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Liverpool città ebraica

Un viaggio nella città inglese

Chi non ha visto l’interno della sinagoga di Princes Road a Liverpool non ha visto la gloria di Israele.

Non usa mezzi termini A.H. Meek nel libro The Synagogue per descrivere il tempio della quinta città per ampiezza (e turisti) del Regno Unito. La cosa non dovrebbe stupire, visto che tra i primati della metropoli del Merseyside c’è anche quello di avere ospitato nell’Ottocento la più grande comunità ebraica dell’Inghilterra settentrionale.
Con un investimento economico stimato intorno alle 15mila sterline (da moltiplicare per cento alla quotazione attuale), la Liverpool Hebrew Congregation aveva consacrato nel settembre 1874 un luogo di culto che ben ne rappresentava l’importanza. Basti pensare che pochi mesi prima le sue dame avevano organizzato un evento benefico per raccogliere fondi e, coinvolgendo le più alte personalità locali, avevano raggranellato la cospicua somma di 3.000 sterline. I soldi raccolti furono destinati a quelle decorazioni interne ancora oggi tanto apprezzate dai critici.

La sinagoga di Princes Road

Anche prima di accedere alla sua stupenda sala di preghiera a tre navate con soffitti magnificamente dipinti a mano, la Princes Road Synagogue  offre comunque un notevole spettacolo. Costruita in mattoni rossi in un fascinoso mix che accosta il neogotico al neomoresco, è considerata il migliore esempio in tutto il Regno Unito di questo stile eclettico nonché il modello di numerosi altri templi in giro per il mondo. Sorge nel cuore di Toxteth, un sobborgo a sud del centro di Liverpool che oggi dopo lunghi periodi di crisi sta cercando faticosamente di recuperare una sua dignità.
Tra la fine del Settecento e tutto l’Ottocento questo distretto era passato gradualmente da area rurale (l’antica borgata di Toxteh Park) a zona residenziale. Le nuove abitazioni erano destinate da una parte ai ricchi mercanti di Liverpool, che risiedevano in grandi case georgiane (e, in epoca vittoriana, in ancora più sontuose dimore lungo Princes Road), dall’altra agli operai accorsi in città a seguito della rivoluzione industriale. Questi occupavano le ben più modeste ma comunque dignitose case a schiera vittoriane, oggi purtroppo prevalentemente in stato di abbandono e degrado.

Una importante porzione dei nuovi arrivati ottocenteschi era costituita da ebrei, che giungevano in una città che fin dal Settecento possedeva una sua sinagoga. Tale dato è confermato dal Liverpool Memorandum Book del 1753 che parla di una Synagogue Court fuori Stanley Street, presente anche in una mappa della città del 1765. Secondo i testi dell’epoca questa prima comunità intratteneva già ottimi rapporti con i vicini cristiani e tale caratteristica avrebbe segnato le relazioni tra comunità anche nei secoli successivi.
I nomi dei primi arrivati settecenteschi, circa una ventina nel 1790, hanno fatto pensare agli studiosi che si trattasse di sefarditi, ma la teoria non trova tutti d’accordo. Erano perlopiù venditori ambulanti e commercianti che gravitavano intorno al porto, tra cui, forse, anche mercanti portoghesi in arrivo dalle Indie Occidentali. Entro il 1750 a questi si sarebbe aggiunto un piccolo numero di venditori ambulanti e negozianti ebrei provenienti dalla Germania e stabilitisi vicino all’attuale Canning Place, nella zona del porto.
L’attività portuale avrebbe segnato sia la formazione della comunità sia l’impiego dei suoi membri. Accanto a quanti erano occupati nelle attività marinare, alcuni dei nuovi arrivati erano solo di passaggio. Secondo gli storici, c’era chi transitava dal porto di Liverpool per raggiungere l’Irlanda, visto che a Dublino esisteva già una comunità bene organizzata, ma la maggior parte sembrava principalmente interessata alle colonie nelle Americhe e nelle Indie Occidentali. Provenienti dal resto della Gran Bretagna, dalla Germania e dall’Olanda, molti di questi viaggiatori finirono poi col restare in città, trovando impiego come negozianti ma anche in attività bancarie o nel commercio con l’estero. Per farsi un’idea dell’incremento demografico, basti pensare che nel 1789 la popolazione ebraica era di appena un centinaio di anime, nel 1810 superava le 400 persone e nel 1825 era arrivata a mille, giungendo a metà Ottocento a essere la seconda comunità ebraica del Regno Unito dopo quella di Londra.

