Cultura
Israele, l’amore, la guerra e le parole di Sarai Shavit

Intervista all’autrice di “Lettera d’amore e d’assenza” edito in Italia per Neri Pozza

È l’8 di ottobre, il secondo giorno di guerra in Israele. Sarai Shavit, “la nuova star della letteratura israeliana” secondo lo scrittore Eshkol Nevo, è attesa a Milano per un incontro pubblico sul suo libro, Lettera d’amore e d’assenza, edito da Neri Pozza. Abbiamo un appuntamento in un albergo, qualche ora prima, per l’intervista. Mi sembra impossibile che riesca ad arrivare a Milano dall’aeroporto di Tel Aviv. Eppure mi appare all’improvviso tra le porte dell’ascensore, con un sorriso largo, gli occhi luminosi e in mano la tazza di un cappuccino appena consumato. «Mi scusi», mi dice, «Sono arrivata solo un paio di ore fa…».
41 anni, chiusa in un abito nero che le lascia scoperte le spalle e un viso fresco, struccato, è autrice di un libro che metterebbe in crisi qualunque bibliotecario: non si può catalogare per genere. Poesia in prosa o romanzo poetico è la forma di una lettera che la protagonista scrive al suo amato ma che non gli consegnerà mai. Perché è un’analisi profonda di se stessa e della loro relazione, quella tra un uomo maturo e una giovane donna. Un libro denso, intenso come l’amore a quelle latitudini, come la morte in quel luogo del mondo, come la vita, così preziosa. Non posso non chiederle di commentare quello che sta accadendo nel suo Paese.
«Sono passate meno di 48 ore e la situazione è veramente dura. Ci sono attualmente più di 400 morti, tra questi purtroppo anche persone a me vicine, e un centinaio sono state rapite e portate a Gaza. Stamattina ho ricevuto messaggi di amici che non possono uscire di casa perché si spara per strada. È una guerra. Una guerra come quelle antiche, un faccia a faccia drammatico. Il governo israeliano avrebbe dovuto prendere le sue decisioni, strategiche, sul conflitto, cosa che non ha fatto per troppi anni, e  fare i conti con la situazione interna che al  momento è molto complicata. C’è un forte scontento nella società israeliana e credo che i nemici abbiano colto questa situazione di debolezza. Questa guerra è un risultato, non un un inizio».

Com’è cambiata negli ultimi 20 anni?
«Ricordo il giorno dell’assassinio di Itzhak Rabin. Avevo 14 anni, e da allora è cambiato tutto. Abbiamo un grosso problema con la destra, quella estrema, religiosa, che utilizza la religione e la cultura ebraica per promuovere ideologie rigide, fasciste. E questo per le persone moderate, è insopportabile. Ma è anche un momento positivo per il cambiamento, la gente protesta in grosse manifestazioni, molto partecipate anche dagli esponenti del mondo della cultura. Vogliono ricostruire Israele e usano il potere delle loro parole per mostrare agli altri cosa sta realmente accadendo e che non possiamo più sopportare…».

Il potere delle parole trattiene la sua attenzione e il suo libro in ebraico ha un titolo che suona come il talento di parlare in pubblico e la protagonista è affascinata dal suo amante per la sua arte oratoria. La sua scrittura, infine, è precisa e puntuale, poetica e in prosa al contempo. A cosa servono le parole?
«Le parole servono a raccontare la storia. Quella di ognuno, privata, ma anche quella collettiva, più grande, con la maiuscola. Le parole creano la storia e la nostra visione del mondo».

Dunque qual è il compito degli scrittori in Israele oggi?
«Usare le parole con saggezza, non solo per intrattenere ma anche per sviluppare nei lettori il senso critico. L’uomo di cui è innamorata la protagonista è uno scrittore famoso e ha scritto sulle guerre in Israele. Qualcosa che può accadere, credo, solo in questo Paese dove in ogni racconto, romanzo, poesia è presente la storia del luogo in cui viviamo o il Medioriente».

Rispetto alla guerra attuale, sono parse evidenti similitudini con guerre precedenti. Ma la notizia delle violenze commesse nel kibbutz sono totalmente inedite e drammatiche. Colpiscono un simbolo.
«A costruire il kibbutz Nir Oz hanno contribuito i miei genitori, negli anni 60. Sono orfana da tanto tempo, ma loro ci hanno vissuto  per qualche anno, prima di andare all’estero. E ora quel kibbutz non esiste più, è stato raso al suolo. Per questa guerra pagheremo un prezzo altissimo tutti, noi israeliani e chi vive a Gaza e non ha nulla a che fare con Hamas».

Parliamo delle sue parole, quelle cha ha messo in Lettera d’amore e d’assenza. Perché ha scelto questa forma stilistica?
«Scrivo sia prosa che poesia e qui ho voluto usare la bellezza della poesia e la forza della prosa insieme. Per scrivere una storia d’amore con strumenti nuovi».

Quanto c’è di autobiografico?
«La storia è inventata, ma prende spunto dall’esperienza reale di una mia cara amica. Poi c’è il fatto, invece autobiografico, d’essere orfani. Lo sono entrambi i personaggi».

L’assenza è un fattore importante nel romanzo. Perché?
«È l’elemento di equilibrio tra i due amanti. Lei vuole imparare da lui la straordinaria arte delle parole. Lui, di contro, soffre per la recente perdita della madre e vuole imparare da lei, sola da molto tempo, come si fa a essere orfani. Poi c’è la distanza tra le loro vite private, ma unite da una passione forte».

È l’amore?
«Forse. Una volta da bambina chiesi a mia madre se esistesse Dio. Mi rispose di no, distrattamente. Allora le chiesi se c’era qualcos’altro e lei mi rispose: l’amore».

Qualcosa di simile alla musica?
«La musica fa parte di me. Sono stata una pianista da ragazza e la scrittura è figlia della musica. Spesso sento la musicalità delle frasi prima ancora di scriverle e il ritmo accompagna ogni mia pagina. Credo che ogni poeta sia un po’ musicista».

Questo libro parla anche della ricerca d’identità di una giovane donna.
«Sì, parla di uomini e donne e della difficoltà di una donna, giovane, ad affermarsi come scrittrice in un mondo di uomini. Nella società israeliana, le donne che ricoprono ruoli importanti sono poche. C’è un problema identitario poi anche a livello sociale: non mi identifico con il governo come molta parte della società israeliana, e non è facile. Infine, c’è anche un elemento biografico: non ho avuto i genitori, dunque non ho avuto un modello a cui guardare per capire come si fa a diventare grande».

Le chiedo ancora se Israele ha un pubblico di lettori forti (sì, mi risponde) e se anche le storie d’amore si possono raccontare in tanti modi diversi (di nuovo, sì). Poco dopo la ascolto alla presentazione del suo libro con Eshkol Nevo e le domande di Victor Zanfretta. «L’amore è un’illusione», risponderà, per poi sottolineare che l’amore vissuto in Israele, come dirà anche Nevo, ha un’intensità particolare per contiguità con la morte. «Se vuoi amare, ama subito!» sentenzierà lui, secco. E l’assenza?
Poco dopo guardo le parole che mi ha dedicato firmando la mia copia del sul libro: pray for peace, mi scrive, in questo 8 ottobre 2023.

 

Micol De Pas

È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.


1 Commento:

  1. Che testimonianza dolce e forte, quella di Sarai e di Micol, che riescono a parlare di ciò che più desideriamo e di ciò che conosciamo molto più attraverso la sua assenza…. La pace e l’amore!


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