetzirà – del mondo). Gli studiosi rimandano anche ai versetti 13-17 di Tehillim/Salmi 74 e al salmo 89; e persino al libro di Giobbe (26,7-13) dove è detto chiaramente: “[Chi] ha disteso il settentrione sul vuoto (‘al-tohu) e ha sospeso la terra sul mulla; [Chi] raccoglie le acque nelle Sue nubi ma le nubi non si squarciano sotto il loro peso… Un cerchio [Io] tracciò sulla superficie delle acque fino al limite tra luce e tenebre…”; in seguito sono qui evocati alcuni mostri marini chiamati Rahav e Bariach, mentre Levithan e Behemot appaiono in Giobbe 40, forse residui di quei mostri che Tiamat avava generato per combattere contro Marduk. Sono solo ipotesi esegetiche, ma che aprono la possibilità di nuove prospettive teologiche, suggerendo modi più sfumati di concepire il Divino, meno immobile e idilliaco di come un monoteismo ellenizzato abbia fin qui indotto a pensare. E poi, nella qabbalà, non troviamo ben quattro termini diversi, e non sinonimi, per ‘creazione’: assià, yetzirà, berià e atzilut? E non è questa cosmogonia tetramorfa un modo per drammatizzare la venuta al mondo di un mondo che è tutt’altro che armonia e perfezione? Infine, quest’idea agonica della creazione non sollecita e preconizza un tiqqun ‘olam che è, a sua volta, il modo ebraico con cui vogliamo trasformare un mondo caotico in un mondo più ordinato, ossia più giusto?

Massimo Giuliani
collaboratore

Massimo Giuliani insegna Pensiero ebraico all’università di Trento e Filosofia ebraica nel corso triennale di Studi ebraici dell’Ucei a Roma


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