Indagine sul concetto di identità ebraica, tra Israele e la diaspora, passando per il ghetto di Minsk
Uscito in Francia per le Editions des Equateurs, Mauvais juif (Il cattivo ebreo) è un libro di Piotr Smolar, per cinque anni corrispondente di Le Monde in Israele. È lì che Smolar, ebreo di origini polacche, si trova a confrontarsi con il concetto di identità ebraica. Cerca di rispondere alla domanda su cosa significhi essere ebreo e esserlo oggi in Israele. E lo fa in questo libro, tra l’analisi giornalistica e quella della propria esperienza famigliare.
La storia si muove su due piani, quello del Novecento e quello del presente, tra il 2014 e il 2019. Una storia di famiglia, certo, che prende le mosse dal nonno, Hersh, comunista polacco internazionalista, eroe del ghetto di Minsk e direttore di un quotidiano in yiddish pubblicato nel dopoguerra a Varsavia, l’unico del blocco comunista. Quindi affronta le vicende del padre, Aleksander, leader del movimento studentesco polacco nel marzo 1968, incarcerato per un anno e poi dissidente esiliato in Francia; infine quelle dell’autore, giornalista parigino, specializzato nelle questioni dell’Europa orientale, senza particolari vicinanze al mondo ebraico.
Poi il presente: il suo giornale lo manda a Gerusalemme come corrispondente. E lui cerca di nascondere le sue orgini ebraiche ai suoi interlocutori sia israeliani sia palestinesi, per paura che ciò possa condizionare il suo lavoro. Finché un giorno il padre gli disse: “Non sei ebreo se non ti senti ebreo”. Poi prese a raccotargli la vita del nonno, un “ebreo professionista” come lo aveva definito. E allora, chi è ebreo? Si passano in rassegna le definizioni sia di Levinas sia di Sartre, di un’ebraicità spirituale o sociale per poi cercare di rispondere circa l’ebraicità israeliana. E la domanda diventa chi è il cattivo ebreo? Per l’autore lo è chi ha perso l’autonomia di pensiero e la libertà di giudizio.
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Nella presentazione al libro firmata da Smolar stesso e pubblicata su Le Monde, l’autore scirve: “Non so rispondere alla domanda su chi sia il cattivo ebreo. Il titolo di questo libro traduce sicuramente una negazione. Ma la negazione spesso è una forma di codardia, un mezzo di resistenza contro una realtà angosciante, un presunto nascondiglio”. L’indagine allora verte sui nazionalismi e sull’attribuzione di identità in relazione a un luogo, a una nazione, in contrapposizione ai valori democratici, di apertura e di meticciato che si stanno sgretolando piano piano, come in un’erosione intima e collettiva. Non esiste una definizione unica di identità ebraica, fatta di mille sfumature e sfaccettature, ma quasi sempre tutte riconducibili al voler preservare un’eredità culturale e un legame con Israele, anch’esso variamente sentito e interpretato, ma solitamente connesso al miracolo della sua fondazione.
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Ecco, qui si va al punto della questione: quale rapporto ha la diaspora con Israele? E qual è il ruolo di Israele tra gli altri stati? “Il sionismo”, scrive l’autore, “inteso politicamente è giunto alla sua conclusione”. E anzi, “Sionismo ed ebraismo non coincidono. E il loro divorzio è cruciale”. Perché rischia di impedire la possibilità di criticare il governo dello stato israeliano. Che va inteso come stato per tutti i suoi cittadini e le loro diverse nazionalità? O piuttosto come uno stato ebraico democratico, liberale e laico? Oppure ancora come stato condotto secondo le leggi della religione? Il racconto poi diventa personale e riporta alcune esperienze ai posti di blocco in Israele dove i soldati, esaminando i suoi documenti, giungono inesorabilmente a formulare la domanda: Lei è ebreo?
Una riflessione profonda sull’essere ebrei, sul rapporto di ognuno di noi con lo stato di Israele, una critica feroce al suo attuale governo e un inno a mantenere la propria libertà. Di giudizio, prima di tutto. Eventualmente anche per criticare questo libro.