Diritti umani
Prostituzione, Israele guarda alla Svezia

Israele adotta un nuovo approccio alla prostituzione ispirato al modello scandinavo: la legge è ora entrata in vigore

Riproponiamo questo nostro articolo, in occasione dell’entrata in vigore della legge che vieta la prostituzione 

Era ottobre quando la Knesset, il parlamento Israeliano, ha approvato in prima lettura una proposta di legge mirata a criminalizzare i clienti della prostituzione. La legge, ispirata al cosiddetto “modello nordico” approvato prima in Svezia, poi negli altri Paesi Scandinavi e negli ultimi anni anche in Francia, Canada e Irlanda del Nord, prevede la penalizzazione di chi usufruisce della prostituzione senza influire però sulle persone che si prostituiscono. Per entrare in vigore la legislazione deve ancora passare la seconda e terza lettura alla Knesset, ma il fatto che sia stata approvata preliminarmente è già di per sé un traguardo importante.

 

Il modello nordico

Fino alla legislazione Svedese del 1999, il fenomeno della prostituzione è sempre stato affrontato da un punto di vista giuridico o con la legalizzazione (in paesi come Germania, Olanda e Turchia) o con la criminalizzazione totale (come ad esempio in diversi paesi dell’est Europa). Una terza alternativa è quella in vigore in alcuni paesi come l’Italia, dove la prostituzione non è di per sé illegale, ma lo sono tutta una serie di attività collaterali ad essa (favoreggiamento, induzione, gestione di case chiuse). La particolarità del modello nordico sta nella proposta di una soluzione ibrida basata da una parte sulla punizione di chi tiene vivo il mercato della prostituzione, i clienti, e dall’altra sulla tutela e assistenza di chi si prostituisce. Si tratta di un provvedimento di per sé radicale che fa riferimento alla prostituzione come possibile forma di violenza sulle donne, riconoscendone la posizione di disagio e fragilità. Si legge  nella nota integrativa del disegno di legge israeliano “la prostituzione vìola in maniera evidente la dignità e la libertà delle donne, la loro eguaglianza e i loro diritti, in particolare quello di essere padrone del proprio corpo”.

Oltre che sanzioni per i clienti, il disegno di legge israeliano prevede assistenza medica, economica e psicologica per le persone che si prostituiscono, riconoscendone lo stato di vulnerabilità e le difficoltà congenite ai processi di riabilitazione. La legge è anche volta a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle conseguenze negative della prostituzione, si propone di creare programmi di educazione rivolti a studenti e giovani soldati e di cambiare il lessico in uso, facendo riferimento a “donne che si prostituiscono” anziché “prostitute”. Anche questa è una presa di posizione all’avanguardia, che rispecchia la volontà di usare le parole con maggiore consapevolezza e di non voler etichettare le persone che si ritrovano a prostituirsi con termini stigmatici.

Nonostante il modello nordico non sia esente da critiche, diverse ricerche dimostrano che nei Paesi in cui è stato adottato, la prostituzione e il traffico sessuale sono diminuiti significativamente. In Svezia, il Ministero della Giustizia ha dichiarato che dal 1999, la prostituzione nel Paese è diminuita del 50%. Parlando di dati, in Israele sono circa 12.000 le persone coinvolte nel traffico della prostituzione, business che produce circa 320 milioni di dollari l’anno. Tra queste, che includono prevalentemente donne cisgender ma anche un numero notevole di donne transgender, ci sono cittadine Israeliane sia ebree che arabe, immigrate provenienti dall’ex Unione Sovietica e immigrate africane.

 

Una lunga storia di attivismo

In Israele, questo (quasi raggiunto) traguardo legislativo è frutto di anni di lavoro di giornaliste che in questi anni si sono impegnate a raccontare la realtà di estremo disagio in cui si trovano molte delle donne che si prostituiscono. Ma è soprattutto il risultato dell’attività continua e dedita di organizzazioni non governative impegnate a fornire assistenza alle donne sul campo – se desiderate potete andare a guardare il lavoro della Task Force for Human Trafficking and Prostitution, o di organizzazioni come la clinica Levinski, Turning tables, o Elem.

Fondamentale è stato anche l’impegno di parlamentari sia di destra che di sinistra, in particolare Zehava Galon, ex leader di Meretz e la parlamentare Shuli Mualem-Refaeli del partito Habayit Hayehudi. Il Ministro della Giustizia Ayelet Shaked, a lungo contraria al decreto, ha avuto modo di incontrare le rappresentanti di diverse organizzazioni impegnate sul campo, nonché giovani donne coinvolte nel circolo della prostituzione, durante una visita alla zona sud di Tel Aviv. Pare essere stata proprio la loro testimonianza, che la prostituzione l’hanno vissuta in prima persona ad averla smossa.

 

I rischi

Esiste poi un altro fattore che raramente viene citato quando si parla di prostituzione. Studi recenti dimostrano che un’altissima percentuale delle donne che si prostituiscono ha subito abusi sessuali in età giovanile. Uno dei sintomi che caratterizza le persone che hanno subito traumi sessuali è la sindrome dissociativa, un meccanismo inconscio di difesa che fa sì che venga danneggiata e a volte addirittura annullata la percezione del proprio corpo. È come se venisse a mancare la relazione tra corpo e psiche che appunto, si dissociano l’una dell’altro. Si capisce così come moltissime delle donne che si prostituiscono non agiscano per “scelta” ma, trovandosi in condizioni di estremo disagio, usano il proprio corpo alienato come strumento di sopravvivenza. Traumi che si sommano ad altri traumi che rischiano di divenire cronici e che più passa il tempo più saranno difficili da curare. Si spiega in questo modo anche l’altissima percentuale di uso di stupefacenti di cui le donne che si prostituiscono abusano, strumento ulteriore per prendere le distanze dal proprio corpo. Infine, è importante ricordare che molte delle donne che si prostituiscono sono vittime di tratta sessuale, traffico che secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro coinvolge 4,5 milioni di vittime.

Moltissime delle donne che si prostituiscono soffrono di disturbi da stress post-traumatico, accusano comportamenti anomali, auto-distruttivi e irreversibili, spesso sono dipendenti da droga e alcool e manifestano tendenze suicide. Dati del Ministero delle Politiche Sociali Israeliano indicano che dal 2010, sono almeno 59 le morti causate dalla prostituzione. Le organizzazione della società civile, parlano di un numero quattro volte maggiore, indicando il fatto che molte di queste donne non entrano nelle statistiche perché non in contatto con i servizi sociali.

Una volta constatata la realtà di estrema vulnerabilità di queste donne, rimane praticamente impossibile parlare di libera scelta in riferimento alla prostituzione. Aggiungerei che, le donne che scelgono di prostituirsi a partire da una posizione di reale e non costretta volontà rappresentano una percentuale bassissima rispetto a quella di coloro che si ritrovano nel ciclo della prostituzione come conseguenza a situazioni di estremo disagio o di coercizione. Questa piccola percentuale non può quindi in nessun modo considerarsi rappresentativa.

Bianca Ambrosio
Collaboratrice
Nata e cresciuta a Milano, dal 2009 al 2017 ha vissuto a Tel Aviv dove ha conseguito due lauree in ambito politico/sociologico, lavorato a progetti sociali e preso parte alle attività del partito Meretz.
Dal 2018 è di nuovo Milanese e lavora per il Teatro Franco Parenti.
Ha scritto di politica e società per diverse testate e ha qualche racconto ancora nel cassetto.

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