Hebraica
Racconti su Giona

Le infinite peripezie di un profeta riottoso

La tradizione include Giona nei “dodici profeti” i cui libri assai più brevi rispetto a quelli dei profeti maggiori (Isaia, Geremia, Ezechiele) vengono ordinati alla fine della seconda sezione del Tanakh, quella dedicata appunto ai neviim, i profeti. Il libro di Giona rappresenta però un’eccezione perché mentre negli altri libri profetici è lo stesso inviato di Dio a parlare in prima persona, qui si parla di Giona in terza persona. La sua storia è incalzante e probabilmente più nota al pubblico di quella degli altri inviati di Dio; nel presentarla la scrittura biblica si fa concisa perfino più che altrove, condensando tutto in soli quarantotto versetti divisi in quattro brevi capitoli. D’altro canto la tradizione del racconto orale, il midrash, è intervenuta ad ampliare il sintetico resoconto, dilatandolo e facendolo fiorire fino a comprendere antefatti, conseguenze volute e non volute, retroscena che coinvolgono tutti i principali attori in campo: non solo l’apparentemente riottoso profeta dunque, ma anche i compagni di viaggio, l’intero mondo marino e sottomarino con cui viene suo malgrado a contatto (Leviatano incluso), gli abitanti di Ninive, il ricino e il tarlo che lo rode e perfino la moglie di Giona, di cui nel testo biblico non si fa menzione.
Tra le raccolte di midrashim che più si dilungano sulla missione di Giona il Midrash Yonah e i Pirkè di rabbi Eliezer. Il libro di Giona è anche al centro dell’interesse di chi si occupa di religione, mito e antropologia nel mondo antico. Tra le letture moderne di particolare fascino quella di René Girard (La violenza e il sacro, Adelphi), secondo cui il racconto della fuga del profeta via mare evoca la crisi sacrificale e la sua risoluzione. La nave di Giona per Girard rappresenta la comunità e la tempesta, come la minaccia su Ninive, la crisi che la investe. La soluzione della crisi passa attraverso la designazione di una vittima sacrificale che viene espulsa per salvare la comunità.

La fuga
Secondo la tradizione, la missione di recarsi a Ninive per annunciarne agli abitanti la prossima distruzione non è la prima a cui si presta Giona. In precedenza, infatti, era stato cooptato per ungere il re Ieu e proclamare la distruzione degli abitanti di Gerusalemme. Poiché però Gerusalemme non era stata distrutta, Giona era considerato un falso profeta e di conseguenza deriso in terra di Israele. All’ordine divino di recarsi a Ninive pensò che anche quei pagani si sarebbero pentiti, sarebbero stati perdonati e di conseguenza la sua fama di falso profeta non avrebbe fatto che propagarsi anche alle regioni abitate da non ebrei. No grazie, concluse, meglio raggiungere la costa e salire sulla prima nave diretta nella direzione esattamente opposta. Ma già a questo punto le varianti divergono. Secondo Resh Laqish, Giona che fugge rifiutando di adempiere all’incarico di Dio si comporta in modo simile a Adamo, che nel giardino di Eden viola il comando del Signore e perciò viene maledetto e cacciato. In altre versioni invece il rifiuto del profeta è dettato da amore per Israele, sapeva infatti che i niniviti si sarebbero pentiti delle loro malefatte e questo avrebbe provocato l’ira di Dio contro Israele che invece, malgrado i tanti ammonimenti, continuava a sbagliare. Fuggendo dalla terra di Israele Giona riteneva di allontanare la disgrazia dal suo popolo perché la presenza divina non gli si sarebbe più rivelata altrove. Un’altra opinione sottolinea l’onore unico fatto da Dio agli abitanti di Ninive, degni nonostante le loro gravi colpe di essere apostrofati da un profeta di Israele.

