Cultura
MEIS: la storia dell’ebraismo italiano raccontata attraverso i suoi luoghi simbolo

La Mostra di Ferrara: sinagoghe e cimiteri sono il centro della vita ebraica, spazi d’incontro, di vita sociale e di costruzione del senso di comunità

«Non è possibile affrontare la dimensione architettonica e urbanistica degli spazi ebraici senza tenere conto dell’elemento sociale ed economico». Andrea Morpurgo, architetto e storico dell’architettura che ha curato con il Direttore del Meis Amedeo Spagnoletto la mostra Case di vita. Sinagoghe e cimiteri ebraici, introduce così l’esposizione inaugurata il 19 aprile e visitabile fino al 17 settembre 2023 presso il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara.

La mostra evidenzia quanto entrambi i luoghi chiave della vita ebraica siano fondamentali per capire non solo la storia dell’ebraismo, ma anche la storia italiana tout court. «Per la prima volta è stato compiuto un excursus completo del ricchissimo patrimonio architettonico di questi spazi, considerandone sia l’aspetto funzionale sia quello simbolico, rituale e di espressione di valori» prosegue Morpurgo, sottolineando quanto questi luoghi siano sempre stati espressione sia dei valori individuali sia di quelli identitari. La mostra si sviluppa attraverso un continuo confronto tra i luoghi, «storie parallele che dialogano tra loro, accostabili per il medesimo modo di autorappresentarsi e di mostrarsi al mondo».

Se da una parte non è possibile parlare di uno stile tipico della sinagoga, dall’altra si può invece individuare nel suo sviluppo quello dei rapporti degli ebrei con il resto della società e la posizione da loro assunta al suo interno. «Così come l’Italia accoglie il 75% del patrimonio artistico mondiale, così lo stesso ebraismo italiano può vantare una ricchezza imparagonabile anche a quella di Paesi che, come la Francia, vantano una storia altrettanto lunga e una popolazione numericamente superiore». Tratto da uno dei diversi modi in cui nel mondo ebraico sono chiamati i luoghi di sepoltura, ossia Battè Chaim, il titolo Case di vita fa riferimento anche alle sinagoghe come centro dell’esistenza ebraica. «Si è sempre trattato di spazi polifunzionali, luoghi di preghiera, ma anche di studio e di incontro, il cui ruolo all’interno della comunità e nella definizione della sua identità è sempre stato preminente rispetto a una continuità stilistica».

Il Tempio israelitico di Torino – Foto MEIS

Lo sviluppo dello stile architettonico ha molto da dire sulla posizione degli ebrei nella società italiana. E il primato italiano è legato anche alla lunga storia dei suoi ebrei, puntualmente registrata dalle sue sinagoghe. «Si va dalla sinagoga di epoca romana di Ostia Antica a quelle medievali e rinascimentali, passando dalle case di preghiera dei ghetti a quelle del periodo dell’emancipazione. Passando così dagli oratori nascosti all’interno delle case o comunque difficilmente distinguibili dal resto degli edifici ai progetti rinascimentali e barocchi fino alle opere monumentali che hanno caratterizzato l’architettura religiosa della seconda metà dell’Ottocento».

Osservando i modelli decorativi e la struttura delle sinagoghe si può leggere la diversa posizione assunta dai committenti ebraici all’interno della società dell’epoca. Prosegue Morpurgo: «Se le possibilità economiche dei periodi più felici consentivano di assoldare quelli che potremmo definire come gli archistar dell’epoca, l’emancipazione rendeva finalmente possibile l’edificazione di templi ben visibili, monumentali. Che a volte finivano col ricalcare lo stile delle chiese cristiane emulandone la maestosità». Tra gli elementi distintivi delle sale di preghiera emerge da una parte la presenza del settore femminile, il matroneo, e dall’altra la posizione della Tevà rispetto all’Aron. Anziché trovarsi in posizione frontale, sui due lati opposti della stanza, in alcuni casi armadio sacro e tribuna hanno finito con l’essere accostati, richiamando nell’assetto l’altare di una chiesa cristiana.

