Hebraica
Sesso, magia e qabbalah

Fare sesso ci mette in contatto con Dio e con l’universo tutto. Parola della studiosa americana Marla Segol, che nel suo “Kabbalah and Sex Magic” spiega perché

In questi primi vent’anni del 2000, la morfologia della spiritualità individuale si è sviluppata (e talvolta normalizzata) verso direzioni spesso non allineate alle ortodossie confessionali, dando vita a una folta costellazione di pratiche interiori ispirate fluidamente a disparate tradizioni religiose, occidentali e orientali. Un esempio di questo rinnovato sincretismo culturale è il revival della magia sessuale, ovvero della ritualizzazione del sesso come fonte di intervento sacro. Le forme in cui la magia sessuale è praticata oggi sono molteplici e, soprattutto, informate da diverse correnti di pensiero, spesso in combinazione tra loro: il tantrismo new age, la magick della Thelema crowleyana, il culto femminista della dea madre. Sub-correnti esoteriche che, grazie anche all’onnipresente networking digitale, stanno emergendo in superficie, a portata di curiosi delle più varie estrazioni. E, in questa fioritura occulta della religiosità diffusa, poteva forse mancare un coinvolgimento ebraico?

La magia sessuale di matrice ebraica è infatti oggetto di una recente monografia di Marla Segol dal titolo Kabbalah and Sex Magic: A Mythical-Ritual Genealogy (Qabbbalah e magia sessuale: una genealogia mitico-rituale, 2021). Oggetto dello studio è il contesto mitologico e religioso, nella storia dell’ebraismo, in cui affonda le radici la magia sessuale. In altre parole, Segol esplora i testi religiosi ebraici che forniscono un inquadramento teologico affinché la ritualizzazione mistica del sesso divenga una pratica ebraicamente lecita.
A chiarimento iniziale, l’autrice introduce la seguente definizione: “Magia sessuale è la ritualizzazione della sessualità umana con lo scopo ultimo di accedere al potere divino” (p. 1). Come può, però, tale pratica trovare giustificazione e fondamento all’interno della religione ebraica? La magia sessuale può avere senso all’interno dell’ebraismo perché il sesso (anche nella sola cornice matrimoniale, secondo le frange conservatrici) è uno dei cardini su cui ruota la vita vissuta religiosamente – basti pensare alla prominenza del precetto della procreazione, “Peru u-revu,” ovvero il “Siete fecondi e moltiplicatevi” di Genesi 1:28. A differenza di quanto elaborato nel cristianesimo, carne e carnalità sono state assai meno soggette alla censura morale nell’ebraismo. Nondimeno, il sesso è un’area del comportamento quotidiano (come il cibo e l’igiene) che non è sfuggita né alla regolamentazione della halakhah né all’attribuzione di senso e sentimento religioso se non mistico. Nella cultura ebraica, dunque, il sesso (come l’alimentazione e la purificazione fisica) ha le carte in regola per essere concepito come un rito – e, in quanto tale, come strumento per allacciare una connessione con il divino, non diversamente dalla preghiera.
E ciò, spiega Segol, è possibile in virtù di una specifica visione ideologica dell’uomo e del suo rapporto con Dio – visione sviluppatasi progressivamente tra il quinto secolo e.v. e il Duecento. Gli assi cartesiani che costruiscono la superficie di azione religiosa della magia sessuale nella cultura ebraica sono i seguenti: (1) la concezione del rapporto tra uomo e Dio, attraverso il mondo circostante, come di una specularità tra microcosmo e macrocosmo; e (2) l’interpretazione simbolica dell’atto sessuale come metafora dell’atto di creazione divina. Ne consegue che, (1) se l’uomo è un’immagine riflessa del Dio che lo ha creato, e (2) se tale Dio dà vita al mondo con un processo equivalente a quanto per gli umani è il sesso, allora anche l’uomo potrà operare modifiche sul creato (e, specularmente, su Dio) grazie al sesso. Se vogliamo, questi due principi hanno già radici nelle Bibbia. Il primo si radica nella creazione dell’uomo a immagine e somiglianza di Dio in Genesi 1:26 (giusto due versetti prima di “Siate fecondi e moltiplicatevi”); il secondo ne(le successive esegesi de)l Cantico dei Cantici come allegoria dell’amore tra uomo e Dio.

