Hebraica Robe da Rabbi
Cosa sono esattamente gli ebrei? Come definire un ebreo?

Chi è ebreo? Questa la prima di una serie di domande che abbiamo posto ai nostri “rabbi”, che hanno cercato di rispondere il più brevemente possibile a questioni centrali nel mondo ebraico. Missione impossibile? Vedremo!


 

Alla domanda: “Chi è ebreo?” Posso scegliere di rispondere attraverso una giusta e netta definizione halachica o aprire la riflessione al di là della Halachà, non ignorandola, ma comprendendo l’impatto, lo scontro e l’incontro tra la stessa Halachà e la realtà sociale ebraica e non ebraica degli ultimi due secoli di storia del mondo occidentale.

La risposta halachica è semplice eppure, allo stesso tempo, composita: “È ebreo chi nasce da madre ebrea (o può dimostrare una ascendenza ebraica matrilineare) o si converte all’ebraismo secondo l’Halachà. ”

Se sulla ascendenza matrilineare possono esserci pochi dubbi, sebbene non sia del tutto vero per alcune zone del mondo dove non sempre possiamo risalire a prove documentarie ebraiche ed è questo il caso della Polonia o della Russia, la realtà diventa ancora più complicata quando siamo costretti a confrontarci con il concetto stesso di conversione secondo l’Halachà perchè la definizione identitaria diventa problematica lì dove si incontra con la politica, con l’azione rabbinica che diventa politica, con la teologia che diventa burocrazia.

È ebreo colui che, per esempio,  si converte con un tribunale rabbinico halachicamente valido, cioè composto da tre rabbini, ma che amministrativamente non è riconosciuto dal Rabbinato centrale di Israele? È questo, per esempio, il caso del mancato riconoscimento amministrativo di molti tribunali rabbinici privati di Israele, alcuni presieduti da importanti e riconosciute autorità rabbiniche internazionali come il talmudista Rav Adin Steinsaltz, che tuttavia non sono ebraicamente riconosciuti dal Rabbinato centrale di Israele. È ebreo colui che viene convertito dal tribunale rabbinico presieduto da Rav Steinsaltz? Dovremmo rispondere in maniera affermativa dal punto di vista halachico, ma ci troviamo a dover confrontarci con una risposta negativa da un punto di vista burocratico che non permette a coloro i quali sono stati convertiti da bet din simili di poter godere dei diritti di alyà.

Siamo di fronte ad una zona grigia identitaria dove halachicamente si è ebrei, ma “nazionalmente” no.

Nella nostra realtà può succedere anche l’opposto: essere socialmente ebrei, ma non esserlo halachicamente. È questo il caso dei figli di “matrimonio misto”, ovviamente con padre ebreo e madre non ebrea. In questo caso non esisterà un riconoscimento halachico della persona, però la stessa società riconoscerà costantemente nella persona il cognome ebraico e la sua appartenenza al popolo ed alla storia di Israele.

Il Midrash Shocher Tov, Siman 114 ricordandoci i motivi per i quali Israele ha avuto il merito di essere redento dalla schiavitù egiziana afferma: “Per il merito di quattro elementi è stato redento Israele dall’Egitto: non cambiarono i loro nomi: Reuven e Shimon scesero in Egitto e Reuven e Shimon salirono dall’Egitto, non chiamarono Reuven, Rufus né Yehuda, Lulianos e non Yosef, Lustus e non Biniamin, Aleksandrei (nomi greci caratteristici del periodo della Mishna). Non cambiarono la loro lingua, la lingua che parlavano fra di loro (dato che parlavano la lingua santa) non rivelarono la loro tradizione orale e la sapienza interna agli uomini della Comunità e non annullarono il loro patto di circoncisione.” Nomi, tradizione, lingua, circoncisione. Fermiamoci a questi quattro elementi per poter comprendere non tanto chi sia un ebreo oggi, ma per quali luoghi si potrebbe esprimere una appartenenza ebraica halachica o non halachica che sia.

Un riconoscersi qualsiasi in una storia specifica, in un mondo specifico, in una comunità specifica deve per forza di cose passare per i valori di quella stessa comunità,in questo caso i valori ebraici che si incontrano con i valori universali ma che definiscono la specificità di questa appartenenza.

Per esempio, a mio parere, i valori specifici che potrebbero definire l’identità di un ebreo sono: la fede in Dio e l’identificazione con l’Ebraismo, ma anche l’appartenenza comunitaria, quella rischiosa burocratizzazione identitaria che in Italia passa per il concetto di iscrizione e non iscrizione ad una comunità, la costruzione di una famiglia ebraica, la partecipazione alla vita della società italiana, il legame con la storia nazionale dello Stato di Israele, la partecipazione ai riti sinagogali secondo le proprie modalità e sensibilità, riferimenti alla tradizione gastronomica ebraica come propria gastronomia tradizionale, identificazione della propria storia nella memoria collettiva ebraica, la conoscenza della lingua ebraica come lingua internazionale e spirituale dello stesso popolo ebraico.

