Cultura
Ginevra ebraica

La città svizzera è oggi sede di una delle comunità ebraiche più importanti del Paese con circa 1.200 famiglie ashkenazite e sefardite sostenute da una ricca rete di servizi

Se è vero che uno dei modi migliori per conoscere la storia di una comunità è visitarne i luoghi di preghiera e di sepoltura, per studiare quella di Ginevra saremo costretti a uscire dai confini. Sia del territorio comunale sia di quello nazionale. La città svizzera è oggi sede di una delle comunità ebraiche più importanti del Paese, la Communauté Israélite de Genève, con circa 1.200 famiglie ashkenazite e sefardite sostenute da una ricca rete di servizi che comprende due sinagoghe, un centro comunitario, un asilo, due scuole primarie e secondarie, una scuola ebraica per adulti, un Talmud Torah, un centro giovanile e uno per anziani, un centro culturale, una biblioteca e diversi negozi e ristoranti kosher. Se però cerchiamo i cimiteri, dovremo allontanarci dal centro cittadino e raggiungere i paesi vicini di Carouge e Veyrier.

Entrambi parte del cantone di Ginevra, questi due indirizzi sono un buon modo per avvicinarci alla storia degli ebrei ginevrini. Citata come Quadrivium già nell’Alto Medio Evo, la Carouge che conosciamo è stata costruita tra il 1760 e il 1770 sotto Vittorio Amedeo III di Savoia. Pare che i primi ebrei, quasi tutti provenienti dall’Alsazia, fossero giunti qui nel 1779, approfittando delle politiche di accoglienza e tolleranza del re di Sardegna. Con il Trattato di Torino del 1754, il territorio era infatti passato dalla Repubblica di Ginevra al Regno di Sardegna. Nel 1788, il conte di Veyrier, Pierre-Claude de la Fléchère, aveva ceduto gratuitamente parte della sua ricca dimora a Carouge perché la manciata di famiglie che ai tempi viveva in paese vi potesse istituire una sinagoga e una scuola. La comunità, che in quel periodo aveva potuto darsi un proprio statuto, avrebbe goduto di totale libertà di insediamento nei vari rioni della città sia durante il periodo sardo sia in quello successivo francese. Alcuni si stabilirono nelle zone ricche del centro città, sul lato di rue Saint-Victor, altri nei quartieri popolari sul lato di rue d’Arve. Oggi il viaggiatore a caccia di testimonianze ebraiche troverà a Carouge una targa commemorativa sulla facciata della casa del conte de la Fléchère che ne ricorda la generosità, ma soprattutto potrà visitare il cimitero ebraico di rue de la Fontenette.

Attivo fino al 1970, anche se teoricamente alcuni lotti sarebbe ancora utilizzabili dai discendenti di quanti vi sono sepolti, questo luogo è stato restaurato nel 1996 e accoglie circa 920 tombe su un ettaro di estensione. Studiandone le lapidi si potrà fare un ripasso dei flussi migratori che hanno interessato il territorio. La parte più antica, riconoscibile dal terreno erboso e dalle stele verticali tipiche dell’architettura funeraria ashkenazita, racconta dei primi ebrei provenienti dall’Alsazia. I monumenti sono in roccia sabbiosa dell’Arve, ardesia o pietra grezza, con le iscrizioni perlopiù incise in ebraico. Una sezione più recente risale all’epoca in cui la comunità ebraica di Carouge era diventata tutt’uno con quella di Ginevra. Si parla del 1852, quando gli israeliti acquistarono un nuovo lotto e lo impiegarono per sepolture influenzate dall’architettura del Secondo Impero francese. La semplicità delle stele antiche lasciano qui il posto a sarcofagi, obelischi e altri colonnati neoegiziani, compare il marmo bianco e le iscrizioni a caratteri ebraici lasciano sempre più spazio ai caratteri latini. Il settore occupato a partire dal 1874  è non solo molto più grande rispetto ai precedenti, ma segna l’affermazione del marmo e di un certo gusto per il monumentale, con drappeggi, ghirlande e altri motivi a rilievo. Non mancano stele di forme diverse e imponenti tombe dal tetto a quattro falde.

L’altro cimitero ebraico di Ginevra si trova invece tra Veyrier ed Etrembières, letteralmente a cavallo tra il confine svizzero e quello francese. Ancora in funzione, è stato fondato nel 1920 e accoglie più di 3.000 sepolture, comprese quelle di diverse personalità importanti, tra cui il banchiere e filantropo Edmond Safra, il segretario generale del World Jewish Congress Gerhart Riegner, il “re dei sigari” Zino Davidoff e lo scrittore Albert Cohen. Con due ingressi, uno in Svizzera e l’altro in Francia, il cimitero risente di una legge del 1876, successiva al placarsi dei conflitti religiosi tra protestanti e cattolici. Come racconta Rosine Nussenblatt sulla rivista di genealogia ebraica Avotaynu, da quel momento in poi i cimiteri erano diventati di proprietà dei Comuni e i morti dovevano essere seppelliti senza distinzione di religione. Un bel guaio per gli ebrei, che restando nel territorio loro destinato avrebbero incontrato difficoltà nel venire sepolti nel rispetto della Legge, ossia rivolti a Est, verso Gerusalemme. Per risolvere il problema si era così deciso di sconfinare, mantenendo l’ingresso in Svizzera ma collocando le tombe in Francia. Nel 1930 la Comunità ebraica di Ginevra aveva incaricato l’architetto ginevrino Julien Flegenheimer (lo stesso del Palazzo delle Nazioni Unite) di costruire un oratorio e un centro funerario da collocare nella parte svizzera. Questo dal 1981 ospita una monumentale vetrata creata dell’artista Régine Heïm che rappresenta la Genesi. Tornando alla sua posizione eccezionale, questa ha reso il cimitero un punto di passaggio privilegiato per quanti durante la seconda guerra mondiale fuggivano dal nazismo cercando rifugio in Svizzera, così come, nei mesi che precedettero la nascita dello Stato di Israele, per quanti volevano raggiungere clandestinamente la Palestina.

