Cultura
Apologia (umoristica) della mamma. Il nuovo libro di Roberto Attias

Recensione semiseria di “Io e la mamma”, appena uscito per Efesto edizioni

Storie in stile quasi classico di un uomo ebreo. Ovvero, quanto una yiddische mame può rovinare la vita al proprio figlio. E la questione non cambia di un millimetro dalla versione classica neppure se la madre in questione si ribella alle convenzioni sociali (per cadere in altri clichè) ed è in perenne ricerca di libertà (salvo limitare quella altrui).

Ecco cosa succede in Io e la mamma, il libro di Roberto Attias, uscito per Efesto edizioni, che ha per sottotitolo Dramma semiserio per madre castrante e figlio attore cane. Ovvero come rovinarsi la vita gioiosamente in salsa ebraica! Si comincia subito: le prime pagine sono già la summa di quel che poi si srotolerà nel corso del volume come racconto biografico del figlio attore cane. Il sipario si apre proprio su di lui, adulto disperato che, davanti al matrimonio andato in frantumi, prende la decisione di togliersi la vita. Ma naturalmente, una volta allestito il necessario per farlo e soltanto pochi attimi prima che questo si realizzi, compare lei, la mamma. Una specie di tornado il cui fulcro è ben posizionato nel proprio io, capace di travolgere qualunque cosa trovi davanti alla sua furia distruttrice, la madre riesce non solo a evitare il suicidio del figlio, ma a stravolgerne per l’ennesima volta la vita. Assesta qualche colpo con maestria nell’ego dell’uomo disperato (dandogli informazioni inedite sulla donna che aveva sposato e anche su se stessa) e lo rimette in piedi grazie a un’operazione di distrazione perfetta, attraverso la quale si riafferma con decisione l’ordine gerarchico: la protagonista è comunque e sempre solo lei. Gli equilibri famigliari sono così ricomposti e il nostro attore cane, vittima una volta di più della madre castrante di cui sopra, si perde in un flashback lungo quanto la sua stessa esistenza.

Si comincia dagli anni della scuola elementare. Siamo a Roma, sul finire degli anni 70 e sua altezza la madre castrante naturalmente è una ex sessantottina in continua ribellione verso i clichè della società borghese, in continua ricerca di un uomo con cui accompagnarsi (o meglio, da fare a pezzi alla prima occasione), così come della propria libertà personale e professionale, a scapito di tutti. La nonna è il punto di riferimento per il ragazzino, che purtroppo una mattina prima di andare a scuola la trova morta nella sua poltrona. La madre non c’è, è in India tra Ashram e Festival yoga, ma viene miracolosamente raggiunta da un telegramma lanciato quasi nell’ignoto che la riporta in Italia. Da quel momento, rassicura il figlio, sarà lei a tenere in mano le redini della famiglia. E per quanto questa promessa faccia tremare i polsi del giovane figlio, la segue ubbidiente in una  peregrinazione infinita tra comunità più o meno artistoidi, più o meno spirituali, decisamente decadenti e perfette per raccontare uno spaccato di Roma in quegli anni. C’è tutto: l’ambizione di fare cinema, il desiderio di vivere fuori dalle regole prestabilite, di rompere gli schemi classici borghesi, di allevare il proprio figlio insieme ad altri ragazzini, di mangiare vegetariano e di dedicarsi a forme varie di spiritualità,  per comporre una vita da condividere con gli altri (anche tra le lenzuola). Ma il tentativo di perseguire la libertà attraverso la costruzione di una vita su misura, si infrange regolarmente contro le regole, altrettanto stringenti, imposte dalle realtà alternative che la madre intercetta. Così mamma e figlio vengono regolarmente cacciati da ogni microsocietà in cui tentano di stabilirsi.

C’è anche un colpo di reni del figlio che riesce, per amore, a liberarsi del suo gendarme madre almeno per un po’ , scegliendo di rimanere nel circo francese che li aveva ospitati temporaneamente. Lì impara tutto sull’arte circense, scopre le meraviglie dell’amore con una donna di cui si innamora (a parte la devozione inqueitante che lei – rumena – nutre per Causescu) e quando la madre decide che se ne sarebbero andati, è costretta ad avviarsi con la sua valigia in totale solitudine. Ma se si pensa che questa esperienza abbia tutte le caratteristiche per rappresentare il passaggio dalla fanciullezza e l’età adulta, con la conseguente affermazione di sè per costruire in autonomia la propria vita, ci si sbaglia di grosso. Perché la mamma, quel tipo di mamma, ebrea, castrante ed egoista, è soprattutto onnipresente. E di lei non ci si libera nemmeno facendo un gesto estremo come quello di togliersi la vita: inutile persino provarci, il tornado-madre arriva prima della morte!

Lo humor ebraico si declina pagina dopo pagina in salsa romanesca, con qualche tocco internazionale, per confezionare una commedia gustosa intorno al classico tema del rapporto madre-figlio. La biografia del figlio attore cane, che dopo l’esperienza francese tornerà a Roma nel tentativo di fare l’attore, si sposerà (con una donna che fa i soldi) per poi separarsi, tentare il suicidio e finire in ospedale per colpa dell’intervento miracoloso (certo, gli evita il suicidio) della mamma, è un susseguirsi di episodi tragicomici. Che definiscono, una volta di più, i poteri magici della yiddische mame. O forse, si potrebbe dire, di qualsiasi mamma ebrea.

Micol De Pas

È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.


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