Cultura
Londra commemora Ami Shachori, il diplomatico israeliano ucciso cinquant’anni fa

Una cerimonia in presenza dei figli per ricordare il sacrificio di Shachori morto a causa un pacco bomba esploso nel suo ufficio

Sono passati cinquanta anni dalla notte di quel 5 settembre 1972 in cui, nel corso delle Olimpiadi di Monaco, persero la vita undici atleti israeliani massacrati dal gruppo terroristico palestinese  “Settembre Nero” che ha continuato ad essere operativo fino al 1988. Sempre nel ’72, due settimane dopo il massacro di Monaco, vennero attaccati personaggi illustri appartenenti al corpo diplomatico israeliano in Europa. Il 19 settembre vennero spediti in contemporanea, in diverse ambasciate europee, pacchi indirizzati a diversi funzionari scelti per il ruolo internazionale di rappresentanza che avevano in quegli anni.

Tra questi, il primo a ricevere e ad aprire il primo ordigno, sacrificando la propria vita, ma interrompendo la catena di altri massacri – poiché tutte le altre ambasciate furono immediatamente avvertite del pericolo – fu Ami Shachori, allora Attache Economico presso l’Ambasciata israeliana a Londra.


La carriera di questo diplomatico era iniziata in Israele grazie alla dedizione allo sviluppo agricolo del Paese. Aveva studiato Agraria presso l’Università di Berkley, in California, dove, oltre all’ebraico e al russo,  acquisì una padronanza perfetta dell’inglese che presto gli permise di partecipare a seminari in tutto il mondo in rappresentanza del Ministero dell’Agricoltura israeliano, dove cominciò a lavorare nel 1954, parallelamente all’attività accademica, culminata con un Dottorato in Agricoltura presso la Hebrew University di Gerusalemme. Nel 1969 venne inviato come Attache Economico a Londra, dove i suoi due figli studiarono presso la Jewish Free School. Proprio in quella scuola, per commemorare i cinquanta anni dal suo assassinio, è stato donato un giardino in suo onore, e in memoria di quel sacrificio.

«A distanza di  cinquanta anni dalla sua scomparsa, tornare nella scuola in cui siamo cresciuti e vedere le nuove generazioni di ragazzi ebrei a Londra cantare in onore di nostro padre, è stato oltre che commovente anche un momento di speranza, nell’auspicio che non ci si debba mai più nascondere e avere paura». Sono queste le parole di Eliana Shachori, figlia del diplomatico israeliano.

«I miei figli non hanno mai conosciuto il nonno, e conoscerlo attraverso l’affetto che ci è stato dedicato in questi giorni è stato il modo migliore per commemorarlo». A ricordarlo, oltre alla scuola e alla famiglia, l’intero corpo diplomatico israeliano a Londra. Così ha commentato l’odierna ambasciatrice Tzipi Hotobli, in occasione della cerimonia presso la Jewish Free School, dove gli è stato dedicato un giardino: «L’eredità che Ami Shachori ha lasciato continua a ispirarci da più di 50 anni». Nel corso della cerimonia ha parlato anche Ron Shachori, l’altro figlio, ricordando come: «Quel giorno, il nostro mondo si oscurò e le nostre vite cambiarono completamente. In ogni fase della sua carriera nostro padre è sempre stato attivo, operoso, fonte di ispirazione, assolutamente dedicato alla sua missione. Questo era Ami Shachori e questa è stata la breve storia di un uomo, un nome, negli annali dello Stato di Israele, che rappresenta un mondo intero».

«Un messaggio di speranza anche alla luce degli episodi di antisemitismo a cui assistiamo ancora oggi». ci ha raccontato la figlia Eliana. – È fondamentale preservare la memoria di chi ha perso la propria vita, per non dimenticarci quanto sia importante non abbassare mai la guardia e costruire ponti di pace e di dialogo tra ebraismo e culture altre. A Londra siamo stati accolti con grande affetto e ammirazione per nostro padre, per il suo grande ruolo di comunicatore e di paciere tra Israele e il resto del mondo. Questo per noi è il messaggio più importante da divulgare e siamo felici che nostro padre venga ricordato per questo”.

Fiammetta Martegani
collaboratrice

Curatrice presso il Museo Eretz Israel, nasce a Milano nel 1981 e dal 2009 si trasferisce a Tel Aviv per un Dottorato in Antropologia a cui segue un Postdottorato e nel 2016 la nascita di Enrico: 50% italiano, 50% israeliano, come il suo compagno Udi. Collaboratrice dal 2019 per l’Avvenire, ha pubblicato nel 2015 il suo primo romanzo “Life on Mars” (Tiqqun) e nel 2017 “The Israeli Defence Forces’ Representation in Israeli Cinema” (Cambridge Scholars Publishing). Il suo ultimo libro è Tel Aviv – Mondo in tasca, una guida per i cinque sensi alla scoperta della città bianca, Laurana editore.


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