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Grazie, Trump: hai rivitalizzato la sinistra ebraica

Un articolo del New York Times spiega perché

Non tutti i mali vengono per nuocere. O comunque, ci sono situazioni negative che possono generare inaspettati risvolti positivi. È questa l’opinione di Michelle Goldberg, che firma per il New York Times un editoriale dal titolo Mazel Tov, Trump. You’ve Revived the Jewish Left.

Partendo dall’esempio delle manifestazioni di protesta contro il trattamento dei migranti organizzate da gruppi ebraici progressisti nel giorno di Tisha B’Av, Goldberg afferma che Donald Trump “nel tentativo di usare gli ebrei americani come mascotte per un’amministrazione che perlopiù li riempie di orrore, ha incoraggiato la rinascita della sinistra ebraica”.

Proprio così: nuove realtà (gruppi, media, associazioni…) si organizzano e per quanto riguarda quelle di lungo corso, che fino a poco tempo fa “sonnecchiavano”, conviene rassegnarsi, se si vuole partecipare ai loro incontri, a trovare “solo posti in piedi”.

“Naturalmente”, continua Goldberg, “gli ebrei americani hanno una lunga tradizione liberale e sono sempre stati sovrarappresentati nei movimenti progressisti. Ma c’è differenza tra essere di sinistra e incidentalmente anche ebrei e portare avanti un esplicito attivismo ebraico di sinistra”. E cita le parole di Arielle Angel, direttrice della 75enne rivista ebraica progressista Jewish Currents, tra gli esempi più importanti di questo “fenomeno di rinascita” dell’ultimo anno: “Persone che non erano particolarmente vicine al loro ebraismo, improvvisamente sentono che è importante esprimersi in quanto ebree, nel contesto del loro attivismo e nel contesto della loro memoria collettiva”.

L’articolo continua con una raccolta di dichiarazioni di altri attivisti sulle questioni più spinose, tra le quali spiccano il rapporto con Israele, in particolare alla luce dell’intesa tra la destra israeliana e l’amministrazione Trump, e la lotta contro l’antisemitismo, compreso quello che arriva proprio da sinistra. Su un punto sembrano essere tutti d’accordo: il nostro Paese è questo, gli Stati Uniti, e il nostro impegno è qui. In nome di quella parola yiddish che un tempo descriveva il valore fondante del movimento bundista: doikayt, l’essere qui.


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