Diritti umani
Essere ebrei e LGBT a Roma: Magen David Keshet Italia si racconta

Conversazione con Serafino Marco Fiammelli, presidente della prima associazione ebraica italiana per i diritti LGBT

Benvenuta estate, benvenuta Pride Week! Il 21 giugno inizia a Milano la settimana dedicata all’orgoglio LGBT, che culminerà nella parata di sabato 29 e chiuderà il Pride Month 2019. Per l’occasione, abbiamo parlato con Serafino Marco Fiammelli, Presidente di Magen David Keshet Italia, la prima associazione ebraica LGBT in Italia.

Come e quando avete iniziato?

L’associazione è nata a Roma cinque anni fa, io sono uno dei fondatori. La nostra prima uscita ufficiale fu il Gay Pride di Roma, in quell’occasione. Eravamo in quattro con quattro bandiere.

Una bandiera per persona, quindi!

Sì, una cosa così. Era la prima volta che in Italia sventolava una bandiera arcobaleno con la Stella di Davide. Ciò suscitò molta curiosità da parte degli altri manifestanti, per non parlare dei giornalisti e dei fotografi. Da allora, partecipiamo ogni anno al Gay Pride di Roma. L’edizione 2019 ha contato circa 700 000 persone. Quest’anno festeggiamo i venticinque anni dal primo Pride a Roma e i cinquant’anni dalla rivolta di Stonewall che diede inizio al movimento LGBT.

Com’è cambiata la partecipazione di MDKI nel movimento LGBT dagli esordi a oggi?

Ci siamo fatti conoscere da subito. Roma è sede delle più importanti associazioni, come il Circolo Mario Mieli, Arci Gay e Arci Lesbica, quindi è stato facile. Nel 2016, abbiamo preso parte al grande dibattito sulle unioni civili al circolo Mario Mieli, una domenica c’è stata un’assemblea di otto ore quando sembrava che tutto stesse per precipitare. Eravamo alla manifestazione “Svegliati Italia” a sostegno della legge, al sit-in permanente davanti al Senato, sempre con le nostre bandiere. Questo ha fatto sì che tutti ci conoscessero.

Come vi ha accolto il movimento LGBT italiano?

Siamo stati fin da subito inclusi e ben accolti. Con quale piccola eccezione, data da dimostrazioni di gruppi pro-pal. A Roma quest’anno c’era un carro con uno striscione che titolava “Queer for Palestine, contro il pinkwashing di Israele”. Come succede in occasione per il 25 aprile, chi manifesta in questi gruppi generalmente non è palestinese, né sostenitore della causa palestinese, ma semplicemente antisemita. Questa è perlomeno la mia percezione. La Stella di Davide sulla nostra bandiera arcobaleno definisce l’ebraicità del gruppo, non il legame con lo Stato di Israele, né tantomeno col conflitto. Naturalmente in quanto ebrei ci sentiamo vicini a Israele, ma ai Gay Pride in Italia partecipiamo come cittadini italiani, ebrei, omosessuali.

Nel mondo LGBT c’è antisemitismo? Come si manifesta?

Sì, come nel resto della società. Si manifesta soprattutto in Nord Europa e, ultimamente, anche negli Stati Uniti, come dimostra il recente caso della DC Dyke March in cui le Jewish Pride Flags sono state vietate per paura di disordini. Ritengo ciò inaccettabile, come ebreo e come attivista LGBT. Magen David Keshet Italia è affiliata al World Congress of LGBT Jews – Keshet Ga’avah e io, che sono l’advisor per le questioni europee, mi impegno continuamente a richiamare le istituzioni al loro dovere di non lasciar passare episodi come questo.

In Italia la situazione è meno grave, perché l’antisemitismo è meno forte. Difficilmente si va al di là delle battute: la Palestina, Soros, i banchieri, i poteri forti. Come rispondiamo? Con il nostro impegno di esserci sempre, con le nostre bandiere, perché la conoscenza aiuta ad abbattere il pregiudizio.

Nelle Pride Parade degli scorsi anni vi si vede spesso insieme agli attivisti di Allah Loves Equality, l’associazione per i diritti LGBT dei musulmani.

Allah Loves Equality è l’associazione con cui lavoriamo di più, i loro rappresentanti sono nostri amici.  In genere a Milano sfiliamo con loro, almeno per un tratto di corteo. È un messaggio per gli ebrei, per i musulmani, per gli islamofobi e per gli antisemiti. Durante una delle prime conferenze a Roma che organizzammo sul tema dell’ebraismo e dell’omosessualità, io dissi: si può essere discriminati dagli ebrei perché omosessuali, ma si può essere anche discriminati dagli omosessuali perché ebrei. Ciò per motivi politici legati a Israele o per antisemitismo atavico. Quindi, quale migliore amico e alleato di un gruppo musulmano LGBT? Sono persone molto coraggiose, dei veri attivisti. La loro battaglia all’interno dell’Islam è dura e pericolosa.

Riprendiamo la prima parte della frase che hai appena detto: “Si può essere discriminati dagli ebrei in quanto omosessuali”. Come si pone il mondo ebraico italiano nei confronti del mondo LGBT?

La Comunità di Roma è molto tradizionalista. Magen David Keshet Italia è nata proprio con l’intenzione di cominciare a parlare di omosessualità all’interno delle Comunità ebraiche. Prima di noi, l’unico segnale erano state le reazioni di alcuni ebrei italiani a seguito di certe dichiarazioni del rabbinato, ma non c’era un vero e proprio dibattito, né un movimento organizzato.