Giunto in riva al mare, a Yafo, non trovò alcuna imbarcazione. Ma Dio volle metterlo alla prova e scatenò una tempesta che costrinse una nave partita due giorni prima a rientrare in porto. Giona interpretò il fatto come segno di benevolenza divina e, tutto felice, salì a bordo pagando in anticipo e con noncuranza un biglietto salatissimo, pari al valore dell’intero vascello (quattromila denari d’oro, specifica il midrash). Ma dopo un giorno di navigazione Dio mandò una tempesta tanto terribile quanto selettiva. I cavalloni infatti investivano le murate e facevano tremare gli alberi della nave, mentre a poca distanza la calma piatta consentiva alle altre imbarcazioni di procedere senza pericolo. Sulla nave di Gioia erano imbarcati i rappresentanti delle settanta nazioni della terra e ciascuno aveva con sé i propri idoli. I viaggiatori si accordarono di riconoscere come Dio unico quella divinità che sarebbe intervenuta e avrebbe consentito la salvezza. Ognuno si rivolse perciò al proprio idolo, ma senza risultato. Il capitano allora si ricordò di Giona, che mancava all’appello, e lo trovò tranquillamente addormentato mentre il vento sibilava e le bordate spazzavano il ponte. Lo svegliò e gli riferì dell’accordo, chiedendogli di rivolgersi al proprio Dio. Giona capì, raccontò al capitano la propria storia e chiese di essere gettato in mare per placare la tempesta. Ma i compagni di viaggio si opposero e preferirono prima gettare in acqua il carico che trasportavano. Ma a nulla servì. Allora presero Giona e lo immersero fino alle ginocchia: la tempesta si placò, ma appena lo trassero a bordo tornò a imperversare. Presero Giona una seconda volta e lo calarono in acqua fino all’ombelico: il mare si placò soltanto fino a quando lo tirarono su di nuovo. Fecero un terzo tentativo immergendo Giona fino al collo: le onde e i venti scomparvero, per poi tornare appena Giona fu tratto a bordo. Non rimaneva alternativa ad abbandonare Giona alla sua sorte. Fu gettato in acqua, seguì la calma.

Nel ventre del grande pesce
Giona, come noto, fu inghiottito da un “grande pesce” (così il testo biblico). Per il midrash si trattava di un animale creato appositamente fin dal tempo dell’origine del mondo, così grande da consentire a Giona di vivere comodamente nel suo ventre, proprio come in un’ampia sinagoga. Gli occhi del pesce erano come finestre da cui il profeta poteva ammirare le meraviglie dei fondali marini. Tutti i pesci del mare, al momento stabilito, devono però recarsi dal Leviatano per farsi divorare, e questo era proprio sul punto di accadere per il grande pesce, che si rivolse al suo inquilino umano per informarlo tempestivamente. Così, quando arrivarono dal Leviatano, Giona gli disse di essere lì per segnarsi il suo indirizzo di residenza poiché sarebbe stato suo compito catturarlo nel mondo a venire e macellarlo per il banchetto dei giusti. Il Leviatano vide che Giona era circonciso e fuggì spaventato, così il grande pesce e Giona furono salvi. Per riconoscenza il grande pesce predispose per Giona un vero e proprio tour del mondo subacqueo, facendogli visitare il fiume da cui origina l’oceano, il punto in cui i figli di Israele passarono il mar Rosso e molti altri luoghi sconosciuti e magnifici. Passarono tre giorni, con Giona che stava tanto bene da non pensare minimamente a implorare il Signore di farlo uscire. Allora Dio, indispettito, mandò un pesce femmina grande come trecentosessantacinquemila pesci piccoli che minacciò di divorare il “grande pesce” se non avesse sputato fuori il profeta, che aveva ancora una missione da compiere. Seguì un acceso diverbio a cui prese parte anche il Leviatano, che riferì di aver sentito di persona il Signore che impartiva l’ordine al pesce femmina. Giona fece resistenza e venne divorato per la seconda volta, a quanto risulta nuovamente senza troppi danni. La nuova dimora era però nient’affatto confortevole, perciò Giona implorò Dio di liberarlo. Mentre Giona pregava, aggiungono i Pirkè di rabbi Eliezer, i pesci rimasero rispettosamente in silenzio. Tutti questi prodigi convinsero l’intero equipaggio della nave a rinnegare l’idolatria. Per il Midrash Yonah appena approdati si recarono a Gerusalemme e si convertirono all’ebraismo.

