Cultura
Bill Graham, il leggendario manager ebreo che ha fatto conoscere al mondo Carlos Santana

La vera storia di uno dei manager più importanti della storia del rock. A cui il chitarrista messicano ha dedicato una bellissima canzone: Gypsy /Grajonca

Si contano sulle dita di una mano i chitarristi che si riconoscono fin dalla prima nota. Uno di questi è sicuramente Carlos Santana, leggendario chitarrista messicano lanciato artisticamente dal Festival di Woodstock grazie all’abilità del manager Bill Graham, un ebreo tedesco nato nel 1931 a Berlino e sopravvissuto all’Olocausto. Il padre di Bill morì due giorni dopo la nascita del figlio, e la madre decise di portare portò i figli in un orfanotrofio di Berlino, mentre in Germania la vita per la comunità ebraica diventava sempre più difficile e rischiosa. Questa mossa si rivelò una fortuna, poiché l’orfanotrofio mandò i Graham in Francia per uno scambio con gli orfani cristiani. Successivamente Graham e i suoi compagni orfani si diressero dalla Francia fino a New York. Graham, prima come manager del Fillmore East a New York e del Fillmore West a San Francisco, poi come promoter internazionale per i tour di Bob Dylan, The Rolling Stones e spettacoli come Live Aid, è stato una figura centrale nella storia del rock.

Graham prima fece suonare la band al leggendario Fillmore di San Francisco e poi riuscì a inserirla nel programma del festival di Woodstock. Il 16 agosto del 1969, quando salirono sull’infuocato palco di Woodstock alle due del pomeriggio, i Santana, nei quali spiccava il talento di un giovane chitarrista messicano di nome Carlos, erano un gruppo quasi sconosciuto, che aveva pubblicato il primo album soltanto un mese prima. Sono bastati quarantacinque minuti di concerto, con un’ indimenticabile esecuzione di Soul sacrifice, per trasformare quella band, che si era formata pochi mesi prima a San Francisco, in una delle più acclamate a livello mondiale. Nessuno, prima di Woodstock, aveva mai sentito quella singolare combinazione tra blues latinoamericano e percussioni afrocubane, nella quale la chitarra di Santana costituiva l’anello di congiunzione tra il Messico e la California. Qui il giovane Carlos si trasferì con la famiglia nel 1961, avviato alla musica dal padre, che suonava il violino in un’orchestra mariachi, mentre la madre aveva lontane discendenze ebraiche, come racconta nella sua autobiografia Suono Universale. “La famiglia di mia madre era europea e mia mamma aveva delle strane regole sul cibo rispetto a cosa potevamo e non potevamo mangiare e forse questo approccio aveva collegamenti con la cultura kasher”. Graham morì tragicamente in un incidente in elicottero il 25 ottobre 1991, mentre tornava a casa da un concerto di Huey Lewis & The News: Santana gli dedicò l’anno dopo la struggente canzone Gypsy /Grajonca. Nel maggio 2019, Santana ha visitato il Florida Holocaust Museum, il giorno prima di esibirsi a San Pietroburgo. Al museo era esposta la mostra itinerante Bill Graham and the Rock & Roll Revolution, che comprende alcuni cimeli di Santana.

Da notare anche che Black Magic Woman, uno dei più grandi successi mondiali di Santana è stato composto dall’ebreo Peter Green, scomparso pochi giorni fa, al secolo Peter Allen Greenbaum, cofondatore del gruppo inglese blues-rock Fleetwood Mac, che ha registrato la canzone nel 1968. A oltre cinquant’anni dalla sua memorabile esibizione a Woodstock,  l’evento spartiacque della storia del rock, Carlos Santana è oggi un artista celebrato in ogni angolo del pianeta, ma non è mutata  minimamente la magia di quella chitarra in grado di cantare, con il suo timbro cristallino e la sua capacità di tenere le note, mai fini a se stesse, ma sempre al servizio della melodia e della cantabilità. Una magia che ha spiegato perfettamente qualche tempo fa in un’intervista al mensile inglese Classic Rock: “Coltrane mi ha insegnato che un musicista deve costruire un ponte tra l’inafferrabile e l’umano. Non per forza tutto deve venire da sotto la cintura per vendere un disco, la musica migliore è quella che apre il cuore come un fiore e fa osare le persone di credere che siamo aquile e non tacchini”.

Gabriele Antonucci
Collaboratore

Giornalista romano, ama la musica sopra ogni altra cosa e, in seconda battuta, scrivere. Autore di un libro su Aretha Franklin e di uno dedicato al Re del Pop, “Michael Jackson. La musica, il messaggio, l’eredità artistica”,  in cui ha coniugato le sue due passioni, collabora con Joimag da Roma


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