Cultura Cibo
L’aneto nella cucina ebraica

Nell’Europa del centro e dell’est l’aneto è diventato quasi sinonimo di cucina ebraica, come ricorda Eve Jochnowitz, studiosa di cultura yiddish e delle abitudini culinarie ashkenazite

L’aneto è un po’ la menta del nord. Molti dei piatti che hanno viaggiato dal Medio Oriente ai Balcani o tra i diversi paesi dell’Europa settentrionale si sono trasformati strada facendo, acquisendo gli ingredienti che trovavano sulla via. L’aneto è uno di questi, tanto diffuso in Russia e in Polonia da sostituire in molti piatti le erbette diffuse a sud, più amanti del sole. Questo però non esaurisce la sua natura. Tanto è vero che molti piatti della tradizione dell’est come quella indiana non mancano di aggiungere questa piantina, sia sotto forma di erba sia di spezia, utilizzandone i semi.

Gli ebrei hanno dato un enorme contributo alla fortuna dell’aneto. Al punto da averne fatto la cifra distintiva di gran parte della loro gastronomia. Di sicuro, di quella delle popolazioni del centro e dell’est Europa. È qui che l’aneto è diventato quasi sinonimo di cucina ebraica, come ricorda Eve Jochnowitz, studiosa di cultura yiddish e delle abitudini culinarie ashkenazite. Secondo la storica sarebbe proprio l’aroma di questa pianta parente stretta del prezzemolo a caratterizzare un piatto ebraico in quanto tale.

Un esempio classico è rappresentato dai cetrioli in salamoia, i cosiddetti pickle. Preparazione simbolo degli ebrei ashkenaziti, questi ortaggi conservati grazie alla lattofermentazione vengono aromatizzati tradizionalmente con l’aneto e sono per questo chiamati pickle dill o, semplicemente, solo dill. Questo di sicuro accade negli Stati Uniti, dove gli ebrei dell’Europa orientale hanno importato a fine Ottocento le loro preparazioni tipiche, dando il via a una produzione che da familiare, limitata alle dispense casalinghe o tuttalpiù ai carretti dei venditori porta a porta, si è sviluppata fino a diventare industriale.

Non di sole conserve vive però la tradizione gastronomica ashkenazita. E anche negli altri grandi classici della cucina yiddish ritroviamo le foglioline sottili e profumate di questa erbetta spesso confusa con il finocchietto. È il caso della zuppa di pollo, il cui aroma caratteristico è, guarda un po’, proprio quello dell’aneto. Sempre secondo quanto ricorda la Jochnowitz, gli ebrei dell’Europa centrale e orientale hanno fatto propria questa erbetta, incorporandola in un cerimoniale unicamente ebraico comprendente piatti come la goldene yoykh, la ricca zuppa di pollo servita ai matrimoni o per Shabbat. Non troppo diversamente sono andate, e vanno ancora, le cose con le patate bollite, classicamente condite con l’aneto tritato, con le insalate e con le zuppe vegetali come il borscht, sia nella sua versione calda sia in quella fredda.

Tanta fortuna nelle terre più a nord sarebbe dovuta alla relativa facilità con la quale l’aneto cresce anche alle basse temperature, pur non disdegnando i climi più miti, quando non caldi. Secondo lo storico dell’alimentazione Gill Marks, i semi di aneto sarebbero tra le poche spezie provenienti della Russia, mentre la Jochnowitz sostiene che sia probabile che questa aromatica abbia avuto inizialmente successo in Polonia, conquistando in un secondo tempo gli abitanti delle terre vicine. Dal canto loro, gli studiosi di botanica sono concordi nell’individuare l’origine dell’aneto in Asia, anche se già nell’antichità la piantina aveva fatto la sua comparsa nei paesi affacciati sul Mediterraneo.

Antichi papiri egiziani tratterebbero delle virtù dell’aneto, così come pare che in Giudea fosse già coltivato oltre duemila anni fa. A questo proposito è interessante notare che il Talmud (Avodah Zarah 7b) ne parlerebbe ricordando l’impiego dell’intera pianta, “l’aneto è decima, seme, verdura e stelo”, indicando cioè che tutte le parti dell’aneto sono utilizzabili e quindi soggette a decima. Prova indiretta della diffusione di questa erba nell’antichità sarebbero anche le parole di Matteo, che nel suo Vangelo 23-23 ammonisce: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell’aneto e del cumino, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge”.

Molto apprezzata presso i Romani, l’aromatica dai fiori a ombrello veniva usata sia per le sue virtù culinarie sia per quelle medicamentose. Citata dal cuoco e gastronomo Marco Gavio Apicio nella preparazione di diversi piatti, tra cui proprio un pollo all’aneto, era usata anche con la speranza che aumentasse la forza fisica. Per questo motivo, pare che i gladiatori aggiungessero l’erba a quasi ogni vivanda come condimento, mentre i legionari cospargevano con i suoi semi bruciati le ferite allo scopo di facilitarne la guarigione. Non erano da meno i Greci, che lo consideravano un simbolo di prosperità e ostentavano la loro ricchezza bruciando olio addizionato con l’aneto, ritenuto tra l’altro anche un afrodisiaco. Tra gli altri, Pitagora raccomandava di tenere un fascio di questa erba nella mano sinistra per prevenire le crisi epilettiche.

