Hebraica
Di Asmodeo e di altri demoni

I demoni e gli spiriti della tradizione ebraica, dai testi biblici fino ai tempi moderni, raccontano storie affascinanti sulle intersezioni tra ebraismo e culture locali. Vediamo come.

Per parlare dei demoni dell’ebraismo non posso non cominciare rivelando uno scheletro nell’armadio. Ben prima di appassionarmi a ebraico e dintorni, ricordo che, intorno ai miei quindici anni, mi imbattei in un libro irresistibile: un dipinto stregonesco di Goya in copertina e un titolo massimamente evocativo, “Satana a Goray”. Dell’opera prima di Isaac Bashevis Singer, ricordo, al tempo compresi ben poco. Un testo zeppo di termini in una lingua, lo yiddish, quanto mai lontana dalla mia formazione classica (nonostante l’edizione Longanesi fosse corredata di un pratico glossario) e di riferimenti a una cultura, quella ebraica della Polonia del Seicento, quanto mai aliena ai miei orizzonti letterari. Di quel libro, tuttavia, ricordo bene alcune scene: quelle in cui qualche entità demoniaca cerca alacremente di intrufolarsi nel corpo delle vittime per ogni loro orifizio disponibile. Questa evanescente e misteriosa esperienza libresca fu, probabilmente, il mio battesimo del fuoco in tema di demonologia e, sicuramente, la mia iniziazione in materia di giudaismo.

 

I demoni nei testi biblici e talmudici

E, per quanto siano trascorsi più di dieci anni da quando l’ebraismo è diventato il fulcro della mia vita intellettuale e l’occulto la sua ancella, trovo difficile rispondere alla domanda “Che hanno a che fare i demoni con la cultura ebraica?”. Già, perché la cultura ebraica, in fatto di demoni e affini, ha molti più scheletri nell’armadio di me.

Proviamo a cominciare dall’inizio, ossia dalla Bibbia. Consideriamo i due seguenti versetti: “Non si sacrifichi più ai se‘irim, dietro cui [gli Israeliti] si sono prostituiti” (Levitico 17, 7) e “[Gli Israeliti] hanno sacrificato agli shedim, che non sono Dio, divinità che non conoscevano, nuove, venute da poco, che i vostri padri non hanno temuto” (Deuteronomio 32, 17). Chi sono dunque se‘irim e shedim, ai quali a quanto pare gli Israeliti usavano sacrificare, nonostante l’affermazione del monoteismo?

Altro non sono che tipologie di demoni: i primi, i pelosi, sono una sorta di satiri, mentre i secondi sono creature abitatrici delle lande desolate (non dimentichiamo che una delle possibili etimologie di Shadday fa riferimento proprio al termine akkadico shadda’u, “abitante della montagna”, da cui probabilmente derivano anche i nostri shedim). I divieti biblici sul ricorso alla magia per evocare entità soprannaturali (come in Levitico 19, 31 e Deuteronomio 18, 10-12) non metteranno in dubbio la convinzione nella pericolosa esistenza di queste ultime.  

Una testimonianza preziosa per approfondire

un aspetto della cultura – la magia –

troppo spesso trascurato da una visione positivistica delle civiltà.

Ma sarà nella letteratura intertestamentaria – ovvero la compagine testuale prodotta nei secoli a cavallo della nascita di Cristo – che i demoni prolificheranno e prenderanno forme più familiari alla nostra percezione moderna. Satana, Asmodeo, Azazel, Mastema, Samael, Belial sono solo alcuni dei nomi con i quali nei testi apocrifi (come il libro di Tobit, il libro dei Giubilei, il Rotolo della guerra qumranico) vengono identificate figure sovrumane maligne. Questa proliferazione demoniaca è figlia dell’influenza culturale che, attraverso la koiné ellenistica, il dualismo di matrice iranica esercitò sul mondo ebraico.

Anche la nutrita demonologia rabbinica deve la sua prosperità all’ambientazione persiana che vide nascere il Talmud Babilonese. I testi talmudici sono un vero e proprio pozzo senza fondo quando si tratta di incantesimi contro i demoni. Passiamo così dalle raccomandazioni a non lasciare le bevande senza coperchio durante la notte per non attirare Shabriri, demonio che può indurre cecità (Avodah Zarah 12b), allo scongiuro aramaico contro Bar Shiriqa Panda, il demonio che alberga i gabinetti (Shabbat 67a). Ma oltre alla letteratura canonica, la tarda antichità ci ha riservato anche la fortunata scoperta dei cosiddetti incantation bowls, coppe all’interno delle quali sono inscritti incantamenti contro il tale o il talaltro demonio, spesso rappresentati in foggia terato-antropomorfa al centro dell’oggetto. Questi reperti archeologici, prodotti negli attuali Iran, Iraq e Siria tra il sesto e l’ottavo secolo, sono perlopiù vergati in aramaico, lingua di mediazione che testimonia una fruizione non solo ebraica ma anche cristiana e mandaica. Si tratta di una testimonianza preziosa per approfondire un aspetto della cultura – la magia – troppo spesso trascurato da una visione positivistica delle civiltà.

