Cultura
Insegnare la lezione della vita, o del fare memoria

Intervista a Simonetta Della Seta, membro dell’IHRA, ex direttrice del MEIS

“Ci sono tre punti importanti: tornare alle fonti, dare la parola agli esperti e insegnare la lezione della vita” spiega Simonetta Della Seta, membro dell’IHRA, International Holocaust Remembrance Alliance, nonché ex direttrice del Meis di Ferrara. “La testimonianza”, continua, “ha un impatto emotivo molto forte perché  in quel caso la memoria è la storia vissuta dalla persona che sta rendendo la propria testimonianza. Ma la memoria di chi non ha vissuto quei fatti deve per forza tornare alla storia“. Così Della Seta inquadra subito il problema e individua confini precisi entro i quali è d’obbligo muoversi se si vuole parlare di Shoah. Almeno, al presente.

“Parlare di memoria oggi ci impone riflessioni profonde. Almeno per due ragioni: l’Italia è giunta al 20esimo anno dall’istituzione della Giornata della Memoria e a livello globale dobbiamo considerare che i pochissimi testimoni rimasti erano bambini durante gli anni della Shoah, di conseguenza possono riferire una memoria diversa da chi era adulto. C’è in realtà un terzo fattore determinante: un cambiamento della geopolitica mondiale ed europea. Ecco perché siamo costretti a chiederci perché l’antisemitismo è in crescita“.

Antisemitismo e memoria. Qual è il legame più profondo?
Direi che la battaglia contro il negazionismo è stata vinta, oggi la Shoah è considerata un fatto realmente accaduto dalla stragrande maggioranza delle persone. Invece non è stata vinta quella contro la distorsione della storia, che impone di prestare attenzione al modo in cui viene raccontata e usata. E questo a mio avviso è molto pericoloso. Succede a livello governativo (per esempio la Polonia nega il coinvolgimento dei polacchi nella Shoah, definendola unicamente un crimine nazista), succede a livello individuale, spesso animato dalla buona fede (per esempio, se l’insegnante per spiegare la Shoah agli studenti sceglie di raccontare una storia verosimile). Succede anche a un altro livello: esistono almeno 17 videogame ambientati nella Shoah.

Un intervento nell’immaginario delle persone, forse uno sminuire la portata simbolica della Shoah, magari anche un viatico per approfondirne la storia: il videogame potrebbe essere tutto questo?
Il problema in realtà è che si entra in una Auschwitz inventata, un po’ come si va in una Roma antica inventata o in una qualsiasi altra ambientazione. Non è un fatto di antisemitismo dei creatori del gioco, il problema è nel trasmettere una Shoah verosimile e non i fatti veramente accaduti. Si tratta di superficialità: abbiamo tantissima documentazione, in ogni sua forma, ma si preferisce la verosimiglianza.

Perché?
Perché la memoria della Shoah è usata come simbolo e non come fatto. E questo è un pericolo enorme. Se la Shoah è un simbolo, diamo a tutti la possibilità di trattarla in modo verosimile. Certamente la Shoah è anche un simbolo perché ci fornisce gli strumenti per leggere la realtà e metterci in guardia dall’accadimento di altri genocidi, ci mette in prima fila a combattere perché non accada mai più. Ma se Shoah è ridotta a questo, al solo uso simbolico, si sta distorcendo la storia. Invece è proprio la storia che va trasmessa, come un vaccino contro un virus, che funziona solo se prima abbiamo definito con precisione entrambi. Ora che non ci sono quasi più testimoni, occorre essere leali alla storia.

In che modo si può essere leali alla storia?
Faccio un appello a tutti gli esperti di Shoah perché restino indipendenti, anche alle richieste dei governi di qualunque stato per non sottoporsi a nessuna manipolazione, ma anzi per creare una sorta di senso di allerta perché la storia venga trasmessa per quello che è, abbandonando il verosimile. Ottimo prendere la Shoah come spunto per difendere il mondo da altri genocidi, ma occorre prestare attenzione: la Shoah non è un simbolo universale. La storia deve restare storia e di storia bisogna parlare ai giovani. Ma anche qui è importante il punto di vista.

Quale dovrebbe essere il modo per parlre di Shoah ai giovani?
Lo sforzo è dire ai giovani: riguarda anche voi. Perché è un modo per dare loro degli strumenti. Ma per farlo bisogna insegnare la  resilienza ed evitare di parlare solo di morte. La lezione per il presente è una lezione sulla vita: cosa è successo alla vita di quelle persone in quel particolare momento storico? Allora è importante parlare di cultra ebraica e dei suoi valori: ogni ebreo nella Shoah ha combattuto, ha fatto un gesto vitale, ha fatto prevalere la vita sulla morte e sulla disperazione. Questo va insegnato perché questo emerge dai documenti e dalle fonti storiche che possiamo consultare. La storia è dei vivi, e di vita (sopravvivenza e resilienza) bisogna parlare.

Micol De Pas

È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.


1 Commento:

  1. Leggo e rileggo: “non è stata vinta (la battaglia) contro la distorsione della storia” … “succede a livello individuale, spesso animato dalla buona fede (per esempio, se l’insegnante per spiegare la Shoah agli studenti sceglie di raccontare una storia verosimile)” ma non so se ho compreso appieno il pensiero di Simonetta Della Seta.

    Il mio pensiero sulle pietre d’inciampo, per fare un esempio recente del tutto personale è che esse possano avere significato se e solo se poste a mo’ d’inciampo appunto per ricordare coloro che non sono tornati da questo o quel campo di sterminio. Per questo ritengo doveroso per tutti (a cominciare da me ovviamente) che venga ricostruita la memoria della vita di tutti – ribadisco tutti – coloro che sono state vittime della Shoah.

    Contrastare nei fatti “piccoli” la “distorsione della storia” è il tema a mio modesto avviso e il mio impegno di questi ultimi anni. Oggi il mio pensiero va, assieme ad altri, a un collega (prematuramente scomparso purtroppo) col quale ho potuto fare uno del “viaggi” con gli studenti chiamati “treno della memoria”. A distanza di anni abbiamo scoperto purtroppo che anche nelle nostre scuole alcune colleghe sono state vittime delle leggi razziste ma, purtroppo, non ce ne siamo ricordati fino alla pubblicazione de: “Il registro …”.
    Quante volte abbiamo parlato di questo o quel campo di concentramento come fosse stato “fuori” dai nostri orizzonti storici reali?

    Io non ho mai fatto quelle distorsioni di cui parla la Della Seta ma a livello personale, sin da quando ero studente convintamente antifascista intendo, e di lavoro in classe da docente non mi posto fino a pochissimi anni fa seriamente il problema di una storia che sta nella nostra pelle, nella nostra storia locale negli armadi delle nostre scuole …

    Scusate la lunghezza e il pensiero contorto
    saluti

    Per promuovere questa consapevolezza ho organizzato una terza iniziativa per docenti il 7.01.2021 Ora18:00 – 19:00 on-line per chi fosse interessato (scrivere a c.consonni@iisbianchi.org)


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