Hebraica Festività
Shavuot, la festa che celebra le relazioni umane. Al femminile

Ruth, Naomi, Rachel e Leah: le protagoniste di un racconto speciale che punta all’armonia tra umano e divino

Troviamo per la prima volta questa festività nel libro dell’Esodo, nel quale viene chiamata הקציר חג” hag-hakatzir“la festa del raccolto”; più avanti spiegata con l’interpretazione che il raccolto rappresenti “i primi frutti delle vostre fatiche” (Esodo 23:16).
Quando la incontriamo nel libro Levitico (ch23) questa festività non ha un nome, ma ci viene detto di contare sette settimane complete più un giorno: cinquanta giorni, e poi portare un nuovo pasto e altri sacrifici – le primizie – a Dio. Nel libro Numeri (28:26) ci viene detto che è “il giorno delle primizie”, יום הבכורים quando porti un nuovo pasto e sacrifici all’Eterno nella nostra “festa delle settimane” e nel Deuteronomio è chiamata la festa di Shavuot per il conteggio delle sette settimane, da quando abbiamo preso la falce alla crescita del grano.

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Nella Bibbia non c’è nulla che indichi che questa sia la festa della consegna della Torah, come oggi usiamo celebrarla. Shavuot, come sappiamo si basa sul rituale di portare delle primizie come sacrifici al Tempio; così da riconoscere la presenza di Dio nelle nostre vite, sostituendolo con il rapporto di alleanza che abbiamo come popolo con Dio, documentato e definito dal dare e ricevere la Torah.

È sorprendente che questa festività, collegamento per eccellenza tra il Tempio e l’ebraismo rabbinico, abbia come uno dei suoi principali testi la storia raccontata nel libro di Ruth; uno dei due soli libri intitolati a una donna in tutta la Torah; un libro che pone le donne e le relazioni delle donne al centro della narrazione, intese come capaci di accettare liberamente tutti gli obblighi imposti dalla Torah per unirsi al popolo ebraico, sia come guida. All’interno del libro sono presenti anche altre figure femminili, con forti ruoli di supporto.
Orpah, l’altra cognata, che sceglie di tornare dalla propria gente piuttosto che proseguire con Ruth e Naomi verso un futuro sconosciuto. Le donne di Betlemme agiscono come un coro commentando la situazione di Naomi. Anche le matriarche Rachel, Leah e la coraggiosa Tamara, fanno un’apparizione straordinaria mentre gli anziani dicono a Boaz: « Noi siamo testimoni. L’Eterno fa entrare nella tua casa donne come Rachel e Leah; le due donne che costruirono la casa d’Israele… e che la tua casa sia come la casa di Perez, dove Tamara partorì il figlio di Giuda, e con lui la discendenza che l’Eterno darà da questa giovane donna. » (Rut 4:11-12)

Mentre stiamo stabilendo una nuova relazione con Dio, la quale si è spostata dal culto del sacrificale ad un ebraismo basato su parole e azioni che aspirano all’avvicinamento a Dio, le figure principali sono le donne; dove abbiamo due coppie di figure femminili – Naomi e Ruth, Rachel e Leah, donne che hanno sancito per noi una straordinaria relazione di generosità e compassione.

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Le due sorelle, Rachel e Leah, hanno avuto la sfortuna di sposare lo stesso uomo e di essere state dunque messe in competizione l’una con l’altra; questione all’interno del testo alla quale non si fa riferimento alcuno fino all’arrivo di Giacobbe, venendo a conoscenza che Rachel ebbe compassione per Leah, sua sorella più anziana e meno amata, dandole dei gettoni per sedurre Giacobbe.

