Cultura Cibo
La spongata, dolce natalizio di origine ebraica

Storia (con ricetta) di un dolce dalle origini controverse. Tra Emilia Romagna, Toscana e Liguria

Che la spongata abbia origini ebraiche per alcuni è un dato di fatto. Per altri l’argomento è motivo di accesa discussione. Alla prima categoria apparterrebbe Ariel Toaff. Nel suo Mangiare alla giudia, lo storico afferma infatti che non ci siano dubbi che questo dolce fosse (e sia) ebraico, presumibilmente sefardita. I tanti che seguono tale teoria fanno risalire la diffusione di questa torta, tra i cristiani associata al Natale, all’arrivo in Emilia a fine Quattrocento degli ebrei scacciati dalla Spagna.
Chi invece non è persuaso dalla spiegazione recupera citazioni di questa preparazione in testi latini, primo fra tutti il Satyricon di Petronio, individuandone la diffusione fin dall’antichità romana. Ed escludendone, almeno in apparenza, le influenze ebraiche. Poi c’è chi, timidamente, attribuisce a cuochi ebrei lo sviluppo e il perfezionamento di un dolce che, a base di frutta secca, miele e spezie, di originale avrebbe ben poco, considerata la diffusione di questi ingredienti tra i popoli più diversi, fin dalla nascita della stessa arte pasticciera.

Prima di addentrarsi, seppure in punta di piedi, in questa intricata per quanto golosa questione, vale la pena di procedere con alcune definizioni e distinzioni. Innanzi tutto, banalmente, andrebbe detto di che cosa si sta parlando.
Diffusa in Emilia Romagna, ma anche in Toscana e in Liguria, in quella zona di confine e di contaminazioni che prende il nome di Lunigiana, la spongata si presenta come una torta rotonda e piatta, con una copertura di zucchero croccante (o a velo) e un ripieno di frutta secca, miele e spezie. Ecco, qui finisce la definizione di massima e si è costretti a passare alle distinzioni, che sono sì territoriali, ma che si fanno via via sempre più capillari entrando non solo nei diversi Comuni, ma anche nelle tante cucine in cui questo dolce viene preparato.
Tra le spongate più diffuse e conosciute troviamo quelle emiliane, in particolare quella nata a Brescello, tra i più antichi avamposti gallo-romani della regione (oltre che, molto più tardi, teatro delle vicende di Don Camillo e Peppone). In tutta la Bassa, però, ne esistono innumerevoli varianti, così come sia Sarzana sia Pontremoli ne reclamano una ricetta doc. Non è questa la sede per decidere quale sia la preparazione migliore né tanto meno la più autentica, ma resta il fatto che alcune differenze vanno messe in luce.
Confrontando le ricette, infatti, pare che nei dolci emiliani tenda a prevalere la pasta sul ripieno, mentre in quelli toscani la sfoglia sarebbe tirata più sottile, dando la preminenza alla farcia. Ma se sulla pasta non ci sarebbero comunque troppe varianti, trattandosi di caso in caso di lievi modifiche dell’impasto di una frolla (o, per alcuni, della meno dolce brisée), è sul ripieno che si trovano le differenze più notevoli.
A Brescello, ad esempio, nel mix di frutta secca non comparirebbero le nocciole, mentre tra le spezie non ci sarebbero i chiodi di garofano. A Berceto fa la sua comparsa, tra il miele, la frutta e le spezie, anche la mostarda. A Busseto canditi e frutta secca si presentano a tocchetti ben visibili, mentre a Sarzana si aggiungono confettura e fichi secchi. Poi, in ordine sparso, c’è chi mescola pinoli, mandorle, noci e canditi a un mix di spezie (che oggi è possibile trovare già bell’e fatto), unendovi pangrattato e amaretti per dare consistenza, chi scalda la frutta secca nel miele stesso e chi ancora utilizza tra gli altri ingredienti il cioccolato o diverse conserve di frutta, tra cui la stessa mostarda.