È ebreo colui che è parte palpitante del testo della storia ebraica,

è ebreo colui che scrive il testo della nostra storia

e si impegna per trasmetterla alla prossima generazione.

In questo senso trovo molto illuminanti le parole di Rav Sir Jonathan Sachs: “La prova su chi di noi sia nato ebreo non è una prova rilevante. La cosa è avvenuta qualcosa come cento generazioni fa quando i nostri padri hanno deciso di essere ebrei e di trasmettere la loro identità ai loro figli ed in questo scrissero il racconto continuativo e più stupefacente che fosse conosciuto al mondo.

Io sono ebreo perché nel riconoscere il racconto dei figli del mio popolo, li sento chiedere con insistenza senza scrivere il prossimo capitolo. Non sono giunto in nessun luogo, ho un passato, ed anche se riuscissi a superare ogni comando, ecco che il passato mi dà degli obblighi. Io sono ebreo perché solo restando ebreo potrò continuare ad avere in me i racconti delle cento generazioni che mi hanno preceduto, continuando il cammino dato che dopo che siamo giunti a questo punto non dobbiamo fare in modo che si indebolisca. Io posso essere la lettera che manca nella Meghillà. Nelle mie mani non esiste una risposta più semplice e non conosco una risposta più ampia e potente di questa.” (Radicalismo di allora, Radicalismo di adesso, pag.30)

Ed ancora Rav Sachs: “Sono una lettera del libro della Torà scritto dai miei antenati, che ancora non si è completato e che, questo stesso passato, vive e palpita in me stesso.”  

È ebreo colui che è parte palpitante del testo della storia ebraica, è ebreo colui che scrive il testo della nostra storia e si impegna per trasmetterla alla prossima generazione. È ebreo colui che sa di essere parte di una storia che non può essere cancellata. Nel “Dio in cerca dell’Uomo” Rav Avraham Yehoshua Heshel scrive: “L’appartenenza al popolo ebraico è un atto spirituale. L’esistenza ebraica non è limitata all’attaccamento a leggi specifiche o halachot specifiche, l’esistenza ebraica si esprime principalmente in una vita che esiste all’interno del valore spirituale del popolo ebraico, in una vita che esiste all’interno della vita degli ebrei del passato e del presente…il popolo ebraico è un albero e noi le sue foglie, noi assorbiamo la nostra esistenza dall’attaccamento alla corteccia.È un testo rischioso questo, apparentemente vicino come sguardo a quello di Rav Sachs ma profondamente distante lì dove si ipotizza una esistenza ebraica senza “leggi specifiche o halachot”, perché se è vero che l’esistenza ebraica è una esistenza all’interno del valore spirituale del popolo ebraico, all’interno della vita degli ebrei del passato e del presente, è vero anche che è ebreo chi non considera le halachot come limite, ma come espressione della propria identità, come luogo dove il passato che mi caratterizza diventa azione e diventa azione spirituale per il futuro attraverso le mitzvot, l’agire prettamente ebraico. E quindi in sostanza chi è ebreo? È ebreo chi si ritrova nel racconto dei figli di Israele, è ebreo chi si impegna a continuare quel racconto attraverso la spiritualità, la storia, la ritualità, la morale ebraica ed è da questo dato che dovrebbe partire anche una risposta halachica alla domanda che mi è stata posta: “Chi è ebreo?”.

Pierpaolo Pinchas Punturello – Rav e Shaliach Educatore presso Shavei Israel 

 


 

Le definizioni di chi o cosa sia un Ebreo sono meno chiare se si guarda da vicino. Queste definizioni cambiano in base ai contesti storici, geografici e sociologici. A partire dal periodo rabbinico (VI secolo e.v.) lo status legale è basato sulla matrilinearità o su un processo di conversione riconosciuto e amministrato dalla “comunità”.

Il principio matrilineare sembra essersi sviluppato dopo i tempi biblici in modo da includere i bambini che non avevano entrambi i genitori ebrei e che altrimenti sarebbero stati considerati fuori dalla comunità; una questione legale più che di percorso genetico. Il processo di conversione o di accettazione dello status ebraico, è storicamente stato fluido, sviluppandosi in modi diversi in luoghi diversi- Solo in tempi più recenti la questione dell’autorità dei processi delle diverse comunità è stato messo in dubbio.