Naomi e Ruth ebbero invece la sfortuna di divenire entrambe vedove e di andare avanti senza un supporto maschile all’interno di un mondo patriarcale, ma la determinazione di Ruth nel rimanere assieme a Naomi e le capacità matriarcali di Naomi dimostrano che per entrambe tutto si concluse per il meglio – è infatti all’interno di questo libro che troviamo descritto, per la prima e unica volta, l’amore di una donna nei confronti di un’altra donna – come si vede verso la fine del libro, dove leggiamo che Ruth ama (a.ha.v) Naomi, e Naomi allatta il figlio di Ruth, straordinario atto di amore e di unità tra le due donne. La loro relazione è esattamente
il contrario di quella suocera / nuora, nonostante l’assenza di marito / figlio che possa dar loro motivo di conflitto, le loro discussioni vergono sul bambino / nipote, nei confronti del quale entrambe ricoprono il ruolo di madre – le donne di Betlemme dicono infatti « un bambino è nato per Naomi » piuttosto che per Ruth – la maternità è di entrambe le donne, senza che le due donne riscontrino alcuna contesa.

Un altro straordinario estratto del testo, è la benedizione data in occasione delle nozze tra Boaz e Ruth: «l’Eterno fa entrare nella tua casa la donna, così come fece entrare Rachel e Leah; le due donne che costruirono la casa d’Israele ». C’è una chiara relazione con la benedizione di Giacobbe ai suoi due nipoti figli di Joseph
(Genesi 48:20) « Con te Israele sarà benedetta, dicendo: Dio ti renda come Efraim e Manasse » – una benedizione di armonizzazione, dato che Efraim (il più giovane) è posto al di sopra di Manasse, senza alcun rammarico o invidia da parte dei due ragazzi, mostrata per la prima volta nella benedizione dei figli all’interno del libro della Genesi. Così, ancora una volta, quest’ultima si rivela come la benedizione di risoluzione ad eventuali rivalità; l’incontro tra due che invece di combattere l’uno contro l’altro scelgono di lavorare insieme senza ostilità che li divida.
Dopodiché compaiono i nomi di Rachel e di Leah, sorelle la cui relazione può essere stata avvelenata a causa delle azioni di Giacobbe; ciascuna desidera ciò che l’altra riceve da lui – una desidera il suo amore, mentre l’altra i suoi figli.
Eccetto che per la disgregazione delle loro vite a causa di Giacobbe, non è presente alcun riferimento testuale riguardante l’ostilità tra loro due. Vengono qui considerate come le due donne che costruirono la casa d’Israele. In questo punto, le matriarche Sarah e Rebecca sono meno rilevanti – sono le madri delle dodici tribù, che occupano il centro della scena come configurazione tribale dove Israele diventa sempre meno una famiglia e sempre più un popolo.

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Sono consapevole che Bilhah e Zilpha sono anch’esse le madri dei figli di Giacobbe – ma questi figli non vengono considerati i loro. Di tale argomento si tratterà solo in seguito. Qui, come nell’epilogo del testo, il matrimonio della donna straniera Ruth con Boaz, uno dei discendenti di Tamara e Juda, e colui che ci conduce all’interno della casa di Naomi (che il Midrash attribuisce all’albero genealogico che conduce a Juda e Tamara), significa che la casa di Boaz sarà costruita come la casa d’Israele. Il popolo ebraico crescerà in numero e in forza, ma nel corso del tempo sarà anche pronto a ricevere la Torah, così come Ruth ha dimostrato la sua disponibilità di accoglienza fuori dalla selvaggia città di Moab, proprio come gli Israeliti dimostrarono la loro accettazione nelle selvagge terre del Sinai. C’è un’armonizzazione, un desiderio di rimettere insieme le questioni in sospeso e di prepararsi così alla fase successiva; tutto ciò attraverso i rapporti che le diverse donne hanno tra di loro, non tentando di migliorarsi l’una con l’altra o di sormontarsi a vicenda, ma optando di collaborare per la realizzazione di un futuro.
È sulle fondamenta di queste donne che tutto si erige. Tamara che coraggiosamente ingannò Juda per poter avere un bambino suo di diritto il quale l’avrebbe poi liberata da Yevamah. Rachel e Leah che divennero le matriarche dell’ebraismo tribale. Naomi che sopravvisse alla morte di suo marito e dei suoi figli, che “ritornò vuota” dalle sue stesse parole, ma che tuttavia ritrovò il cammino per ricostruire la sua vita, grazie al supporto datogli dalla relazione di amore e dvekut (devozione) con la sua figlia acquisita. Ruth, il cui comportamento non avrebbe superato la prova di tzniut (modestia) all’interno di molte comunità, ma che trovò una maniera per rifondare e ricostruire la propria vita che altrimenti sarebbe potuta concludersi nel nulla.