A Ninive
Ninive era una città enorme. Il testo biblico parla centoventimila abitanti, ma secondo alcuni midrashim in riferimento a uno solo dei suoi dodici distretti; perciò la popolazione doveva toccare il milione e mezzo e l’area abitata estendersi su quaranta parasanghe quadrate. L’infuriata predicazione di Giona diede immediatamente frutto. Il libro biblico dice che gli abitanti, dal re all’ultimo dei mendicanti, si vestirono di tela di sacco e digiunarono implorando il perdono divino. Il midrash si spinge oltre e descrive i ladri che cercavano di restituire quanto avevano sottratto. Dal re di Ninive, che una fonte identifica nientemeno che con il faraone egiziano, fino agli animali domestici, tutti partecipavano al lutto. Alcuni arrivarono a smontare pezzo a pezzo i loro palazzi per poter restituire ogni singolo mattone rubato. Altri confessarono colpe segrete di cui nessun altro era a conoscenza e di cui nessuno mai li avrebbe accusati, chiedendo di essere giudicati con la massima severità e perfino con la morte. Un giorno fu scoperto un tesoro in un terreno acquistato di recente; il nuovo proprietario rifiutò di prenderne possesso dicendo di aver comprato solo la superficie del terreno e non quello che poteva trovarsi sotto; il vecchio proprietario rispondeva di aver venduto tutto, suolo e sottosuolo. Per fortuna vennero scoperti gli eredi di chi aveva nascosto il tesoro: i due erano al colmo della felicità quando riuscirono a restituirlo ai legittimi proprietari.

Dio perdonò ai niniviti. Allora, nel midrash, Giona colse l’occasione per chiedere anche lui perdono per la sua fuga. Ottenutolo, Giona si accorse però di subire le conseguenze del soggiorno nel ventre del pesce. Il calore di quell’habitat così poco usuale gli aveva bruciato i vestiti, fatto cadere i capelli e reso la pelle debole e infestata da parassiti. Per questo motivo Dio avrebbe fatto crescere in una sola notte il ricino, una pianta meravigliosa con duecentosettantacinque foglie lunghe ciascuna oltre una spanna. Quanto rapidamente era cresciuto, tanto rapidamente il ricino secca, e questo serve a Giona per la lezione che gli porta Dio, e con cui il libro biblico si chiude. Nel midrash c’è ancora posto per la risposta di Giona, che capisce l’errore e adora il Signore.

C’è un’appendice, anzi più di una. Per il Midrash Yonah il pentimento degli abitanti di Ninive durò esattamente quaranta giorni, poi il timore di venire annientati passò e tutti tornarono a comportarsi male come prima. Questa volta Dio non si servì di un profeta: la terra si spalancò di colpo e l’intera metropoli ne fu inghiottita. In un passo del Talmud fa la sua comparsa la moglie di Giona, descritta come donna famosa per la pietà al punto da partecipare al pellegrinaggio a Gerusalemme, obbligatorio solo per gli uomini. Infine per il Midrash Tehillim, la raccolta di midrashim sul libro dei Salmi, Giona venne risarcito per le sue sofferenze nel ventre del pesce ottenendo da Dio l’ingresso ancora da vivo in paradiso. A Giona, affaticato dalle tante prove, verrà risparmiata la morte.

Giorgio Berruto
collaboratore
Cresciuto in mezzo agli olivi nell’entroterra ligure, dopo gli studi in filosofia e editoria a Pavia vive, lavora e insegna a Torino. Ama libri (ma solo quelli belli), musei, montagne

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