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Puglia ebraica, una storia da riscoprire

Le appassionanti vicende di Lecce prima del Barocco, città multiculturale, aperta al mondo del Mediterraneo

Lecce, capitale del barocco. Una città in pietra chiara, disseminata di sontuosi palazzi e chiese imponenti, a dominare il paesaggio antropizzato con la forza (tragica) di un’arte che gioca tra il sublime e l’umano. Bellissima.

Ma non è tutto. Perché Lecce, naturalmente, ha una storia ben più antica. Basta provare ad andare sotto il barocco, come invita a fare il recente Museo Ebraico, per scoprire un’altra realtà. Quella di un mondo multietnico, interreligioso e  cosmopolita. Il viaggio comincia sui gradini d’ingresso del museo, pronti a scendere nel sotterraneo di Palazzo Taurino che, dal 2016, grazie all’iniziativa privata, fortemente voluta da Michelangelo Mazzotta, fondatore dell’agenzia turistica Tab, accoglie questa nuova istituzione. Proprio lì infatti si trovava la vecchia sinagoga, probabilmente quattrocentesca, insieme al mikvè, le vasche per il bagno rituale, ancora visibili e pronte a fare bella mostra di sé.

“La cosa che colpisce tutti di Lecce”, spiega il professor Fabrizio Lelli, direttore del Museo, docente di lingua e letteratura ebraica all’Università del Salento e autore della Guida al Salento ebraico insieme a Fabrizio Ghio (Capone editore), “oltre a quella visibile barocca, è la città romana. Ma sembra che tra le due epoche non ci sia stato niente. Si arriva direttamente al barocco, come se il Medioevo non ci fosse mai stato”. Invece il cosiddetto periodo buio è stato estremamente luminoso per questo luogo geologicamente e geograficamente così speciale: finis terrae guardato da chi poggia i piedi sulla Penisola, avamposto accogliente e umanizzato per chi guarda dal mare. “La città sembra reinventata nel 1500, ma naturalmente non è così, c’è un’interessante continuità che emerge studiando la storia medievale della regione. Che parla di una presenza ebraica interessante in Salento e in particolare a Lecce, dove esisteva proprio una città ebraica”, continua Lelli.

Il percorso museale infatti si snoda lungo questo racconto, attraverso una storia dedicata alla vita quotidiana ebraica nelle Lecce dell’epoca. “Lecce è una città multiculturale e multireligiosa fino al 1500, quando si trasforma in un territorio monoculturale e chiuso ai mondi esterni, proprio perché i nuovi conquistatri asburgici la vedono come città di frontiera”, continua Lelli. Niente di nuovo, almeno per noi che la guardiamo oggi… “Alla fine del ‘400, al contrario”, prosegue il professore, “era un territorio aperto e accogliente alle culture del Mediterraneo e la presenza ebraica alimentava gli scambi commerciali e culturali con effetti molto importanti in ambito intellettuale. Tanto che dopo la cacciata si assiste a un impoverimento repentino, per rafforzare un solo pensiero, quello cattolico”. Siamo sotto il Barocco, infatti: prima che la città venga trasformata, sotto agli edifici figli di quella trasformazione.

Ma ora a uscire dal museo si possono seguire i percorsi dentro a una giudecca che non c’è più: le targhe delle strade riportano il nome anche in ebraico, a voler sottolineare la rinascita di una storia che a lungo è stata sopita, se non addirittura cancellata. Le giudecche o ghetti che c’erano a Lecce e in altre cittadine salentine non erano i ghetti che imponevano la reclusione ai suoi abitanti, ma zone della città in cui un popolo si riuniva a vivere, un quartiere nato per vicinanza e prossimità di costumi. Ai tempi della cacciata, in questa zona d’Italia non ci sono state proposte di ghettizzazione: “Gli ebrei non dovevano più esistere sul territorio”, commenta Lelli, “E credo che i ghetti a quel punto fossero zone riservate ai convertiti. Si chiamavano neofiti all’epoca e venivano trattati con sospetto per la loro identità ambigua, tacciati di essere diventati cristiani ma di praticare i rituali ebraici. I ghetti servivano alle autorità ecclesiastiche per controllarli da vicino, spesso insieme a quelle modeste forme di cristianesimo protestante che dalla seconda metà del 1500 si affacciavano anche in Puglia, scambiate spesso come criptogiudaismo“. Quasi tutti gli ebrei, comunque, abbandonano il territorio in favore di Venezia, di Salonicco e Corfù, per poi tornare alla fine dell’800.

La storia ebraica allora ricomincia, con l’arrivo di ebrei da Salonicco, che importano la coltivazione del tabacco, fondamentale nell’economia regionale per tutto il secolo scorso. Non solo: “Molto interessanti sono i campi di transito durante la Seconda Guerra Mondiale, gestiti dagli alleati e dalle organizzazioni sioniste, per consentire agli ebrei di raggiungere Israele”, racconta ancora Lelli, “Di questi luoghi è rimasto moltissimo, c’è un museo a S. Maria al Bagno, sullo Jonio e a Santa Cesarea ci sono luoghi che raccontano di kibbutzim locali pronti ad accogliere quanti volevano migrare in Israele, si trovano ancora edifici con le scritte degli inni sui muri: sono realtà interessantissime, che vorremmo sviluppare meglio”. Le richieste, da parte dei turisti non mancano. “Molti capitano per caso al museo ebraico e restano positivamente impressionati, tanto che poi ci chiedono informazioni ulteriori. Tanti turisti ebrei americani e australiani vengono in avanscoperta in questi territori del Sud Italia”, precisa Lelli, “Molti israeliani invece arrivano interessati alla storia recente e vogliono visitare i campi di transito, mentre gli italiani arrivano grazie a un tam tam che si sta sviluppando tra le comunità e cominciano arrivare anche non ebrei, incuriositi di conoscere queste storie”. Che coinvolgono, naturalmente, anche Trani e San Nicandro, le uniche due comunità ebraiche tutt’ora attive. Le due cittadine conservano la memoria di una lunga storia, che merita un approfondimento a parte. Ma è la comunità di Trani il punto di riferimento per chi cerca un punto di appoggio durante questo viaggio. È cura del professor Lelli mettersi in contatto con loro per assicurare ai turisti che lo desiderino la possibilità di celebrare lo shabbat. Purtroppo non ci sono negozi né ristoranti kasher, ma menù vegetariani a base di specialità locali e vini invece questa volta certificati kasher (possibile anche visitare la cantina e l’azienda agricola) fanno parte delle proposte offerte nei pacchetti di itinerari proposti dall’agenzia Tab.

 

 

Micol De Pas

È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.


4 Commenti:

    1. Grazie per il commento Cristina! Pubblicheremo presto altri approfondimenti sull’Italia ebraica con consigli di itinerario!

    2. Ho letto con grande interesse questa storia che purtroppo non conoscevo e verrò presto a Lecce per goderla. Grazie

  1. Grazie Micol. Io sono vicino a Santa Cesarea e ero già molto interessata alla presenza ebraica e ai campi di transito. Ora andrò a s. Maria al bagno al museo e comprerò il libro.
    Grazie ancora Micol
    Franca


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