In definitiva, come ci dice la genealogia alla fine del libro, tutto ciò che fu costruito ha portato all’avvio della linea monarchica davidica. Questo è un altro jolly all’interno della narrazione patriarcale a cui siamo abituati. David è nipote di una donna moabita e discendente di più di una donna che utilizzò il proprio corpo e la propria sessualità per ottenere ciò di cui aveva bisogno. Egli è il discendente di uomini che lasciarono Beit Lechem per andare in tempo di carestia nell’ostile città di Moab, pagando con la loro stessa vita. Egli è il discendente di una famiglia con più ‘scheletri nell’armadio’, ma allo stesso tempo è anche il discendente delle donne che hanno interrotto le rivalità tra fratelli e così anche i giochi di potere patriarcali, scegliendo di lavorare insieme, di amarsi
nelle circostanze più improbabili e di aiutarsi a vicenda disinteressatamente.

La Torah fu consegnata a un popolo che, impaurito in un deserto dove si sentivano insicuri da un Dio tanto terrificante, pregarono Mosè di agire per loro come intermediario. Il Sinai fu un potente palcoscenico fatto di fumo e di montagne che tremano dove il suono di uno shofar penetra nell’aria. A Shavuot ne traiamo un
modello differente – una giovane donna che con volontà e premura rimane al fianco di una donna anziana per aiutarla a tornare a casa – una donna anziana che con amore e volontà guida i più giovani verso un futuro che sarà benedetto con sicurezza e calore.
Nessun grande teatro, nessuna rivelazione potente, solo il vivere giorno per giorno di due persone che si aiutano a vicenda.

Penso che i rabbini abbiano scelto bene quando questo libro è diventato la storia per collegare la teofania al Sinai. Ed ecco che finalmente vediamo le donne, che tanto erano state nascoste all’interno del racconto della storia dell’Esodo. Ecco le attività ordinarie e quotidiane di persone che si prendono cura l’uno dell’altro. Ecco una vera
storia di amore e di persone che si aiutano a vicenda a raggiungere ciò di cui hanno bisogno – niente fuochi d’artificio, e niente drammi – solamente la realtà della relazione sincera nella sua quieta e straordinaria gloria.

Traduzione di Rachele Richini

Rav Sylvia Rothschild
Rav presso la sinagoga Lev Chadash
Cresciuta a Bradford da padre rifugiato tedesco e da madre di origine lituana e bielorussa, in una famiglia sempre attiva nella sinagoga. Dopo l’università diventa assistente sociale psichiatrico e terapista; riprende a studiare al Leo Baeck College, e nel 1987 diventa – l’ottava donna rabbino d’Europa. Per 16 anni è stata rav  della Bromley Synagogue. Alla Wimbledon Synagogue ha sviluppato per 11 anni il primo esperimento di servizio di comunità condiviso (rabbinic job share). Adesso officia alla sinagoga Lev Chadash a Milano. 

I grew up in Bradford, UK, My father was a child refugee from Germany, my mother’s family had come a generation earlier from Lithuania and Belarus, and my family were active members of the synagogue.  After university I was a psychiatric social worker and trained as a therapist, then studied at Leo Baeck College graduating in 1987 as the 8th woman rabbi in Europe. I was the rabbi of Bromley Synagogue for 16 years, and then moved to Wimbledon Synagogue developing the first rabbinic job share which we did successfully for 11 years. Now serving Lev Chadash Milano.

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