Cultura
Di concerti, Ostalgie e rinascita dell’ebraismo: il Muro di Berlino in tre storie

Tre storie da leggere per il trentennale della caduta del Muro di Berlino

C’è qualcosa di speciale tra la Germania e il 9 novembre. Che si abbiano o meno credenze di tipo numerologico, è davvero curioso osservare come questa data abbia marcato la storia della Germania in ben quattro occasioni diverse: nel 1918, la fine dell’Impero e la proclamazione della Repubblica; nel 1923, il fallito colpo di stato di Hitler a Monaco; nel 1938, la Notte dei Cristalli; e infine, nel 1989, la caduta del Muro di Berlino. Un giorno che ha ridisegnato le carte geografiche, il presente e il futuro. Il 9 novembre 1989 parla di paura e speranza, aspettativa e nostalgia, politica, cultura e società. Trent’anni dopo, impossibile guardarlo da una sola angolazione. Tra articoli recentissimi e pubblicazioni d’archivio, abbiamo selezionato tre storie in cui immergersi.

Rock ’n’ Roll & the Berlin Wall

La musica rock come forza catalizzatrice della caduta del Muro? Non è affatto un’assurdità. Lo racconta Erik Kirschbaum su Los Angeles Times, partendo dalla storia di un concerto iconico: quello di Bruce Springsteen a Berlino Est nel 1988. Il rock ‘n’ roll di provenienza anglosassone, come è facile intuire, non godeva di buona reputazione nella DDR: “Era bollato come “decadente-negativo”, “contro-propaganda”, o “arma della NATO”. Alcuni rappresentanti della Germania Est rilasciavano dichiarazioni preoccupate sui giovani che diventavano “recalciltranti” a causa del rock, e alcuni dizionari ufficiali mettevano in guardia contro la musica verboten che “incanta i giovani in modo esagerato e funge da strumento per una guerra psicologica che li distrae dalle questioni politiche””.

Il cambiamento, però, è sempre una questione di quando e come, mai di se: con il tempo, pur faticosamente, la posizione della Germania Est si ammorbidisce. Nei mesi prima del concerto del Boss, a Berlino Est si esibiscono Bob Dylan, Bryan Adams e i Depeche Mode; una sorta di “riparazione” ai fatti del 1987, quando in tutto il mondo si diffuse la notizia della violenza impiegata dalla polizia per disperdere la folla che si era accalcata intorno al Muro con l’orecchio teso: dall’altra parte, a Berlino Ovest, suonava David Bowie. Per i giovani della Germania Est, il rock era l’emblema di un mondo nuovo, diverso, libero. Un’aspirazione che nel concerto di Springsteen trovò il suo momento perfetto, come spiega il produttore musicale Joerg Stempel – consulente, tra l’altro, per la colonna sonora del film Le vite degli altri – che vi assistette: “Il concerto di Springsteen, insieme ai precedenti e alle altre influenze culturali occidentali mostravano che il nostro paese era aperto al mondo là fuori… e ciò generò nei tedeschi della DDR una voglia ancor più grande di libertà. La musica rock, i testi, l’atmosfera ai concerti, tutte queste cose smuovevano la gente, la scuotevano, contribuivano alla motivazione per sollevarsi e agire”.

L’esibizione di Bruce Springsteen a Berlino Est fu il capolavoro di una mediazione difficilissima, che per diverse volte rischiò di saltare. Tra le condizioni imposte, c’era il divieto di pronunciare la parola “muro”: così, nel brevissimo discorso sulla libertà (in tedesco) che rivolse al pubblico, Springsteen la sostituì con “barriere”. Subito dopo, intonò Chimes of Freedom. Quella parola, muro, non c’era alcun bisogno di esplicitarla. La folla in delirio aveva capito benissimo.

Cade il Muro: embé? Storia di un giornale che ignorò la notizia

Se l’affermazione “Il 9 novembre 1989 la notizia della caduta del Muro fu riportata sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo” fosse inserita in un quiz di “vero e falso”, senza indugio tracceremmo una crocetta sulla casella di “vero”. Ma sbaglieremmo. Ci fu un’eccezione, un giornale che deliberatamente ignorò quell’evento epocale: il Neues Deutschland, quotidiano ufficiale del Partito Socialista della Germania Est. La sua storia singolare è ricostruita da Tobias Buck per il Financial Times. Nessuna edizione straordinaria per il 9 novembre. E nessuna menzione nemmeno il 10. Anzi, a cercare bene c’è una foto, corredata da un sottotitolo surreale – “Un gran traffico al posto di blocco” – alla quale seguono alcune righe sul presunto supporto che i manifestanti intorno al Muro starebbero esprimendo a gran voce per Egon Krenz, l’ultimo Presidente e Segretario del Partito Socialista della DDR che in realtà si sarebbe dimesso meno di un mese dopo.