Sulla pratica di ingabbiare un mix di bontà in un guscio di pasta è sinceramente un po’ difficile individuare una sola origine comune, trattandosi di una tradizione che si perde nella notte dei tempi. Molto più fruttuoso, invece, sarebbe studiare il ripieno. Si scoprirebbe, così, che frutta secca, miele e spezie sono anche i protagonisti di un dolce dalle origini indiscutibilmente ebraiche come lo sfratto dei Goym, diffusosi nel Seicento a Pitigliano e zone limitrofe, ma sviluppatosi ben prima nelle cucine delle prime comunità ebraiche toscane. E che lo stesso metodo di preparazione della farcia, che consiste nello scaldare la frutta secca nel miele, aggiungendovi scorze di agrumi e spezie in quantità variabili, è un interessante punto di unione tra i due dolci. Una prova, come minimo, del perfezionamento della spongata per mano ebraica. Sempre a questo proposito, diversi studiosi di gastronomia riconoscono i debiti della cultura italiana nei confronti delle cuoche ebree, i cui charoset di Pesach sarebbero stati come minimo di ispirazione per la preparazione della farcia.
Chi contesta le origini sefardite del dolce e ne colloca la nascita in epoca romana, non ha in realtà dalla sua che citazioni latine con vaghe assonanze con il nome del dolce. Al riguardo, va ricordato che la parola spongata deriverebbe non troppo misteriosamente dal latino spongia, ossia spugna, e che essa farebbe semplicemente riferimento alla superficie ondulata e bucherellata della pasta e non all’esistenza di una torta così definita.
Più probabile è il fatto che il dolce abbia visto la luce nella sua forma primitiva in epoca medievale, assumendo l’aspetto più vicino all’attuale intorno al XIV secolo. Questo potrebbe essere un motivo di contestazione alle origini sefardite, visto che il decreto dell’Alhambra che mette al bando gli ebrei dai territori spagnoli è del 1492, ma non a quelle ebraiche tout court. In Emilia Romagna, infatti, le prime comunità si sarebbero insediate in maniera capillare già nel XIII secolo con la bellezza di trentasette luoghi documentati. Le occasioni di incontro tra cuochi e tradizioni, quindi, non sarebbero mancate, pur tenendo conto delle inevitabili diffidenze reciproche.

La strada percorsa da questo dolce, poi, ne avrebbe comunque portato la diffusione tra le regioni dell’Italia del Nord, area di passaggio di quella via Francigena seguita dai pellegrini d’Oltralpe in marcia per Gerusalemme. Che fossero questi umili viandanti a mettere in saccoccia un dolce tanto ricco è in realtà una teoria un po’ discutibile, di cui tra l’altro non esistono prove. Più facile, in compenso, è trovare fonti che raccontino di come nei conventi in epoca rinascimentale si fosse diffusa l’abitudine di confezionare questi dolci come dono e ringraziamento per eventuali sovvenzioni e di come tanta bontà avesse cominciato a muoversi tra le regioni.
Tra le citazioni più note di quello che nella stessa Brescello alcuni chiamano ancora il “dolce degli ebrei”, c’è una missiva del 1454 spedita dal Referendario Generale di Parma Giovanni Botto. La lettera accompagnava una serie di dolci natalizi inviati al Duca di Milano Francesco Sforza e vi si citava esplicitamente la spongata. In altri documenti la torta viene, più prosaicamente, indicata come un dono che i proprietari terrieri offrivano ai coloni in cambio di capponi e altri beni, mentre il 6 gennaio del 1473 il duca Ercole di Ferrara, a zonzo per la città, sarebbe stato omaggiato dai suoi sudditi proprio con questa prelibatezza. 
Infine, in tempi relativamente più recenti, pare che anche Giuseppe Verdi fosse un grande estimatore della spongata, prodotta a Busseto dal 1867 della Pasticceria Muggia. Un nome, guarda caso, di origini ebraiche.

Spongata

Ingredienti:

300 g di farina
100 g di burro
150 g di zucchero
50 g di uvetta
50 g di noci
50 g di nocciole tostate
50 g di mandorle
30 g di pinoli
50 g di cedro candito
50 g di arancia candita
200 g di miele chiaro
150 ml di vino bianco secco
100 g di pane biscottato
noce moscata
cannella in polvere
zucchero a velo
olio di semi
sale
pepe in grani

Procedimento

Ammollare l’uvetta in acqua tiepida per 20 minuti. Nel frattempo, tritare le noci e le nocciole. Ridurre in polvere le mandorle passandole al mixer (o pestandole nel mortaio) con 2 cucchiai di zucchero.
Mescolare il miele in un pentolino con 50 ml di vino e scaldarlo per qualche istante mescolando, poi fuori dal fuoco aggiungere il pane biscottato sbriciolato finemente, una grattugiata di noce moscata, mezzo cucchiaino di cannella e una macinata di pepe.
Amalgamare e unire le mandorle e il trito di noci e nocciole, poi mettere di nuovo su fuoco basso per qualche minuto. Unire fuori dal fuoco i pinoli, il cedro e l’arancia canditi a dadini e l’uvetta scolata e strizzata. Lasciate riposare il composto in luogo fresco per almeno 24 ore.
Impastare velocemente la farina con lo zucchero semolato rimasto, un cucchiaio di olio, il burro morbido, un pizzico di sale e il vino bianco tenuto da parte. Formare una palla e lasciare riposare in frigo per almeno 30 minuti.
Stendere la pasta in una sfoglia piuttosto sottile e ricavarne due dischi, sistemarne uno su una placca imburrata e infarinata, stendervi il ripieno preparato, coprire con la seconda sfoglia e fare aderire i bordi.
Punzecchiare la superficie, spennellare di olio e lasciare riposare per un giorno. Cuocere infine la spongata in forno già caldo a 190° per 30-35 minuti. Fare raffreddare, spolverizzare di zucchero a velo e servire.

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


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