Veniamo ora all’evoluzione di questo apparato teologico nella religione ebraica. I testi attraverso i quali Segol ricostruisce il percorso culturale sono di natura mistica, prodotti in vari centri del mediterraneo e del medio oriente nel corso di quasi un millennio. Il più antico di tali opere fondative s’intitola Shiur Qomah: si tratta di un manualetto liturgico – scritto in ebraico tra il quinto e il settimo secolo e.v., forse a Bisanzio – che descrive l’anatomia del corpo di Dio, elencando minuziosamente nome e dimensione di ciascun membro (e da qui il significato del titolo: La misura dell’altezza), genitali compresi.
Ma, se lo Shiur Qomah parla della sola anatomia divina, per leggere della connessione a doppio filo tra corpo divino e corpo umano dovremo rivolgerci ad altri testi, all’incirca contemporanei: il Sefer Refuot (il Libro dei medicamenti, composto in Persia nel sesto secolo) e il Sefer Yetsirah (il Libro della creazione, noto per introdurre estensivamente l’idea che Dio abbia dato vita al creato combinando le lettere dell’alfabeto ebraico). Entrambe le opere contengono una potenziale espletazione pratica, essendo manuali di magia da cui desumere tecniche di intervento sovrannaturale basate sulla corrispondenza tra il microcosmo del corpo umano e il macrocosmo dell’universo. Il Sefer Refuot, ad esempio, si rifà a un modello teorico-magico, mutuato dalla medicina greca di Ippocrate e Galeno, in cui i quattro umori del corpo si relazionano ai quattro elementi dell’universo: l’intervento su queste corrispondenze avrà dunque effetti su entrambi i livelli, la salute umana e lo stato dell’universo. E tale intervento sulle corrispondenze tra livelli diversi della creazione è quanto si può definire magia. In questa fase dell’ebraismo (come anche delle altre culture mediterranee), medicina e astrologia non erano in conflitto. Al contrario, scienza e magia si alimentavano l’una dell’altra, senza distinzioni impermeabili, anche in ragione del fatto che gli oggetti dei rispettivi studi erano sì entità diverse (uomo e cielo, ad esempio) ma elementi pur sempre legati da fili invisibili, se non addirittura riflessi speculari l’uno dell’altro.

Dal decimo al dodicesimo secolo, questo corpus di conoscenza religiosa – fatto di medicina, magia, teologia – verrà modellato secondo direttrici differenti, che andranno dalla pedagogia morale (il musar) all’alchimia. I cardini teorici del micro/macrocosmo e della sessualizzazione del divino continueranno a fornire materiale mitologico alla speculazione religiosa ebraica nel periodo di formazione della qabbalah, ovvero della corrente post-medievale della mistica ebraica. E qui entra in gioco il Sefer ha-Bahir (Libro dell’illuminazione, Provenza, dodicesimo secolo), il testo a cui si riconduce l’incipit della qabbalah stessa. Nel Bahir, difatti, troviamo la prima chiara articolazione dell’immagine dell’albero sefirotico, ossia dell’organizzazione dell’universo in emanazioni progressive che da Dio discendono al livello terreno dell’uomo. Questa complessa strutturazione cosmica si dipana anche attraverso strutture di relazioni polarizzate tra le singole componenti, come il binomio maschile/femminile.
E proprio la dialettica tra gli archetipi della sessualità umana, il maschile con(tro) il femminile, verrà elaborata nel dettaglio da una mastodontica composizione letteraria di poco posteriore: il Sefer ha-Zohar (Libro dello splendore, Castiglia, tredicesimo secolo), il grande classico della qabbalah medievale. Lo Zohar non solo espone i meccanismi di copula (ziwwug) che, dalla sfera divina, mettono in moto gli ingranaggi del creato naturale e sovrannaturale, ma evidenzia anche come tale copula funzioni in tutte le possibili direzioni: elemento divino ed elemento divino, tra essere umano ed essere umano, tra essere umano e divinità, tra divinità ed essere umano. Così un celebre passo:

Quando un uomo anela alla sua compagna e desidera riceverla, egli compie una devozione innanzi al Re santo e suscita un’altra unione, poiché il desiderio del Santo, bedetto sia, è di anelare alla comunità di Israele (p. 141).