I paesi del profondo nord hanno fatto comunque la loro parte fin dagli albori della diffusione della versatile ombrellifera. Molto amato in Scandinavia nel passato così come oggi, l’aneto dovrebbe ringraziare proprio le antiche lingue nordiche per il suo nome inglese e tedesco. Dill deriverebbe da dilla o dile, che significa calmante. E infusi e preparazioni a base di aneto sarebbero stati in effetti usati fin dall’antichità per calmare il pianto dei bambini sofferenti per la dentizione così come per placare i dolori di stomaco.

Tornando all’impiego alimentare, la diffusione dell’aneto dal nord al sud ha fatto sì che paesi anche lontanissimi tra loro ne condividessero il profumo, ma è dove le altre erbe e spezie scarseggiavano che è diventato un simbolo della gastronomia locale. Insieme all’erba cipollina e al prezzemolo l’aneto fa parte delle erbe base della cucina russa, polacca, baltica e scandinava, sostituendo aromi come la già citata menta o il basilico in insalate, salse e formaggi. Claudia Roden lo cita tra i sapori tipici sia della Palestina, della Grecia e della Turchia sia della Georgia, della Polonia e della Russia. Nel suo Book of Jewish Food parla dei semi di aneto tra gli insaporitori dei pani preparati nelle regioni più fredde d’Europa e, oltre a ricordare gli immancabili cetriolini in salamoia, cita le foglioline di aneto nel ripieno al formaggio dei knish, i fagottini di pasta tipici della cucina ebraica ashkenazita giunti negli Stati Uniti dalla Russia. Sempre la studiosa di origini egiziane inserisce l’aneto tra gli ingredienti base per marinare il salmone, così come per comporre molte salse che accompagnano il pesce.

Anche passando alla tradizione sefardita, l’aneto la fa comunque da padrone. Sempre la Roden lo propone come alternativa alla menta nella preparazione della salsa allo yogurt usata per condire l’insalata di cetrioli così come nel ripieno dei rotolini di foglie di vite al riso. Diffusi in diversi paesi del Medio Oriente, questi involtini sono preparati tra gli altri anche dai turchi e dai siriani, che amano sostituire il finocchietto con l’aneto. Questa stessa erbetta tritata compare poi anche nel composto al formaggio dei “sigari” degli ebrei mediorientali o nella sfogliata agli spinaci greca così come nelle diverse varianti della zuppa allo yogurt. A base di un altro ingrediente dall’uso trasversale, questa pietanza impiega l’aneto sia nella sua versione mediorientale, a base di spinaci e di riso nella tradizione persiana, sia in quella balcanica, a base di cetrioli secondo la ricetta bulgara.

Insalata di patate rosse

 Ingredienti

500 g di patate rosse

200 g di maionese

30 g di senape piccante

20 g di salsa cren (rafano)

150 g di cetriolini in salamoia

1 grosso ciuffo di aneto

semi di cumino

sale

pepe in grani

Riempire una pentola di acqua salata e portarla a ebollizione. Aggiungere le patate perfettamente lavate ma non sbucciate e tagliate a tocchi, poi cuocerle per 10 minuti o comunque fino a quando saranno tenere ma ancora sode. Scolarle e passarle subito in acqua fredda, poi metterle di nuovo nella pentola calda a fiamma bassa per 1-2 minuti, per farle asciugare. Tenerle quindi da parte.

Scolare e tritare i cetriolini, poi mescolarli in una larga ciotola con la salsa cren, la maionese, l’aneto tritato, una presa di sale, una macinata di pepe e una spolverizzata di semi di cumino.

Mescolare le patate cotte con il condimento preparato fino a ricoprirle completamente, riporle quindi in frigo e lasciarle riposare per almeno 3-4 ore (meglio ancora per una notte). Servire guarnendo a piacere con ciuffetti di aneto.

 

Zuppa di yogurt alla persiana

Ingredienti

500 ml di yogurt

1 mazzetto di cipollotti

500 g di cetriolini in salamoia

50 g di uvetta

1 grosso ciuffo di aneto

sale

6 cubetti di ghiaccio

Ammollare l’uvetta in una ciotolina con acqua fredda per 10 minuti, poi scolarla e strizzarla, Pulire i cipollotti privandoli della base e della parte verde e dura delle foglie, poi tritare finemente i bulbi bianchi. Scolare i cetriolini e tritare anch’essi finemente.

Pulire l’aneto con carta da cucina inumidita, poi tritarlo con un grosso coltello e tenerlo da parte. Versare lo yogurt in una larga ciotola con 250 ml di acqua fredda, insaporirlo con una presa di sale e mescolarlo con una frusta. Aggiungere tutti gli ingredienti preparati allo yogurt, mescolare ancora, unire i cubetti di ghiaccio e lasciare raffreddare qualche istante prima di servire guarnendo con ciuffetti di aneto.

 

 

 

 

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


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