Cultura
Le parole della guerra

Abbecedario commentato dallo storico Gadi Luzzatto Voghera, direttore del CDEC

Come tutte le guerre e tutti i conflitti, anche questa guerra tra Israele e Hamas ha le sue parole. Quelle che dal punto di vista mediatico sono state adottate per definirla, per criticarla, per sostenerla. Ne abbiamo scelte alcune e ne abbiamo parlato con Gadi Luzzatto Voghera, storico e direttore del CDEC, Centro Documentazione Ebraica Contemporanea.

POGROM: È un termine sbagliato dal punto di vista concettuale. Secondo me tutti i riferimenti a eventi storici passati sono di dubbio valore, se non per quanto concerne l’immaginario, perché c’è un pericolo di distorsione della storia. Usare questa parola ora indebolisce la conoscenza storica del pogrom e non spiega cos’è successo. Per pogrom si intende una rivolta del popolo suscitata dal potere, ma quello che viene indicato in questa guerra con il termine pogrom è un’azione militare preparata, un massacro. Ecco, perché non si parla di massacro?
Però c’è un’altra questione. Il pogrom torna nelle paure dell’ebraismo italiano. Ci sono i presidenti di due importanti comunità che sono di famiglia libica e ricordano molto bene cosa è successo in quei pogrom. Quelli sì, erano pogrom, e loro li hanno vissuti, conservandone un ricordo molto nitido, che chiaramente si riattiva davanti ai fatti del 7 ottobre e quelli che si vedono nelle strade italiane durante le manifestazioni. Questi fatti risultano incomprensibili alla società italiana che è incapace di valutare correttamente il peso della storia delle minoranze.

SHOAH: Sono molto colpito dall’uso di questa parola nei media. Per il mio lavoro e per il mio ruolo nella delegazione italiana dell’IHRA – International Holocaust Remembrance Alliance – penso che questa parola vada usata con molta cautela, per evitare il rischio distorsione e assuefazione. Quello con la Shoah, in questa guerra, è un parallelo impresentabile. Hamas è un’espressione del fondamentalismo islamista che ha creato una rete di relazioni internazionali molto diverso dal nazismo che era invece un monolite. L’unica cosa che li accomuna è l’idea di uccidere gli ebrei e certamente il fatto che nell’area Sud del Paese, quella dei kibbutzim, vivessero ancora 5mila sopravvissuti non può che richiamare alla mente la Shoah.

ANTISIONISMO: C’è una incompetenza di fondo che manipola le vicende storiche. Il sionismo è declinato in due modi:  come movmento tardo nazionalista ebraico, per cui il sionismo è un movimento storico con una ideologia articolata che comprende le correnti di destra, sinistra, quella religiosa, quella iberale e attorno a cui si sono svolte le manifestazoni in Israele negli ultimi mesi: c’erano scontri sull’idea di sionismo e su quella di nazione ebraica. L’altra declinazione poi è quella della retorica della sinistra terzomondista e dei cattolici integralisti che leggono il sionismo come espressione dell’imperialismo della finanza internazionale, la lobby ebraica che ha un disegno di controllo energetico nell’area mediorientale e di oppressione dei popoli. Allora sionismo è una espressione monolitica da combattere, che si traduce nel combattere contro la volontà di potere degli israeliani. Ecco perché nella definizione di antisemitismo dell’IHRA si parla di antisionismo: è discutibile, ma certamente esiste una lettura antisemita dell’antisionismo. E qui siamo davanti a 1450 civili morti in quanto ebrei. Dunque, nella pratica c’è una intenzione ebreicida, c’è una intenzione antisemita. Per questo l’ostaggio donna attivista per la pace che quando è stata liberata ha detto shalom al suo carceriere la considero un gigante, con una levatura morale incredibile. C’è anche una versione razzista nell’espressione: Io non sono antisemita, sono antisionista anche perché i veri semiti sono i palestinesi. Evidentemente c’è una mancanza di conoscenza. Antisemitismo, poi, diventa linguaggio politico contemporaneo e uno strumento per portare in piazza i pacifisti. In italia notiamo una forza inattesa come anti-israelianismo declinata come antisionismo nella scuola di ogni ordine e grado, dalle elementari all’Università. Ed è proprio in quei luoghi che si creano e consolidano i pregiudizi.

MILIZIE: Il 7 ottobre sono entrati membri di Hamas e di Jihad, riconoscibili per le fasce verdi (di Hamas) o nere (Jihad) che nei media sono stati indicati come miliziani. Ma questo termine denota una forte distorsione dell’idea di lotta partigiana, dunque quella della liberazione della Palestina sul modello intrapreso dall’OLP che combatteva per l’autodeterminazione del popolo palestinese. Hamas non ha questo obiettivo, se mai quello di uccidere e stabilire un potere islamista sul territorio (peraltro ledendo anche le libertà di omosessuali, delle donne e dei cristiani). Dunque non è corretto parlare di milizie, piuttosto di terroristi che massacrano la popolazione, perché terrorista è colui che diffonde terrore.

SERVIZI SEGRETI: Un vero disastro in questa guerra. I servizi segreti hanno mostrato un grado di inefficienza tale da generare una punto di sospetto che si sia trattato di manipolazione. Ora, non voglio pensare che sia andata così, ma non è possibile che un paese come Israele non si renda conto che ci sia bisogno di un controllo anche umano sui confini e in particolare su quel confine. Emergono due cose: i rapporti dei soldati di leva che tradizionalmente vengono messi lì a fare gli osservatori sono stati ignorati. Sono loro che, armati di binocolo, devono descrivere cosa succede al di là del confine e hano scritto nei giorni precedenti che c’era qualcosa di diverso dal solito, che c’erano esercitazioni particolari, ma i comandi non hanno dato retta ai rapporti. Insomma, quello che riguarda i servizi segreti ha a che fare con una catena di errori. Di fatto la percezione della loro efficacia è tragicamente cambiata, sia dentro sia fuori da Israele. Ma è una partita che si sta giocando da anni. Sicuramente è stato sottovalutato Hamas e la sua rete di diffusione. Israele guarda lontano, compie azioni dal Sud Sudan all’Iran e all’Azerbaijan. Ma ha meno la percezione di quanto sia grave la situazione vicina. Ed ecco perché Hamas si è così tanto rinforzato.

DEMOCRAZIA: Vi offro io questa parola perché in questo contesto Israele dimostra di essere una democrazia matura: in una guerra catastrofica c’è un dibattito apertissimo intorno alle dimissioni del presidente del consiglio, alla richiesta di una commissione di inchiesta, per esempio. Accanto alla radio dell’esercito, estremamente retorica, ci sono programmi giornalistici  e inchieste che denunciano in maniera puntuale le innefficienze. Forse dopo questa guerra sarà il momento di scrivere la costituzione, al momento ci sono due stati uno integralista fascista e uno democratico e liberale, come ai tempi della Bibbia e la separazione è importante. Del resto si assiste già da tempo a un fenomeno di cantonizzazione interna a Israele. Alla parola democrazia ne aggiungo un’ultima:
LETTERATURA ISRAELIANA: L’Italia è uno dei luoghi in cui la letteratura israeliana è maggiormente apprezzata, con schiere di traduttori eccellenti. Ma mentre i lettori italiani si educano attraverso queste letture a conoscere la società civile israeliana, con cui si confronta in maniera interessante, poi la misconosce. E in questa guerra la abbandona completamente.

 

 

Micol De Pas

È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.


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