itinerari
I cinque migliori itinerari del 2022

Da Pitigliano alle migliori cantine vicino a Tel Aviv, passando per Palma de Maiorca

Pitigliano – la Gerusalemme toscana
Ricordare un evento come l’istituzione di un ghetto potrebbe apparire un’idea poco felice, come del resto è sempre strano celebrare le pagine buie della storia. Eppure, il quadricentenario del ghetto di Pitigliano è comunque un’occasione importante. Vi si ricorda infatti non tanto la segregazione forzata di una comunità, fatto in sé inqualificabile, quanto il valore delle persone che vi si erano trovate a vivere.
Non bisogna dimenticare che Pitigliano era stata inizialmente soprattutto un luogo di accoglienza per gli ebrei che fin dal Cinquecento erano rimasti senza una casa. Per quanto le prime presenze si attestino già in epoca medievale, le migrazioni più consistenti erano infatti avvenute nella seconda metà del XVI secolo, all’indomani di quella bolla papale, Cum nimis absurdum, con cui nel 1555 Paolo IV istituiva ghetti a Roma e in tutto lo Stato pontificio.
Ai confini meridionali della Toscana, più vicina a Roma che a Firenze, Pitigliano si trovava appena fuori dai territori della Chiesa e costituiva, con i piccoli centri vicini di Sorano e Sovana, un’isola felice per tanti uomini e donne in fuga da reclusione e discriminazioni. Che non tardarono ad arrivare. Oggi, per quanto non si contino quasi più ebrei in paese, l’eredità ebraica di quella che era nota come la Piccola Gerusalemme viene mantenuta viva dall’omonima associazione che gestisce il piccolo e fascinoso sito dell’antico quartiere dell’ex ghetto, organizzando eventi e visite guidate. Tra queste, non può mancare quella alle camere scavate nel tufo nei sotterranei della sinagoga e il cimitero. La sua storia si può leggere nel’articolo di Camilla Marini, Pitigliano, nel quadricentenario del suo ghetto.

Itinerari del vino in Israele
Primo appuntamento con un viaggio in tre puntate nella produzione vinicola israeliana: la storia dell’azienda boutique della famiglia Lewinsohn
Il vino israeliano risale ai tempi della Bibbia, quando, in particolare, veniva consumato durante la cena di Shabbat e nelle tante festività ebraiche. Nella stessa Ultima Cena, Gesù offre il pane e il vino ai suoi commensali, come qui si usa fare ancora oggi durante il pasto del venerdì sera.
Tuttavia, a causa delle complesse condizioni climatiche di Israele, Paese secco e arido, l’arte della produzione del vino è stata trascurata per secoli. Solo dopo la fondazione dello Stato di Israele, grazie alla scoperta e all’implementazione di nuove tecniche di coltivazione, si è assistito a una lenta crescita del settore fino, negli ultimi anni, a uno sviluppo esponenziale dei vigneti, molti di etichette pregiate: sono proprio le forti escursioni termiche tra giorno e notte, tipiche delle aree desertiche, a conferirne un gusto particolarmente corposo. Garage de Papa, etichetta della Famiglia Lewinsohn, merita una visita alla sua cantina, collocata a Petach Tivka, a circa mezz’ora da Tel Aviv.Tutto è cominciato quando, durante gli anni del servizio militare, Ido Lewinsohn – oggi founder e CEO della prestigiosa etichetta – tornava a casa durante i weekend e si divertiva a cucinare per gli amici. Grazie alla grande passione per la cucina ha scoperto anche il vino e, una volta terminato il periodo di leva, ha deciso di andare a studiare enologia a Milano. Dopo aver lavorato nelle cantine di mezzo mondo, dall’Italia, alla Francia all’Australia, nel 2007 è tornato in Israele e qui ‒ mentre lavorava come enologo per Recanati, una delle più grandi aziende vinicole locali ‒ ha cominciato a produrre le sue prime bottiglie nel garage di suo padre, a Hod ha Sharon, trasformato in cantina. Garage de Papa ha così cominciato a farsi conoscere nella nicchia degli intenditori, producendo inizialmente circa 1.000 bottiglie all’anno.
Poi è arrivato il successo: dal 2017 Ido è capo enologo del gruppo Barkan, uno dei principali produttori israeliani di vino, ma anche di altri liquori e spiriti. Per Barkan ora e per Recanati prima, Ido è riuscito persino a recuperare due varietà di uva che risalgono a oltre 2.000 anni fa. Ne parla Fiammetta Martegani in La storia di Garage de papa, il vino pregiato nato in un garage