 

Lilit, Asmodeo e gli altri

Ma veniamo a far conoscenza con qualche personaggio demoniaco. La figura più nota è certamente Lilit: demonessa tradizionalmente responsabile di morti bianche e polluzioni notturne, infesta questo mondo dai tempi della Mezzaluna fertile, con qualche incursione nella Bibbia (Isaia 34,14), molte nella letteratura rabbinica, diverse nella Qabbalah e qualcuna persino nei movimenti femministi, per non parlare dell’odierna cultura pop (dalla wicca agli anime passando per l’heavy metal). Sulla regina indiscussa della demonologia, vale la pena ricordare un testo satirico composto tra l’ottavo e il decimo secolo, in ebraico e aramaico, l’Alfabeto di Ben Sira, nel quale è sviluppata esaustivamente la mitologia di Lilit.

La nostra sarebbe stata la prima moglie di Adamo, dal quale però prende ben presto le distanze per incompatibilità di posizioni (erotiche): “Io non voglio stare sotto – Neanche io voglio stare sotto, ma sopra”. Lilit, ad ogni modo, non è l’unico demone femmina a popolare la tradizione ebraica. Regina dei demoni e della notte, nella letteratura talmudica, è ufficialmente Agrat bat Mahlat: “Non uscire solo di notte – né la notte del mercoledì né quella del sabato, perché esce Agrat bat Mahlat, assieme a diciotto miriadi di spiriti maligni, ciascuno dei quali ha il permesso portare rovina di per sé” (Pesachim 112b).

Ovviamente la controparte maschile non fa sentire la sua mancanza. In Gittin 68a-b, il re dei demoni è Asmodeo che, nonostante la sua natura infernale, detiene una raffinata cultura rabbinica: “Ogni giorno sale in cielo per frequentare l’accademia celeste, poi scende in terra per frequentare quella terrestre”. Al suo aiuto fa appello niente di meno che Salomone: per mezzo di un’elaborata trappola, questi riesce a farsi recare a palazzo il demonio in catene così da potergli chiedere in prestito un prezioso bene – lo shamir, ovvero il verme tritapietra, con il quale il re intende lavorare le pietre che costruiranno il tempio senza ricorrere alla classica ferramenta. Una volta ottenuto quanto necessario, i due discorrono di passi biblici fino a che Salomone chiede: “Ma tu in cosa saresti superiore a noi?”. Asmodeo risponde: “‘Toglimi la catena e dammi il tuo anello: te lo mostro’. Salomone gli tolse la catena e gli diede l’anello. Asmodeo lo ingoiò e, posizionandosi con un’ala in cielo e una in terra, lo sputò fuori lontano quattrocento parasanghe”. Neanche i demoni si tirano indietro nella tipica sfida virile a chi arriva più lontano.

E il dibbuq, lo spirito maligno che s’impossessa delle spoglie mortali di qualche sventurato, tra cui Hanna Rovina nel dramma di S. Ansky? E il maggid, il demone celeste che rivelava ineffabili segreti cabbalistici a Rabbi Moshe Chaim Luzzatto? Con lo scorrere dei secoli le figure demoniache, lungi dall’essere dimenticate da modernità e lumi, non faranno che peru u-revu, fruttificare e moltiplicarsi. È allora giusto parlare di superstizione? Nient’affatto. Magia e demonologia sono un aspetto della cultura profondamente radicato nella tradizione e sono sintomo di quanto, a sua volta, la cultura ebraica fosse (e sia) commista alle culture (alte o basse, colte o popolari, se vogliamo davvero distribuire etichette) all’interno o accanto alle quali si è trovata di volta in volta a convivere.

Ilaria Briata
Collaboratrice

Ilaria Briata è dottore di ricerca in Lingua e cultura ebraica all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Ha pubblicato con Paideia Editrice Due trattati rabbinici di galateo. Derek Eres Rabbah e Derek Eres Zuta. Ha collaborato con il progetto E.S.THE.R dell’Università di Verona sul teatro degli ebrei sefarditi in Italia. Clericus vagans, non smette di setacciare l’Europa e il Mediterraneo alla ricerca di cose bizzarre e dimenticate, ebraiche e non, ma soprattutto ebraiche.


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