Quindi, anche se per semplificare diciamo che solo chi è nato da madre ebrea o si è convertito ha lo status legale, la questione è molto più complessa e sfumata di così.

C’è una differenza tra lo status legale di essere ebrei e l’identità ebraica. Ci sono molti che hanno lo status mentre fanno cose non ebraiche nella loro vita, come ci sono molti che si sentono ebrei ma non rientrano nella definizione.

Siamo legati da cultura e tradizione,

da una religione, un’identità, una storia

e da come siamo nel mondo

Tutte le comunità ebraiche hanno avuto difficoltà con questo argomento e ognuna ha trovato un suo modo proprio per venirne a capo. La soluzione dei Reform è disegnata per dare un gran peso all’identità della persona e per risolvere lo status legale con compassione, attraverso un processo che include il brit milà (circoncisione), il mikve (bagno rituale) e lo studio sotto la supervisione del Bet Din (tribunale rabbinico) europeo.

Nemmeno definire “cos’è un Ebreo” è affatto semplice. L’ebraismo non è soltanto una religione; non è un’etnia o una razza. È qualcosa di più vicino all’idea di popolo. Siamo legati da cultura e tradizione, da una religione, un’identità, una storia e da come siamo nel mondo: pensatori indipendenti che sono ivriim – superatori di confini, Israel – persone che lottano con Dio e sono segnati dall’esperienza. Si possono trovare Ebrei in tutto il mondo con diversi riti, tradizioni, cibi, lingue, aspetti. Ma rimaniamo tutti “goy echad ba’Aretz” – un’unica nazione, e “Am echad im oto chalom” – un popolo con un sogno condiviso.

Per me, le parole di Edmund Fleg descrivono perfettamente cosa sia un ebreo. Includono “sono ebreo perché la fede di Israele non richiede abdicazione alcuna alla mia ragione ( … ) perché in tutti i posti dove ci sono lacrime e sofferenza, l’ebreo piange ( … ) perché in ogni epoca in cui si sente un grido di disperazione l’ebreo spera ( … ) sono Ebreo perché la promessa di Israele è una promessa universale ( … ) perché per Israele il mondo non è finito; noi lo completiamo. Sono un Ebreo perché Israele pone gli esseri umani e la nostra Unità sopra le nazioni e sopra Israele stesso. Perché sopra l’umanità, immagine dell’Unità Divina, Israele pone l’unità che è divina.”

Sylvia Rothschild – Rav presso la sinagoga Lev Chadash

Robe da Rabbi

Pierpaolo Pinhas Punturello
Nato a Napoli nel 1977, affianca agli studi universitari presso l’Istituto Universitario Orientale gli studi rabbinici con Rav Giuseppe Laras z.tz.l. e presso istituti rabbinici israeliani tra i quali il Beit Midrash Sefardi di Gerusalemme e la Yeshivat Hamivtar di Efrat, sotto la guida di una delle voci leader del mondo ebraico ortodosso moderno, Rav Shlomo Riskin. Ha servito come rabbino la comunità ebraica di Napoli, ha lavorato come educatore presso numerosi progetti in Israele, in Italia meridionale e in altri Paesi europei. Appena diventato Coordinatore studi ebraici Colegio Ibn Gabirol-Estrella Toledano, Madrid. Collabora con numerosi giornali italiani e ha pubblicato nel 2018 “Napoli via Cappella Vecchia 31” per Belforte editore (Livorno) e nel 2012 un saggio per Luciano Editore (Napoli) : “Una donna ebrea, Hannah Arendt”. Studioso di identità di confine e di cripto ebraismo.


Sylvia Rothschild
Cresciuta a Bradford da padre rifugiato tedesco e da madre di origine lituana e bielorussa, in una famiglia sempre attiva nella sinagoga. Dopo l’università diventa assistente sociale psichiatrico e terapista; riprende a studiare al Leo Baeck College, e nel 1987 diventa – l’ottava donna rabbino d’Europa. Per 16 anni è stata rav  della Bromley Synagogue. Alla Wimbledon Synagogue ha sviluppato per 11 anni il primo esperimento di servizio di comunità condiviso (rabbinic job share). Adesso officia alla sinagoga Lev Chadash a Milano. 


1 Commento:

  1. “… gli Ebrei sono venuti al mondo meno per credere che per studiare; non per adorare, ma per comprendere; (…) Il più alto compito al quale li convocano i libri santi non è di ardere d’amore, né di estasiarsi davanti all’infinito, ma di sapere e di insegnare. ”

    ( Bernard-Henry Levy , L’esprit du Judaïsm, Grasset )

    http://moked.it/blog/2016/02/04/segnalibro-la-nuova-opera-di-bernard-henry-levy-fiducia-nellintelligenza-lo-spirito-dellebraismo/


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