Joi with
L’ironia? No, meglio la satira. Parola di Alberto Cavigla

Ospite al prossimo incontro in streaming per i JTalks messi a punto da JOI con l’assessorato giovani della CEM, incontro con il regista e scrittore romano

Ospite ai JTalks di questa sera sarà Alberto Caviglia, regista e scrittore ironico e piuttosto irriverente, che qualche mese fa ha pubblicato il suo romanzo Olocaustico (Giuntina). Titolo quantomeno coraggioso che coincide con una trama altrettanto coraggiosa incentrata su un ragionamento sulla Shoah. Anzi, su come fare a parlare di Shoah. E questa sera in streaming parlerà di ironia. Su Zoom e Facebook alle ore 18

“Credo che la satira sia una chiave interessante per parlare di temi gravi, importanti”.

Satira? Beh, è un po’ diversa dall’ironia, no?
“Sì esatto. La satira è qualcosa in più dell’ironia perché riesce a far scaturire la riflessione. La satira è un’arma più potente perché parte dalle cose reali, le esaspera mettendone in luce i meccanismi, compresa la gravità di quei meccanismi. Dunque, si ride di quell’esasperazione, ma resta anche un po’ di amaro e quell’amaro costringe a riflettere sulla realtà messa in ridicolo”.

Pecore in erba al cinema e Olocaustico in letteratura sono due lavori che propongono un ribaltamento della realtà, sprattutto dei luoghi comuni, riguardo due temi importanti, l’antisemitismo e la Shoah.
“Non avevo mai pensato di affrontare temi legati all’ebraismo e al mondo ebraico, ma poi mi sono reso conto che sono pensieri con cui mi confronto sempre. Era naturale esplorarli e cercare una strada per parlarne in un modo che non fosse quello canonico. Anzi, che mettesse anche un po’ in crisi i metodi canonici, spesso poco utili a creare un dibattito, un confronto e a smuovere le opinioni. Si rischia di essere didascalici e inefficaci. Quello che ho fatto, in fondo, è figlio della saturazione e della noia rispetto a quelle modalità, usando le chiavi dell’ironia e della satira per ribaltare i pregiudizi. E magari anche il politically correct: ha appiattito tutto, azzerato il coraggio e incoraggiato il perbenismo”.

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Si imapra a fare satira?
“Non lo so. Io non sapevo di esserene capace finché non mi sono messo a scrivere. Certo, sono sempre stato appassinato di una certa comicità, da Paolo Villaggio ai fratelli Marx, da Troisi a Woody Allen… Ma poi ho cercato la mia voce, l’unico modo sensato con cui dire quello che penso”.

E ora, in questo scenario diretto dal covid-19, c’è spazio per un po’ di satira?
“Ho molto scrupolo nel farla, stiamo vivendo una tragedia e non sappiamo quali dimensioni reali abbia. La satira può esistere in un rapporto tra tragedia e tempo: solo quest’ultimo rende possibile ironizzare sulle tragedie Poi certo, non posso fare a meno di avere un sorriso amaro rispetto alla quarantena, cui ci siamo condannati da ben prima di questa pandemia”.

Cioè?
“Ci stavamo abituando a vivere sempre di più in casa, in una società in disintegrazione: chiudono i cinema perché ci sono le piattaforme, chiudono i ristoranti perché ci sono le consegne a domicilio, chiudono i negozi perché si fa lo shopping online: la vita, da qualche anno, è sempre più ridotta entro le mura di casa. E la resilienza, che da una parte aiuta ad affrontare le situazioni difficili in una forma di adattamento intelligente, dall’altro ci consegna un po’ in maniera rassegnata a questi cambiamenti epocali”.

Un consiglio ai giovani che volessero seguire le sue orme?
“Primo, cambiate lavoro. Secondo, nel caso proprio non abbiate alternative, perseverate!”.

Micol De Pas

È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.


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