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Marco Camerini: “La scuola? Rappresenta la vita, il territorio del possibile”

Dialogo con il prossimo preside della scuola ebraica di Milano

Chi sono gli adulti di domani? E qual è il ruolo della scuola ebraica nella nostra società? Ne abbiamo parlato con Marco Camerini, futuro preside della scuola milanese, che da gennaio lascerà il suo incarico a Torino per un periodo di affiancamento con il dirigente uscente e quindi prendere le redini della scuola ebraica lombarda. Ex allievo della stessa scuola, laureato in filosofia con una lunga esperienza nell’ambito della formazione, organizzazione e sviluppo delle risorse umane in diverse aziende, appassionato di musica e giornalista, fino a qualche anno fa, collaboratore della rivista Musica Jazz, è preside della scuola ebraica di Torino dal 2017. “Allora partecipai al bando pensando che difficilmente mi avrebbero scelto”, racconta Camerini, “Invece è stato apprezzato proprio il mio profilo professionale, che tratteggia una figura molto diversa da quella classica dell’insegnante che poi diventa preside. Quella di Torino è stata un’esperienza molto intensa che è iniziata in un momento di tensione in cui, se da una parte si voleva potenziare l’educazione ebraica ed il rapporto con i giovani della Comunità, dall’altra ci si interrogava se valesse ancora la pena di mantenere tre ordini di scuola oppure se fosse meglio ridurli”.
E poi?

“Ho lavorato da subito per rinvigorire le sinergie con le altre scuole ebraiche italiane e con le istituzioni locali per creare una rete di relazioni importanti per il confronto e per riflettere insieme sulle problematiche comuni. I problemi fondamentali della scuola sono sostanzialmente uguali ovunque, possono cambiare le proporzioni in base al numero dei dipendenti e degli alunni, ma le difficoltà interne sono simili”.

La scuola di Torino è una realtà particolare nel mondo ebraico perché da sempre è aperta anche ai non ebrei. 
“Sì, lo è tuttora e conta circa il 70 per cento di non ebrei, cioè di persone che non hanno alcun collegamento con l’ebraismo: l’utenza è composta da alunni di ogni tradizione, fede e provenienza. Il mio primo periodo torinese è trascorso intervistando insegnanti e genitori a cui chiedevo in particolare le ragioni della scelta: perché mandare i figli in una scuola in cui lo studio dell’ebraico e dell’ebraismo sono materie curricolari ed è richiesto a tutti il rispetto delle mizvot (cibo kasher, indossare la kippà, recitare le berachot…)? Le risposte, in estrema sintesi, riguardano la sfera valoriale, il modello di inclusione e il metodo di studio, attento a sviluppare un pensiero critico negli studenti, fino alla qualità della proposta didattica, dato che la scuola è considerata una delle migliori della città”.

Una scuola di eccellenza, quindi. Ma cosa si intende con questa espressione?

“Non solo il luogo dove si imparano le diverse discipline, ma un ambiente sereno e stimolante che favorisca l’apprendimento, ponendo attenzione alle esigenze specifiche di ciascuno. La qualità della didattica è anche frutto di un grosso lavoro di squadra dei docenti ed è favorita dalla presenza di gruppi classe poco numerosi che permettono di seguire bene ogni alunno”.

Ha accennato prima anche a un mondo valoriale che confluisce nella scelta di questa istituzione scolastica. Perché?

“Le famiglie riconoscono che attraverso l’attività didattica e la vita scolastica vengono trasmessi valori universali come il rispetto, la giustizia sociale, la responsabilità, ecc. in modo concreto, traducendoli in comportamenti da mettere in pratica nella quotidianità. E questo è un modo di vedere ebraico, secondo cui la pratica deve accompagnarsi allo studio e lo studio alla pratica: studio, rifletto, agisco, pongo domande, approfondisco, agisco… un circolo virtuoso presente nella vita scolastica a vari livelli”.

L’aspetto religioso influisce in qualche modo sulla scelta della scuola da parte dei non ebrei?
“C’è una famiglia cattolica piuttosto numerosa e molto osservante, ad esempio, che ha scelto di mandare tutti i propri figli alla scuola ebraica. Per loro è importante che conoscano l’ebraico e la Torah come fondamenta della loro fede; altri hanno interessi culturali verso il mondo ebraico, o sono discendenti di ex allievi, altri ancora sono agnostici e desiderano solo che i propri figli crescano in un contesto aperto al confronto. L’incontro con un’identità ben definita come quella ebraica stimola l’altro a definire meglio la propria.”

Un’esperienza inclusiva?
“L’inclusione è sempre stata un tratto distintivo della scuola ebraica di Torino e il rispetto alla base di ogni esperienza.”.

Cosa porterà a Milano dell’esperienza torinese?
“L’idea che la scuola può essere un luogo di incontro in cui convivono e si mettono a confronto idee diverse in un dialogo costruttivo. Ma attenzione, il dialogo funziona se segue delle regole precise”.

Quali?

“Innanzi tutto l’ascolto, la chiarezza, il rispetto e la disponibilità a mettersi in gioco per conoscersi e co-creare insieme le soluzioni per affrontare le difficoltà. Richiede tempo, certo, e spesso siamo di fretta, ma è un modo per trovare terreni comuni su cui costruire la fiducia. A Torino ho dedicato molto tempo ad ascoltare e dialogare con le persone e per me è stato importante, anche perché mi ha permesso di scoprire e far emergere dei talenti “latenti” che altrimenti rischiavano di non essere valorizzati a pieno. Un problema tipico di molte organizzazioni.”

La scuola di Milano propone un’offerta formativa dall’asilo nido fino alla maturità. Cosa significa pensare a un percorso educativo nella sua totalità?
“Individuare un percorso coerente lungo i diversi ordini è uno dei mandati ministeriali, ma quanto riusciamo effettivamente a realizzarlo seguendo una visione comune e condivisa che guidi tutto il percorso scolastico? Credo che le domande da porsi siano: quali adulti di domani vogliamo formare? Che tipo di società vogliamo contribuire a creare?”.

Una sfida importante per la comunità ebraica milanese?
“I miei figli frequentano la scuola ebraica a Milano, ma non posso dire di conoscere bene tutte le difficoltà e le esigenze attuali. Le approfondirò nel corso del periodo di affiancamento con il Prof. Miele e attraverso l’analisi dei dati. Certamente a Milano la comunità ebraica si presenta piuttosto divisa, basti pensare che conta ben tre scuole ebraiche. Credo che questo sia il sintomo di una certa difficoltà a convivere nelle differenze. La scuola è preziosissima per il mondo ebraico, rappresenta la vita e la proiezione verso il futuro. È l’ambito del possibile, quella prospettiva progettuale così necessaria per aiutarci a superare gli ostacoli della vita e rimanere focalizzati sugli obiettivi importanti.”.

Micol De Pas

È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.


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