Lo sviluppo dello stile architettonico delle sinagoghe va di pari passo con quello dei cimiteri, attestato puntualmente nel percorso espositivo. «Dalle catacombe ebraiche di Roma e Venosa si passa ai prati o “ortacci” confinati all’esterno delle mura cittadine del Medioevo per arrivare ai cimiteri israelitici post emancipazione, con le sepolture ebraiche ospitate in speciali settori dei cimiteri cittadini. È qui che emerge in maniera più evidente il desiderio di mostrare la posizione di prestigio assunto dalle famiglie più in vista. Così come l’assimilazione, al pari delle sinagoghe, di modelli architettonici e decorativi non ebraici». Nel secondo Ottocento, dalle semplici lapidi della tradizione ebraica si sarebbe passati alla costruzione di cappelle che ricalcavano quelle delle famiglie cristiane, mentre gli stessi settori ebraici finivano con l’essere annunciati da portali e padiglioni progettati dai più importanti architetti del tempo. Morpurgo porta tra gli altri come esempio l’Edicola Pisa, cappella edificata nel 1885 per la famiglia del banchiere e senatore Ugo Pisa e disegnata da Carlo Maciachini, lo stesso architetto del Cimitero Monumentale di Milano, dove è possibile ammirarla presso il Riparto Israelitico. Al suo interno era stato collocato un seggio rabbinico in legno con rivestimenti in bronzo, realizzato dallo scultore Mario Quadrelli e oggi trasferito nella Sala Cerimonie del Riparto. «Espressione di prestigio e di ricchezza, monumento e sedia erano ben lontani dalla semplicità delle sepolture della tradizione, così come estranee agli usi di un tempo erano le carrozze per il trasporto funerario e altre manifestazioni di ricchezza e di potere sociale e politico».

La storia dell’ebraismo italiano attraverso i suoi luoghi simbolo è raccontata al Meis attraverso un’importante selezione di documenti, oggetti, progetti e opere d’arte provenienti da musei, fondazioni, comunità ed enti italiani e internazionali. Per quanto riguarda le sinagoghe, molte delle quali protagoniste delle cartoline della collezione Gianfranco Moscati, tra i manufatti più pregiati si può ammirare il magnifico Aron ha-Qodesh in legno intagliato e dipinto della Sinagoga di Vercelli, risalente al XVII secolo, mentre di molte altre case di preghiera si troveranno progetti, modelli in legno d’epoca, bozzetti, litografie, dipinti e incisioni. Di enorme valore sono anche i due Machazor, formulari di preghiere in pergamena finemente decorata con foglia d’oro risalenti alla seconda metà del XV secolo e giunti a Ferrara in prestito dalla Collezione David and Jemima Jeselsohn di Zurigo.

L’evoluzione degli usi funerari è attestata sia da lapidi e cippi sia da documenti ufficiali, progetti e opere d’arte. Tra queste segnaliamo “Funerale ebraico Genova”, un olio proveniente dal Museo del Louvre e dipinto intorno al 1720 da Alessandro Magnasco, tra i massimi esponenti dello stile fantastico e grottesco. Passando agli oggetti in mostra, oltre al già citato seggio rabbinico commissionato dal senatore Pisa, si troveranno lapidi e cippi di grande interesse come la colonna funeraria in marmo rosa di Verona del 1727 di Yehudah Leon Briel, proveniente da Mantova. Non mancano poi numerosi disegni e progetti di monumenti e documenti d’epoca come la curiosa lettera datata 28 agosto 1884 in cui si sollecita un fabbricante di Milano per la realizzazione di una carrozza per il trasporto funebre.  La mostra è accompagnata da un catalogo in italiano e inglese, edito da Sagep, con contributi dei più importanti storici dell’architettura e dell’ebraismo incentrati sulle vicende e le questioni più rilevanti riguardanti lo spazio sinagogale e cimiteriale ebraico in Italia.

Restauro del Tempio Israelitico a Bologna – Foto MEIS
Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


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