Tre secoli più tardi, sarà un prolifico qabbalista del Cinquecento, Mosè Cordovero (vissuto a Safed, nel nord della Palestina ottomana, tra il 1522 e il 1570) a riagganciare le fila: non solo modelli teologici, ma soprattutto istruzioni pratiche per mettere a punto una copula magica che abbia influenza positiva su quel sofisticato sistema di specchi e leve che era il cosmo ebraico premoderno. Le indicazioni tecniche prevedono tre fasi nella ritualizzazione magica dell’atto sessuale: preparazione, azione, interpretazione – una combinazione strutturata di purificazione fisica, presenza psichica e raccoglimento conoscitivo. Così afferma Cordovero, nella Preghiera di Mosè (Tefillah le-Mosheh):

Anzitutto, è necessario lavarsi le mani a mezzanotte o nelle ore seguenti e ripulirsi la coscienza, svuotando lo spirito da ogni cattivo pensiero; si può anche meditare sul pentimento dalle proprie colpe e protrarre la preghiera in base alle proprie forze. Dopodiché, [l’uomo] allieterà la moglie con parole sul precetto [dell’unione sessuale] e, al contempo, dirigerà la propria consapevolezza mentale al sacro … per poi intraprendere la meditazione sul segreto dell’unione (p.142).

Dalla mistica ebraica rinascimentale, il libro di Marla Segol balza in fast-forward ai giorni nostri. E il balzo è giustificato, perché il formato editoriale contemporaneo dei libri di auto-aiuto spirituale non è così lontano dalla utilità applicata dei manuali di condotta qabbalistica. Le istruzioni per una copula mistica di Mosè Cordovero hanno la stessa funzione – e in parte gli stessi principi – dei prontuari di magia sessuale ebraico-newage editi negli ultimi anni, come Il libro qabbalistico sul sesso (The Kabbalah Book of Sex and Other Mysteries of the Universe, di Yehuda Berg, 2006) del Kabbalah Centre o il Kosher Sutra (The Kosher Sutra: Eight Sacred Secrets for Reigniting Desire and Restoring Passion for Life, di Shmuley Boteach, 2009). Quest’ultimo illustra in tutta franchezza perché, oggi, molte persone sono attratte dalle potenzialità magico-rituali del sesso:

Raggiungere uno stato dove lo spirituale e il corporeo coesistono, dove l’amore del cuore si esprime con il tocco delle mani, significa sperimentare il puro potere della vita. Significa sentirsi divini – che è ciò che accomuna uomini e donne durante gli spasimi del sesso, come vari studi dimostrano –, significa gridare ‘Oh Dio, oh Dio’. La nostra divinità naturale diviene manifesta (p. 152).

Che sia in funzione del benessere individuale o della riparazione delle energie del mondo, la tradizione qabbalistica ben si presta al rimpasto culturale delle spiritualità alternative. E, tra le numerose forme di applicazione sacrale, ora anche il sesso ritualizzato all’ebraica sembra venire alla ribalta. E chissà che non impareremo qualcosa di nuovo e buono sull’unità organica tra carne e cielo.

Marla Segol, Kabbalah and Sex Magic: A Mythical-Ritual Genealogy
Penn State Press, 2021, 220 pagine, $ 35

Marla Segol è Associate Professor and Director of Undergraduate Studies al Department of Global Gender and Sexuality Studies della Università di Buffalo. Ha scritto Word and Image in Medieval Kabbalah: The Texts, Commentaries, and Diagrams of the “Sefer Yetsirah”  ed è coautrice di Sexuality, Sociality, and Cosmology in Medieval Literary Texts.

Ilaria Briata
Collaboratrice

Ilaria Briata è dottore di ricerca in Lingua e cultura ebraica all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Ha pubblicato con Paideia Editrice Due trattati rabbinici di galateo. Derek Eres Rabbah e Derek Eres Zuta. Ha collaborato con il progetto E.S.THE.R dell’Università di Verona sul teatro degli ebrei sefarditi in Italia. Clericus vagans, non smette di setacciare l’Europa e il Mediterraneo alla ricerca di cose bizzarre e dimenticate, ebraiche e non, ma soprattutto ebraiche.


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