Dopo la clamorosa omissione giornalistica, la storia continua. Con una piega ironica, di un’ironia amara e tenera: Neues Deutschland, a dispetto dei tagli, della crisi, del numero di lettori che si restringe, sopravvive ancora oggi. E pur ammettendo gli eccessi del passato (l’attuale direttore, Wolfgang Hübner, è il primo a definire “surreale” la mancata copertura della caduta del Muro) non ha affatto cambiato idea: si considera “un baluardo del socialismo” in un mondo capitalista. Più precisamente, la voce per eccellenza della Ostalgie, la nostalgia della Germania Est, che da alcuni è tuttora avvertita. “Per i suoi circa 25.000 lettori, perlopiù anziani e della Germania Est, il giornale è un raro simbolo di continuità e di quotidiana rassicurazione che non sono da soli a resistere contro la narrativa storica prevalente del dopo 1989. Mentre la Germania si prepara a celebrare il 30esimo anniversario della caduta del Muro, gli articoli di Neues Deutschland rispecchiano la complessa miscela di emozioni – nostalgia, disillusione e adattamento – di molti suoi lettori”.

E il direttore Wolfgang Hübner conferma: “I nostri lettori si aspettano da noi una narrazione [sulla caduta del Muro] che renda giustizia alla loro esperienza e alla loro memoria della DDR. Non desiderano il ritorno della DDR così com’era, nessun dubbio su ciò (…). Ma allo stesso tempo ritengono che alcune idee di base [del sistema socialista] dovrebbero tornare di moda”.

Vivere da ebrei, da una parte e dall’altra del Muro

Negli archivi di The Forward troviamo un interessante articolo di Michael Brenner sulla vita ebraica nelle due Germanie durante la Guerra Fredda. Una vita da ricostruire, in piccoli numeri e nella precarietà, dopo la Shoah e le grandi partenze verso Israele e gli Stati Uniti. Per un certo periodo, la presenza del Muro è rassicurante: “Gli ebrei della Germania postbellica si sentivano protetti da quella che consideravano una sorta di santa trinità: il rimorso di coscienza dei tedeschi, la presenza delle truppe alleate e il Muro, a garanzia che la Germania non sarebbe mai più diventata una superpotenza e una minaccia per il mondo”. Nella Germania Ovest, gli ebrei erano circa 30.000, in maggioranza tedeschi, sopravvissuti della Shoah; nella Germania Est, invece, poche centinaia, ma con una provenienza diversa: perlopiù dai Paesi dell’Est, dove negli anni Cinquanta l’antisemitismo rende l’aria irrespirabile.

Il 9 novembre 1989, gli ebrei tedeschi seguono gli eventi con grande trepidazione. Il timore del cambiamento e del ritorno di una Germania unica e forte, progressivamente, si dissolve di fronte all’evidenza che in questa nuova Germania c’è posto per una vita ebraica. La libertà di movimento offre finalmente l’opportunità di incontrarsi, di unirsi a una comunità, di fondarne una nuova. Le comunità sparute delle città medio-piccole in poco tempo si ritrovano con nuove forze: ce ne sono alcune che passano da 80 a 2000 membri; città come Monaco, Düsseldorf e Hannover contano oggi tanti ebrei quanti ne contavano prima del 1933. “Negli ultimi anni la comunità ebraica della Germania è stata quella che è cresciuta più velocemente fuori da Israele. Sono state costruite sinagoghe e scuole, centri ortodossi, conservative e reform (…). E oltre 20.000 giovani israeliani si sono stabiliti a Berlino, sviluppando piattaforme culturali in ebraico e unendosi agli immigrati ebrei russi. Non sarebbe stato possibile in una città divisa”.

Ricordando la Notte dei Cristalli del 9 novembre 1938, l’articolo conclude: “Ironia della storia, lo stesso giorno che 51 anni prima aveva dato il via alla distruzione dell’ebraismo tedesco, nel 1989 segnò l’inizio della sua rinascita”.

Silvia Gambino
Responsabile Comunicazione

Laureata a Milano in Lingue e Culture per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale, ha studiato Peace & Conflict Studies presso l’International School dell’Università di Haifa, dove ha vissuto per un paio d’anni ed è stata attiva in diverse realtà locali di volontariato sui temi della mediazione, dell’educazione e dello sviluppo. Appassionata di natura, libri, musica, cucina.


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