Cultura
Giorno della memoria? E se si parlasse di orgoglio ebraico? Dialogo con Emanuele Calò

Intervista fuori schema con il giurista, presidente del comitato scientifico dell’Osservatorio Solomon e autore del romanzo “Gite ad Auschwitz”

Giurista, presidente del Comitato scientifico di Solomon – Osservatorio sulle discriminazioni – e scrittore, Emanuele Calò è anche l’autore di un libro singolare, Gite ad Auschwitz, pubblicato dalla casa editrice David and Matthaus. Il prossimo appuntamento con la presentazione è previsto a Firenze, dove l’Associazione Italia-Israele, in collaborazione con il Comune, ha promosso l’iniziativa per lunedì 20 gennaio 2019.

Un tema delicato, che ha a che fare con la conservazione della memoria, con il fare memoria e con il significato che la Shoah ha nel mondo ebraico contemporaneo. Calò viaggia con la fantasia nel suo romanzo d’invenzione, (“Altrimenti avrei scritto un saggio”, sottolinea lui, precisando che “ogni romanzo è un’invenzione”), surfando con ironia (e sarcasmo) su temi delicati della discriminazione razziale, della deportazione e della memoria. Temi attuali in questo momento storico in cui l’antisemitismo si presenta con decisione nelle società europee e il fare memoria pare talvolta stritolato in una istituzionalizzazione sterile e inefficace.

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Ne abbiamo parlato con Emanuele Calò, in una lunga chiacchierata che a partire dal suo libro, ha raggiunto la Giornata della Memoria il ruolo delle istituzioni che rappresentano l’ebraismo in Italia e soluzioni alternative per rivitalizzare l’orgoglio ebraico. Buon viaggio!

Mi ha detto che ogni romanzo è un’invenzione, certo. Ma cosa voleva mettere in luce attraverso Gite ad Auschwitz, un viaggio quasi distopico, tra passato e futuro?
Quando si scrive un romanzo si agisce sulla base delle emozioni, sono scelte spontanee. Volevo mettere in luce il paradosso di questo periodo storico in cui il rapporto con la realtà è particolare.

Allude alle fake news, per esempio?
Le religioni potrebbero essere delle fake news, perché chi non appartiene a quella religione specifica, la ritiene una fake news. Così come chi non partecipa a una determinata ideologia. No, non alludo a questo, le fake news per me hanno a che fare con le leggende metropolitane. Qui è un discorso filosofico perché tutta la filosofia ruota attorno alla realtà. Poi ci sono i fatti e il rapporto con i fatti concreti come il negazionismo e la demonizzazione degli ebrei.

Cioè?
In letteratura l’esempio più eclatante è quello di Romeo e Giulietta: a causa di una notizia sbagliata, muoiono entrambi. Non di una falsa notizia, attenzione, ma di una sbagliata. L’altro fenomeno che ci coinvolge particolarmente è quello di credere nelle notizie in cui si vuole credere. Se ne era già accorto Giulio Cesare che lo racconta nel De Bello Gallico, lo si può vedere oggi nei commenti dei giornali online: molti lettori esprimono il proprio antisemitismo nella selezione di notizie contro gli ebrei e contro Israele. Un processo che mi ha affascinato perché estrapola alcune notizie dal contesto, in modo che siano conformi al proprio pregiudizio.

Secondo lei si può commercializzare la Shoah?
Espresso in questo modo non ne ho contezza. Ma Rav Disegni in tempio e Rav Della Rocca nel suo testo Con lo sguardo alla luna fanno riferimento a una religione della Shoah.

Per sottolineare una ritualità eccessiva?
Per la tendenza a fare riferimento ossessivamente alla Shoah: una deformazione. Perché impedisce di puntare gli occhi sul presente. Bisogna risolvere i traumi, come si fa con i lutti, attraverso l’elaborazione.

Forse su fatti di queste dimensioni non è così semplice…
Nelle comunità ebraiche si ritiene che i terzi debbano rispettare gli ebrei in quanto vittime di un trauma. Ma così si perde autorevolezza perché si viene riconosciuti solo in base a quell’elemento qualitativo. E poi, è come dire che prima della Shoah non esistevamo: tu, ebreo, non esisti senza trauma. Non siamo abbastanza maturati.

Noi… chi?
Le istituzioni non sono abbastanza mature per avere un approccio alla memoria corretto. Ne ho parlato a una tavola rotonda dal titolo Usi e abusi della Shoah a Radio Radicale, con Barbara Pontecorvo (membro del Progetto Dreyfus), Franco Pavoncello (presidente John Cabot University), Maria Elena Boschi (deputato, Partito Democratico), Ernesto Galli Della Loggia (professore), Roberto Della Rocca (rabbino), David Meghnagi (professore). E Galli Della Loggia si è dichiarato contro la memoria e a favore della storia. Ecco, sono d’accordo con lui.

Dunque cosa bisogna fare, stando dalla parte della storia?
Non basta enunciare il danno, va detto anche che è ingiusto. Questo è un insegnamento giuridico che significa in questo caso che occorre informare adeguatamente. Perché l’informazione deficitaria, soprattutto su Israele, finisce per alimentare l’odio e creare un quadro falsato del Medioriente. Sa che se chiede cosa sia il sionismo a chi si dichiara antisionista il più delle volte non sa risponderle? Ecco, questa è falsa informazione. Anche Mein Kamps è falsa informazione e sulle sue parole sono stati fatti sei milioni di morti. Un libro assurdo, ma pensi al successo che ha avuto! Ecco, bisogna aver paura delle stupidaggini!

E per ricordare cosa è stato?
Perché non facciamo un Jewish Pride, esattamente come si fa il Gay Pride? Sarebbe molto più efficace, invece di mettersi a piangere… E perché non rivolgiamo la domanda al positivo: Come hanno fatto gli ebrei a sopravvive? Anziché chiedere perché sono sempre stati perseguitati?

Joimag ha incontrato a Roma Ginette Kolinka, sopravvissuta al campo di Birkenau che, dopo anni di silenzio ha deciso di raccontare, così va nelle scuole ma soprattutto accompagna i ragazzi a visitare Birkenau, il campo che l’ha tenuta prigioniera. Un lavoro…
Non utile. A che serve stare nel luogo?

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Kolinka mostra quel che ha visto e vissuto nelle baracche… E il suo obiettivo è proprio quello di passare ai giovani il testimone, in modo che siano loro a portare avanti, dopo di lei, la memoria.
La civiltà deve diventare laica e anche gli ebrei devono imparare a essere più laici, separando la vita religiosa da quella laica. Anzi, penso si dovrebbe ragionare sul Concordato per valutare se è ancora utile o se sarebbe meglio che l’ebraismo ufficiale fosse fatto di una pluralità di comunità (cosa che di fatto è già in atto).

Sta parlando dell’Ucei?
L’ebraismo ufficiale non mi entusiasma. L’Ucei dovrebbe avere un consiglio composto dai presidenti delle comunità e non un parlamentino fatto di gente eletta politicamente. E poi penso che le istituzioni non debbano essere un punto fisso: credo nel pluralismo, mentre in Italia siamo troppo statalisti e troppo fascisti. Flaiano diceva che i fascisti si dividono in fascisti e antifascisti…

 

 

 

 

 

Emanuele Calò, Gite ad Auschwitz, sarà presentato il 20 gennaio, alle ore 17.00, nella Sala Firenze Capitale di Palazzo Vecchio, con Ugo Caffaz, Adele De Bonis, Gigliola Sacerdoti Mariani e l’autore.

 

Micol De Pas

È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.


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