La sinagoga di Greenbank Drive

L’importante congregazione che oggi si riunisce in Princes Road aveva costituito la sua prima sinagoga già nel 1808 in Seel Street, primo luogo oltre a Londra in cui già nel 1819 si pronunciavano sermoni in inglese anziché in ebraico. Da quella prima sede si sarebbe poi trasferita presso lo spettacolare tempio ancora attivo. Ha interrotto invece i servizi nel 2008 la sinagoga di Greenbank Drive e la sua bella struttura in stile Art Deco, risalente al 1935, finirà probabilmente con l’ospitare appartamenti. Si trova vicino all’ingresso di Sefton Park ed è stata l’ultima sede della New Hebrew Congregation, oggi nota come Greenbank Drive, nata nel 1838 dalla scissione con l’attuale Old Hebrew Congregation e installatasi prima in Hope Place.
Al di là dei problemi interni tra congregazioni, legati perlopiù a questioni di leadership, la presenza ebraica a Liverpool è andata via via crescendo tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento portando a separazioni di diversa natura. Molti dei nuovi arrivati erano tedeschi partiti con l’idea di salpare per le Americhe ma che, vuoi per questioni burocratiche, vuoi perché il biglietto non copriva la traversata oceanica o semplicemente perché la città sembrava promettente, non si erano più mossi da Liverpool. Si stima che tra il 1875 e il 1914 la popolazione ebraica fosse passata da circa 3.000 membri a 11mila.
Mentre gli immigrati della prima ondata, ormai mercanti anglicizzati e perlopiù assimilati, gravitavano però intorno alle sinagoghe di Princes Road e di Hope Place, i nuovi arrivati di fine Ottocento dall’Europa orientale crearono il proprio quartiere vicino alla stazione di Lime Street, un miglio a est dei docklands, incentrato su Brownlow Hill, Paddington, Crown Street e Islington. Aggrappati alla loro lingua e cultura, iniziarono con lo svolgere attività come venditori ambulanti, aprendo con il tempo un loro negozio o diventando perlopiù sarti o ebanisti.

Ma se alla crescita delle attività portuali si deve l’arrivo degli ebrei di Liverpool e il loro sviluppo come comunità, al declino del porto è da imputare il suo ridimensionamento. Così, mentre nel 1946 l’annuario ebraico contava ancora una popolazione di 7.500, oggi le stime parlano di circa tremila ebrei. Nonostante i numeri relativamente esigui, però, la comunità ebraica di Liverpool è particolarmente attiva. Soprattutto, i suoi membri contribuiscono fortemente alla vita professionale della città in veste, tra gli altri, di avvocati, politici, accademici o medici. Con un forte senso del proprio passato e la volontà di preservarlo, la comunità di Liverpool ha depositato dal 1968 presso il Liverpool Record Office nella Central Library numerosi documenti e libri relativi alle sue sinagoghe e organizzazioni educative, assistenziali e comunitarie, oltre che storie e documenti personali dei suoi appartenenti.

Giustamente fieri dei loro concittadini e correligionari più noti, gli ebrei di Liverpool ricordano con riconoscenza le famiglie che hanno fatto la storia della città. Tra queste spiccano quelle dei Lewis e dei Cohen, ai quali è intitolata la biblioteca dell’Università cittadina. I Lewis sono oggi ricordati soprattutto per il grande magazzino fondato dall’imprenditore David Lewis e attivo dal 1856 al 2010. È sulla facciata del suo edificio che svetta tra l’altro il monumento The Spirit of Liverpool Resurgent. Realizzata nel 1956 dallo scultore Jacob Epstein, la statua bronzea rappresenta un nudo maschile in piedi sulla prua di una nave: una celebrazione della rinascita di Liverpool dopo la guerra e della determinazione della sua gente a risorgere dalle macerie dei bombardamenti.

Erano di Liverpool anche il leader sionista Samuel Jacob Rabinowitz e il futuro rabbino capo di Israele Isser Yehudah Unterman, ma c’è anche un altro nome legato indissolubilmente alla cultura popolare così come alla storia di Liverpool. Si tratta del primo manager dei Beatles, Brian Samuel Epstein. I turisti che vengono in città difficilmente trascurano i luoghi dei figli universalmente più noti di Liverpool e non c’è tour, museo o mostra che riguardi i Fab Four che non dedichi una tappa o una sezione al loro scopritore. Figlio di Harry e di Malka Epstein, membri attivi della sinagoga di Greenbank Drive, Brian Samuel prima di legarsi ai favolosi quattro faceva il venditore in un negozio di dischi di proprietà dei genitori. Dall’ottimo fiuto per gli affari, secondo la leggenda sarebbe andato una sera al Cavern Club di Liverpool solo per parlare con il gruppo che vi si esibiva e procurarsi un loro 45 giri introvabile, ma sarebbe rimasto folgorato dall’esibizione. Quello che venne dopo è entrato nella storia, compresa la morte prematura del brillante manager a neppure 33 anni, ma chi volesse conoscere tutti i dettagli potrà fare una capatina al Beatles Story Museum, al Royal Albert Dock, o partecipare al Magical Mystery Tour. Organizzato da Cavern City Tours, il giro in autobus di due ore tocca, insieme ai luoghi legati alle vite di Paul, John, Ringo e George, anche l’ex casa degli Epstein al 197 di Queens Drive a Childwall, attraversando così tutta la Liverpool meridionale ed ebraica. Per visitare invece la sua tomba, ci si può recare su appuntamento al Long Lane Cemetery, dove il manager è stato sepolto nell’agosto del 1967 alla presenza di pochi amici intimi dopo le esequie celebrate alla Greenbank Drive Synagogue. Il cimitero ebraico a nord della città non è comunque l’unico aperto ai visitatori. Un altro sicuramente degno di nota è quello di Deane Road, il più antico della città, recentemente restaurato e accessibile previ accordi con la congregazione di Princes Road.

Infine, per approfondire la conoscenza della brillante storia della comunità locale, c’è il ricchissimo Museum of Liverpool. Parte dell’ampia rete dei National Museums of Liverpool che contribuisce a fare della città la seconda dopo Londra per gallerie d’arte e musei nazionali, il Museum of Liverpool dedica ai suoi cittadini ebrei un’ampia sezione, generosa di informazioni, oggetti, opere d’arte e documenti storici.

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


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