Dopo averne visitato i cimiteri possiamo ora permetterci di entrare finalmente a Ginevra e, battendone le vie, ripercorrerne anche le vicende ebraiche passate. Se i primi insediamenti ebraici dell’età moderna nell’attuale territorio cantonale risalgono a fine Settecento è perché oltre tre secoli prima gli ebrei erano stati espulsi dalla città. Fino al 1490 esisteva invece una comunità andata formandosi a partire dal 1392 e composta perlopiù dagli ebrei espulsi due anni prima dal Regno di Francia e qui benevolmente accolti dal conte di Savoia. Il quartiere in cui si erano insediati era quello di Saint-Germain, nelle strade intorno alla chiesa omonima, abitate anche da cristiani in un clima apparentemente pacifico. Come racconta Jean Plançon, storico dell’ebraismo ginevrino, a rompere gli equilibri ci aveva pensato Pierre Magnier, parroco e rettore della parrocchia di Saint-Germain, preoccupato per la presenza dei figli di Israele accano ai suoi fedeli. Dal 1408, con una prima petizione inviata al conte Amedeo VIII perché gli ebrei occupassero un settore specifico, all’istituzione di un quartiere ebraico chiuso sarebbero passati vent’anni, ma il 28 novembre 1428 Ginevra era diventata la sede di quello che può essere indicato come il primo ghetto della storia, precedente di 88 anni quello di Venezia.

Chiamato Le Cancel proprio per la presenza di porte che ne chiudevano obbligatoriamente gli accessi, il quartiere accoglieva una trentina di famiglie, costrette a vivere in case che non potevano acquistare. I cancelli erano collocati tra rue de l’Écorcherie (parte dell’attuale rue des Granges) e vicino all’attuale fontana in Place du Grand Mézel. E se gli ebrei potevano continuare a commerciare in città durante il giorno, dovevano rientrare nel ghetto la sera. A questa misura coercitiva si accompagnava l’obbligo di indossare un segno distintivo a forma di dischetto giallo e un crescendo di discriminazioni e persecuzioni. Queste sarebbero sfociate in un pogrom il giorno dopo Pasqua del 1461 e all’espulsione definitiva, decisa dal Consiglio il 28 dicembre 1490. Fatta eccezione per qualche fugace passaggio e la libertà del periodo francese tra il 1798 e il 1813, gli ebrei non avrebbero più messo piede a Ginevra fino al 1816, dopo l’annessione del territorio di Carouge alla Repubblica e al cantone di Ginevra. Riacquisita la libertà di risiedere nel territorio solo nel 1841 e la cittadinanza ginevrina nel 1857, a partire da questo stesso anno gli ebrei poterono finalmente permettersi di iniziare a costruire anche il proprio tempio.

La Sinagoga Beth-Yaacov, indicata anche come Grande Sinagoga di Ginevra è stata costruita tra il 1857 e il 1859 su progetto dall’architetto zurighese protestante Johann Heinrich Bachofen. Prima sinagoga eretta in città, è anche la prima in Svizzera a presentare un particolarissimo stile che associa lo stile orientale a caratteristiche est europee, con decorazioni neomoresche abbinate ad altre in stile fiorentino. Imponente ed elegante, spicca sull’omonima piazza con una facciata a strisce grigie e rosa, quattro torrette merlate coronate da cupole e una cupola centrale sormontata dalle Tavole della Legge. Classificata come monumento storico dal 1989, sorge in quello che all’epoca era un nuovo quartiere, ai piedi della piccola collina del centro storico, dove un tempo sorgevano le antiche fortificazioni. Aperta al pubblico tutte le prime domeniche del mese dalle 10 del mattino alla mezzanotte, può essere visitata con guida anche prendendo accordo con la Comunità Ebraica di Ginevra come indicato sul ricchissimo sito della Association Patrimoine Juif Genevois.

Accanto alla Beth-Yaacov, di rito ashkenazita, va segnalata la Synagogue Dumas, sempre della CIG ma di rito sefardita, e la Hekhal Haness. Costruita tra il 1970 e il 1972 per volontà di Nessim Gaon, uomo d’affari ginevrino, e di sua moglie Renée, quest’ultima occupa un vasto spazio in Rte de Malagnou, è alta 25 metri e può ospitare fino a 400 fedeli, che possono arrivare a 1.000 annettendo al bisogno il salone delle feste dalla parete amovibile. Definita la più grande sinagoga sefardita contemporanea in Europa, si distingue per la sua particolarità architettonica, con tanto di giardino sul tetto, e l’impiego di materiali pregiati come il marmo veneziano, la presenza di mobili confortevoli e di maestosi lampadari. Al pianterreno vi si trova un circolo giovanile e sportivo con club di bridge mentre nel seminterrato accoglie un mikvah per i bagni rituali.

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.