A Tel Aviv va in scena l’opera di Bellini, “I capuleti e i Montecchi” riletta dal regista israelino. Ma questa volta si parla dell’amore (impossibile) tra due donne
Non è certo la prima volta che la più infelice storia d’amore mai narrata subisce riscritture. Eppure, tutte le volte in cui si mette mano alla vicenda di Romeo e Giulietta l’operazione non manca di dare scandalo o, per lo meno, di suscitare qualche perplessità. Tra poco toccherà all’Opera House di Tel Haviv , che dal 12 al 27 agosto, per sei spettacoli, presenterà I Capuleti e i Montecchi, l’opera di Vincenzo Bellini basata sul racconto di Matteo Bandello al quale si ritiene che lo stesso Shakespeare si fosse ispirato.
Il regista è Hanan Snir, nome assai noto sulla scena teatrale israeliana, dove ha lavorato con le principali compagnie, e internazionale, con produzioni portate nei principali festival, ma che mancava da questo palco da ben 33 anni. Per farvi ritorno ha deciso di smuovere un po’ le acque e di scegliere per Romeo non solo un’interprete, ma anche aspetto e identità femminili.
Se si fosse trattato di farlo rappresentare da una donna en travesti non ci sarebbe stato niente di nuovo né di così strano. È infatti tradizione di lunga data quella di affidare la parte maschile a un soprano vestito da uomo, e lo stesso Bellini avrebbe composto la parte di Romeo per una voce femminile. Qui però si parla esplicitamente della storia tra due ragazze e le già ben note difficoltà vissute dalla coppia acquistano valenze inevitabilmente diverse.
Nonostante l’evidente rivoluzione, quando il Jerusalem Post ha chiesto al regista 78enne se non temesse che il pubblico dell’Opera fosse più interessato al cambiamento di genere che alla trama del dramma, Snir si è mostrato assolutamente tranquillo. «Non sventolo la bandiera della comunità LGBT», ha risposto, aggiungendo che «non dovremmo concentrarci su questo aspetto dell’opera, che dovrebbe essere una norma nel XXI secolo».
In una precedente intervista per la stessa testata, il regista diceva però di non volere «fingere che Romeo fosse una cantante che interpreta il ruolo di un uomo come era consuetudine nel XIX secolo», ma di mostrare invece che «il capo della famiglia Montecchi fosse un leader femminile, e che Romeo fosse effettivamente una donna. Il conflitto tra le due famiglie in questo modo acquista un’altra dimensione, perché l’amore proibito non è solo tra due casate rivali ma anche tra due donne».
Al di là del genere dei protagonisti, anche il ritorno del regista al campo operistico è in sé una notizia. Con un curriculum che comprende la Turandot di Puccini e il Don Giovanni di Mozart per la Boston Opera, Snir aveva fatto il suo debutto all’Opera House nel 1985 con Dido and Aeneas di Henry Purcell, seguito tre anni dopo da The Turn of the Screw di Benjamin Britten. Da quella data, però, si era dedicato ad altro tipo di produzioni e ad altri palchi.
Per il suo ritorno ha voluto accanto a sé il direttore d’orchestra Dan Ettinger, il soprano di origine russa Alla Vasilevetsky e la controparte di origine israeliana Tal Bergman rispettivamente nei panni contemporanei di Giulietta e Romeo, il baritono Noah Briger in quelli del padre di Giulietta, il tenore Eitan Drori nel ruolo di Tebaldo e il basso baritono di origine sovietica Vladimir Braun per Lorenzo.
Con questo importante team Snir sfiderà non solo prevenzioni e pregiudizi legati alle scelte di genere, ma anche le critiche di chi non gli perdona di avere trascurato l’opera da troppo tempo e di essere lontano dal mondo della musica. Tutte accuse che lui non rifiuta. «Non leggo musica e non conosco l’italiano», dice. Questo però non toglie che sia un professionista affermato. «Dirigere è dirigere», proclama seccamente, aggiungendo che «la parte divertente nell’opera è la partitura».
Forte di una laurea in teatro all’Università di Tel Aviv, studi in regia presso la prestigiosa Royal Academy of Dramatic Arts di Londra e un master in consulenza psicologica che gli consente di lavorare come psicoterapeuta tra una regia e l’altra (mai più di una all’anno, afferma con orgoglio), Hanan Snir può contare sulla sua abilità nel trattare le emozioni umane e sulla capacità di modellare a questo scopo sceneggiature e trame drammatiche.
Del suo ritorno all’Opera House dopo oltre tre decenni, si mostra piuttosto soddisfatto e, in attesa di conoscere le reazioni del pubblico di Tel Aviv, dedica parole di stima al gruppo che lo affianca, dal direttore Dan Ettinger («un ragazzo eccezionale, estremamente talentuoso e un artista meraviglioso») al resto del team («sono così professionali. Mi sono divertito molto»).
Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.