Genova, il ghetto invisibile.
Genova non è una città che si concede facilmente. Difficile capire la Superba al primo sguardo, irrispettoso pretendere di conoscerla. La Genova ebraica non fa eccezione. La sua storia affonda le radici nell’antichità, si pensa nel VI secolo, anche se una comunità propriamente detta risale solo (si fa per dire) al Seicento. Ma di questi lunghi secoli poco è rimasto visibile agli occhi più distratti. E anche quelli più attenti devono faticare non poco… La Sinagoga, luogo di preghiera per la comunità cittadina e sede dei suoi uffici, è ad esempio aperta al pubblico solo in occasioni speciali. L’annesso Museo Ebraico, creato nel 2004 in quelle che in tempo di guerra erano state le scuole, è invece temporaneamente chiuso.
In attesa di potervi accedere liberamente, al visitatore resta la possibilità di ammirare esternamente l’imponente struttura del tempio di via Bertora 6, costruito nel 1935 su progetto dell’architetto Francesco Morandi.
Prima del terribile autunno del ’43 la città di Genova era stata un punto di riferimento fondamentale per i tanti ebrei che a partire dagli anni Trenta avevano tentato la fuga dal regime nazista dalla Germania e dall’Europa centrale. Era nel capoluogo ligure infatti che operavano i volontari della Delasem, la società di soccorso per i profughi ebrei istituita su iniziativa dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane e qui diretta da Lelio Vittorio Valobra. Tornando alla Sinagoga, si può vedere in essa il simbolo di una comunità che all’epoca della sua edificazione aveva raggiunto cifre imponenti, con una popolazione che superava le duemila unità. E poi? E prima? ne scrive Camilla Marini in questo articolo: Genova e le sue storie ebraiche

Palma de Maiorca, una storia ebraica
Isola felice dal clima meraviglioso e le acque cristalline, Maiorca è una meta ambita dai turisti di mezza Europa e non solo. C’è chi vi giunge anche da più lontano, come Dani Rotstein, videomaker originario del New Jersey che nel 2014 è sbarcato sulla più grande delle isole Baleari con l’intenzione di staccare dalla vita newyorkese e girare qualche filmato commerciale. Ai tempi Dani non sembrava deciso a fermarsi, così come non pensava di poter trovare altri ebrei a Palma de Maiorca. È rimasto quindi molto stupito nel trovarvi una sinagoga e una piccola comunità che si riuniva il venerdì sera per le preghiere. Si trattava di un gruppo eterogeneo in cui aveva riconosciuto soprattutto ebrei trapiantati da Israele, l’America Latina e altre parti di Europa, un mix che pregava presso un tempio fondato nel 1987 da un gruppo di ashkenaziti inglesi.
Educato religiosamente, Dani aveva rinforzato la propria fede e il senso di appartenenza al mondo ebraico grazie ai campeggi giovanili ai quali lo inviavano in estate i suoi genitori, ma soprattutto nel corso di un anno passato in Israele. Al rientro a casa, non aveva dimenticato le emozioni provate in Terra Santa e aveva sviluppato il desiderio di vivere in modo pieno il proprio ebraismo. Curiosamente, avrebbe realizzato il suo sogno proprio a Maiorca, nel luogo più impensato. E non tanto per le esigue dimensioni della comunità locale, ma soprattutto perché gli sembrava che mancassero tracce di un passato più radicato e profondo. Era qui però che il giovane si sbagliava. Non solo Palma de Maiorca recava ancora nella pietra dei suoi palazzi e nei nomi delle sue vie la memoria di secoli di ebraismo, ma soprattutto perché la sua stessa storia non aveva in realtà mai visto la fine. A Maiorca gli ebrei che gli inquisitori avevano voluto annientare non erano mai scomparsi, anzi. E i loro discendenti sedevano oggi in Sinagoga accanto al nuovo arrivato. La storia completa nell’articolo di Camilla Marini,Palma di Maiorca, l’isola ebraica

Ferrara, città ebraica
Parlare della comunità ebraica ferrarese significa parlare di Ferrara. E viceversa. Non si tratta qui solo di un passato in cui gli ebrei hanno dato forma alla vita culturale, scientifica ed economica della città, ma anche di un presente che li vede tuttora tra i protagonisti della vita locale. A differenza di altri luoghi, a Ferrara la vita ebraica è tutt’uno con quella della città, ben fiera di quanto gli ebrei hanno dato e ancora offrono a istituzioni e vita pubblica.
Al turista che non si accontenti del presente ma voglia guardare anche al passato non mancano comunque le possibilità di indagine. Parliamo qui di una storia iniziata già nel Medioevo, quando i primi ebrei si stabilirono in diverse parti della città fin dal XIII secolo. La svolta sarebbe arrivata nel Quattrocento, con l’istituzione effettiva della prima comunità. Che si installò alle spalle del Duomo, in quella zona che poi disgraziatamente, due secoli dopo, sarebbe stata chiusa e trasformata nel ghetto.
Prima, però, la vita ebraica aveva potuto svilupparsi in seno a quella cittadina, con evidente profitto reciproco. A favorire questo momento d’oro, che abbraccia la fine del XIV secolo e quasi tutto il XV, erano stati gli Estensi che, inizialmente con Ercole I, aprirono le porte della città agli ebrei sefarditi in fuga dalla Spagna prima e dal Portogallo poi. Questi gruppi immigrati si affiancarono ai cosiddetti antichi ebrei che già vivevano in città, spesso provenienti dal centro Italia e dalle regioni del nord Europa. Tutta la storia lungo un itinerario narrato in Una passeggiata a Ferrara di Cmilla Marini.


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.