Cultura
“Mamma per cena”, il nuovo romanzo di Shalom Auslander

Sulla memoria, l’identità e la libertà individuale

Grazie a Guanda, la casa editrice che – ricordiamolo – ha fatto scoprire al pubblico italiano Jonathan Safran Foer, Nicole Krauss e tanti altri autori ebrei contemporanei di prima scelta, arriva quest’anno in libreria Mamma per cena di Shalom Auslander, tradotto da Elettra Caporello. Classe 1970, Auslander ha trascorso l’infanzia in un ambiente super ortodosso a Monsey, New York, e si può dire che l’abbia abbandonato proprio per diventare scrittore. La sua scrittura (in Italia sempre pubblicati da Guanda sono arrivati altri suoi romanzi tra i quali II lamento del prepuzio (2009) un chiaro omaggio al Lamento di Portnoy di Philip Roth) è pervasa da un feroce sarcasmo e dal desiderio di puntare il dito contro ogni forma di bigottismo, di conformismo e banalità della società moderna. Con questo non si può dire che sia un autore cinico: nei suoi libri male e bene sono strettamente connessi, come lo sono stupidità e saggezza umana. Il mondo per Auslander è un luogo complesso, nel quale ordine e disordine sono in perenne conflitto, così come la necessità di mantenere fede e memoria e il bisogno di trovare un’identità propria. Come scrive in Mamma per cena, il passato è un’ancora incatenata da una parte alle nostre caviglia e dall’altra seppellita nel fango della storia. Ci trascina giù, ci impedisce di andare avanti.

La trama è chiaramente basata su una metafora. I Can-Am, i cannibali americani, provengono dal vecchio continente da cui sono fuggiti in seguito a un non precisato eccidio (o forse molti). Hanno portato con sé le loro antiche tradizioni, soprattutto quella di dover mangiare un parente defunto dopo la sua scomparsa. Ci sono precise disposizioni: il moribondo può chiedere a ciascun discendente di buttar giù almeno un boccone e mezzo di una precisa parte del suo corpo che sceglie di assegnare. È chiaro che, pur non parlando direttamente di ebraismo (anzi, l’autore precisa che i Cam-Am sono un popolo ben distinto) il cannibalismo è un’immagine interiorizzata e ci si riferisce all’essere ebrei. La madre del titolo, Mamu, è una specie di jewish mame ipertrofica che a differenza di quella di Woody Allen in Edipo relitto non occupa il cielo dando consigli anche da morta ma si ingozza di cheese burger per accelerare la dipartita e realizzare il suo scopo principale: essere divorata  e ricordata per sempre. Inoltre, quando era in vita, Mamu ha dato a ciascuno dei figli – che chiama in successione Primo, Secondo etc tranne la femmina che è Zero – una missione speciale. Settimo, che è il protagonista del romanzo, dovrà in effetti scriverne uno.
Leggendo le pagine di Auslander ho pensato subito a un’altra opera di un autore ebreo dove il cannibalismo diventa metafora del mangiare memoria, I Cannibali di George Tabori. Ad Auschwitz i padri di cui i figli raccontano la storia nel testo, sopraffatti dalla fame, devono cucinare il corpo di un compagno ucciso in un incidente per salvarsi. In realtà – grazie a un sofisticato gioco di identificazioni – sono i figli che ripercorrendo la vicenda dei genitori scomparsi nel lager devono idealmente mangiare il padre, digerirlo e risputarlo, come suggerisce Freud in Totem e tabù.
Le trame delle due opere sono diverse ma il tema della memoria resta centrale in entrambe. Ed è una memoria scomoda, dolorosa, difficile da masticare e da ingerire, che non si può fare a meno di affrontare per la paura che scompaia.
Nel caso di Auslander è il popolo cannibale stesso che rischia l’estinzione in un’America che accoglie ma che chiede in cambio di abbracciare i propri valori, di vivere il sogno americano dimenticando se stessi.
Il libro alterna momenti esilaranti (come quello in cui la madre è convinta che Jack Nicholson sia un cannibale in incognito che ha tradito la sua genia) ad altri più seri e drammatici come quello finale che non svelo ed è pervaso da un’energia elettrica, una tensione costante che Auslander ben conosce: quella dei discendenti che sono costretti a inghiottire almeno un boccone dei loro antenati per diventare come loro e portare avanti fede e tradizione, ma devono anche vivere da uomini liberi in un mondo altrettanto cannibale, pronto ad annientarli, con una costante sensazione di vuoto nello stomaco.
Laura Forti
collaboratrice
Laura Forti, scrittrice e drammaturga, è una delle autrici italiane più rappresentate all’estero. Insegna scrittura teatrale e auto­biografica e collabora come giornalista con radio e riviste nazionali e internazionali. In ambito editoriale, ha tradotto per Einaudi I cannibali e Mein Kampf di George Tabori. Con La Giuntina ha pubblicato L’acrobata e Forse mio padre, romanzo vincitore del Premio Mondello Opera Italiana, Super Mondello e Mondello Giovani 2021. Con Guanda nel 2022 pubblica Una casa in fiamme.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.