Cultura
Gli spazi ebraici: la casa

Una casa è nella sua ragione più profonda la proiezione dell’io. Ma anche del “noi”…

Mario Praz affermava che “una casa è nella sua ragione più profonda la proiezione dell’io”: abitare uno spazio e trasformarlo in un luogo significa farne la custodia dei propri ricordi e rituali, ovvero personalizzare lo spazio che fino ad allora raccoglieva dei segni solo inconsciamente.

Come Joimag ha già raccontato, l’ebraismo si esprime in spazi fisici come spirituali. Le strade riconvertite di un antico ghetto, un palazzo che un tempo ospitava una sinagoga, delle pietre d’inciampo sono contenitori di un’identità che non è immediatamente apparente, mentre la casa ebraica rende chiaramente visibili i risultati della pratica e dei valori ebraici.

La casa ebraica come contenitore di memoria

Molti ricordi legati all’ebraismo hanno infatti origine in casa, specie se correlati alle festività dallo Shabat alle cene di Pesach e Sukkot, all’apertura dei regali di Chanukkah, le feste ebraiche sono predominantemente casalinghe. La regina degli oggetti casalinghi ebraici è la mezuzah, ma una casa ebraica sarà subito riconoscibile dai porta-candele, dal bicchiere per il kiddush, dai piatti per la challot, ereditati dai nonni o comprati all’istituzione della nuova casa, nonché da tutto ciò che sugli scaffali non è necessariamente ebraico, ma creato da ebrei: libri, dipinti, dvd.

La casa ospita dunque una memoria che si esprime tramite eventi condivisi o tramite gli oggetti che la abitano.

La cucina

Il cibo e la cucina sono punti di partenza per osservare una cultura: per lo storico Massimo Montanari, il cibo è “depositario delle tradizioni e dell’identità di gruppo”.

Così la cucina assume una funzione rituale, come anche sottolineato dal Talmud: “ai tempi del Santuario, l’altare era per l’espiazione. Ora è lo è la tavola (Hagigah 27a)”. I pasti consumati al tavolo prendono il ruolo dei sacrifici sull’altare, accompagnati dalle benedizioni prima e dopo i pasti. Nell’Esodo, leggiamo che viene comandato da Dio di costruire una casa così che il divino possa risiedere tra le persone: la casa stessa diventa il santuario.

La cucina è anche il luogo dell’ebraismo che si apre alla partecipazione delle donne nella vita religiosa, in parallelo al tempio e alle yeshivot dove gli uomini hanno avuto storicamente ruoli predominanti. Le donne sono incaricate di mantenere la kasherut; in cucina le donne tramandano nozioni di ebraismo, come mostra il caso dei marranos in Messico dove le donne trasmettevano di nascosto le tradizioni ebraiche all’ombra delle istituzioni,  o delle Tehines , preghiere in ebraico composte da o per le donne dal XVI al XIX secolo.

Uno spazio in evoluzione: il coinvolgimento ebraico attraverso l’home-base judaism

Tra gli spazi ebraici, la casa è un’istituzione dinamica: i libri vengono sostituiti, così come i mobili, i rituali e il cibo si evolvono, plasmando una nuova identità. Specialmente per gli ebrei in diaspora, la casa è un luogo che permette di trasportare tutti i propri rituali in una valigia immateriale. Basandosi sull’importanza della casa come spazio ebraico sono nati negli anni diversi movimenti con al centro l’ebraismo delle mura domestiche.

Uno dei primi esempi nasce nel 1982, quando Jeff Seidel, statunitense trasferitosi a Gerusalemme, decise di iniziare a connettere i giovani in visita in città con le famiglie del luogo per la cena di Shabat. Seidel si sedeva al Kotel ogni venerdì, aspettando di individuare i ragazzi che più sembravano spaesati. L’idea di fondo è che una cena in famiglia nell’ambiente di casa sia il fulcro della vita ebraica e che questi giovani potessero essere avvicinati alla vita ebraica tramite questa iniziativa.

Anche tanti centri Chabad del mondo, oltre a offrire servizi di vario tipo, danno la possibilità di condividere una cena e un ambiente casalingo ai viaggiatori senza casa. Altri movimenti includono Moishe House, che di recente ingloba anche Base . L’idea di fondo è la creazione di una casa gestita da giovani ebrei che possano creare eventi comunitari per i loro amici e per la comunità. Esistono ora Moishe Houses in più di 27 paesi. È così che la casa nella sua ragione più profonda diventa allora la proiezione del noi.

Micol Sonnino
collaboratrice

Micol-con-la-emme Sonnino, da pronunciare tutto d’un fiato, nasce a Roma nel 1997. Studia tutto ciò che riguarda l’Asia dell’Est all’Università di Bologna e vive tra Italia, Austria e Giappone per una magistrale in sviluppo sostenibile, con focus su sviluppo urbano e rurale. Le piace cucinare con la nonna e mangiare carciofi di stagione.


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