Noi siamo stati i primi a metterci la faccia in quanto ebrei e omosessuali. Devo dire che l’operazione è stata più facile del previsto. Molti hanno dimostrato subito curiosità, colto al volo l’opportunità di ascoltare e poter chiedere. C’era sete di conoscenza, anche a causa – questa è una mia impressione – di questioni irrisolte che tante famiglie si trascinano dietro: un fratello, un figlio, un parente…

Quando io e mio marito Federico ci siamo sposati [celebrato con rito riformato, è stato il primo matrimonio ebraico omosessuale in Italia], i più “puristi” hanno gridato allo scandalo, ma ecco che un gruppo di “ebrei di piazza”, come diciamo a Roma, cioè persone normali, non parte di chissà quale intellighenzia, si è subito levato in nostra difesa. Sono stati i nostri primi veri amici. In quel periodo abbiamo iniziato a frequentare il Circolo dei Ragazzi del ‘48, storico luogo di ritrovo degli ebrei romani, e anche lì siamo sempre stati tenuti in considerazione con grande affetto.

Questo sostegno dal basso ha incoraggiato le istituzioni a confrontarsi sul tema. Siamo stati invitati ad esempio dalla Comunità di Firenze per la Giornata Europea della Cultura Ebraica. C’era tantissima gente, curiosa, assettata di conoscenza. È sbagliato dire che le comunità ortodosse sono inospitali: tutte le comunità sono ospitali. Il valore aggiunto di quelle riformate è che oltre a essere ospitali sono anche accoglienti, nel senso che non solo ti accettano per come sei ma si fanno anche carico delle tue rivendicazioni. Nel mondo ortodosso c’è ancora timore, ma qualcosa abbiamo smosso. Parlare di omosessualità non è più tabù e c’è molta più consapevolezza, ad esempio nell’uso del linguaggio. Gli insulti omofobi, anche bonari, non sono più accettati. Chi non è d’accordo con le nostre rivendicazioni ha perlomeno imparato a non ingiuriare in maniera sfrontata, come succedeva prima. Da questo punto di vista, il nostro lavoro come associazione è stato eccellente, ma tengo a dire che è stato possibile solo grazie alla gente, e soprattutto agli ebrei romani.

Quali differenze ci sono tra il movimento LGBT in Italia e nel resto dell’Europa?

All’estero, almeno fino a poco fa, si aveva una percezione dell’Italia come Paese tollerante e dai costumi rilassati. Non è così, la società italiana è ancora retrograda e bigotta. Come nel resto del mondo, anche qui l’asse politico si sta spostando a destra. La situazione da noi è più instabile perché i diritti non sono radicati. In Nord Europa un politico di destra non oserebbe mai fare una battuta populista tipo “Abolirò la legge sulle unioni civili” per guadagnare qualche voto in più: primo perché una parte dell’elettorato LGBT vota a destra, quindi gli si ritorcerebbe contro, secondo perché è proprio impensabile. Noi italiani arriviamo con venticinque, trent’anni di ritardo. Sono appena tornato dall’Euro Pride di Vienna, dove sono stato ospite della comunità riformata Or Chadash, che quest’anno festeggia il suo ventesimo Pride Shabbat. Noi celebriamo il primo in Italia venerdì prossimo a Beth Hillel!

In cosa consiste questo Pride Shabbat?

Nella celebrazione dello Shabbat a tema “arcobaleno”. Tradizione vuole che venga organizzato dagli omosessuali della comunità, che devono occuparsi della gestione, della tefillah, della parasha…si preparano le challot con i coloranti arcobaleno, o idee simili. È aperto a tutti, non solo agli ebrei riformati. Prima di Vienna avevo partecipato a un Pride Shabbat a Tel Aviv, presso la comunità di Neve Tzedek. Mentre a Milano con Lev Chadash – tra i nostri primi sostenitori – abbiamo celebrato uno Shabbat a tema, ma non era un vero e proprio Pride Shabbat. Avrei voluto organizzarne due, uno a Roma e l’altro a Milano in concomitanza dei rispettivi Gay Pride, ma per motivi logistici non è stato possibile. Così, celebreremo a Roma e il giorno dopo di buon mattino partiremo per Milano!

Come immagini Magen David Keshet Italia tra cinque anni?

Vorrei che contribuisse a dare coraggio alle persone che ancora hanno paura a mostrarsi e a riavvicinare quelle che sono uscite dalla comunità perché vivevano la loro doppia identità in modo inconciliabile. Vorrei che queste persone fossero fiere di ciò che sono e di ritornare alla vita ebraica: che sia ortodossa o riformata importa poco.

 

Magen David Keshet Italia sfilerà alla Pride Parade di Milano sabato 29 giugno: chiunque voglia unirsi è benvenuto. Per informazioni, è possibile contattare l’associazione attraverso la sua pagina Facebook.

Silvia Gambino
Responsabile Comunicazione

Laureata a Milano in Lingue e Culture per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale, ha studiato Peace & Conflict Studies presso l’International School dell’Università di Haifa, dove ha vissuto per un paio d’anni ed è stata attiva in diverse realtà locali di volontariato sui temi della mediazione, dell’educazione e dello sviluppo. Appassionata di natura, libri, musica, cucina.


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