Cultura
Dalla Torah ai dolci: l’intelligenza artificiale in otto applicazioni ad alto tasso di ebraicità

Non manca niente: dallo studio rabbinico alla kasherut passando per la musica e persino la medicina e la Shoah, gli estimatori dei chatbot hanno dato vita ad applicazioni degne di nota. Viaggio semiserio tra super rabbini e geni informatici

Gli oppositori all’Intelligenza Artificiale spuntano con velocità pari solo a quella degli aggiornamenti di ChatGPT e compagni. I chatbot, ossia i software che mimano i processi di pensiero e di esposizione linguistica umana, sono solo una parte delle infinite applicazioni di AI, ma sono forse tra i più contrastati. Probabilmente proprio per la facilità con cui li si può confondere con i nostri simili.
Il multiforme mondo ebraico non si è fatto sfuggire l’occasione di creare un acceso dibattito sulla liceità di questi sistemi informatici e sui rischi a essi connessi. Senza rinunciare agli estremismi. Quelli del movimento chassidico Skver, con sede in un villaggio di New Square, nello Stato di New York, ci sono andati particolarmente pesanti e hanno proibito in toto l’impiego del pacchetto di OpenAI, funzioni telefoniche comprese. Oltre una dozzina di rabbini della comunità statunitense ultra ortodossa nel maggio scorso ha firmato un documento in cui si dice tra l’altro che AI è “aperta a tutte le abominazioni, eresie e infedeltà senza limiti”. Non tutti comunque la pensano allo stesso modo. Anche nello stesso mondo chassidico. Il movimento Chabad-Lubavitch, ad esempio, è da sempre all’avanguardia nell’uso dei mezzi tecnologici e, apparentemente in contrapposizione a quanti impongono filtri su Internet, l’anno scorso ha aperto il primo centro ebraico nella realtà virtuale di Metaverso.

Un recente articolo pubblicato su Moment si è preso la briga di scandagliare il vasto campo delle applicazioni di AI, chatbot e non solo, mettendo in luce gli aspetti positivi delle nuove tecnologie in un’ottica squisitamente ebraica. Si va dall’uso in campo spirituale e di studio dei testi sacri a quello medico, storico e perfino gastronomico. Senza farsi mancare un’incursione nella musica. E, perché no, anche una punta di presunzione (o ironia, dipende dai punti di vista).
Rebbe.IO dichiara ad esempio di essere il rabbino artificiale più intelligente al mondo. Pur specificando che ogni responso fornito va comunque confrontato e verificato con quello di un vero rabbino, il nostro Rabbi virtuale ammette di essere infinitamente più preparato di qualunque essere umano. In effetti, ha l’intera Torah scaricata nel proprio cervellone e offre la possibilità di scansionare milioni di pagine nel giro di pochi secondi. Basato su ChatGPT, e quindi in grado di rispondere in forma discorsiva alle domande che gli si pone, a differenza di questo programma è più specialistico e fornisce risposte più mirate e precise su Halachot e Mitzvot. Dichiaratamente passibile di errore, viene comunque proposto come un potente mezzo per “portare lo studio della Torah a un pubblico più vasto che mai”.

Resta nel campo dell’esegesi anche Dicta, organizzazione che mira a “rimuovere la fatica” associata allo studio dei testi ebraici, fatica riscontrata anche dai madrelingua quando si tratta di analizzare gli scritti rabbinici a un livello più profondo. Il suo fondatore, Moshe Koppel, è un professore di informatica dell’Università Bar-Ilan e accanto a una infinità di testi ebraici già online, ha messo a disposizione dei suoi utenti anche Dicta Maivin. Grazie a questa app, è possibile decodificare abbreviazioni sconosciute, attribuire citazioni a fonti, aggiungere nekudot (vocalizzazioni) a una porzione di testo e convertire lo script Rashi in un carattere più familiare.

Dai testi ai precetti il passo è breve. Così un gruppetto di brillanti fanciulle della yeshiva Bruriah High School di Elizabeth, in New Jersey, ha ideato un’app che applica l’intelligenza artificiale per distinguere e classificare i tessuti, individuandone i difetti. La cosa è interessante in un’ottica ebraica perché la tecnologia di Thread Check Co. sarebbe in grado di distinguere i filati di un tessuto, inclusi anche quelli shatnez, ossia composti da lino e lana insieme, proibiti nella Torah. Al momento solo in fase sperimentale, il progetto è comunque arrivato primo a un concorso per l’innovazione indetto dal Center for Initiatives in Jewish Education e si è aggiudicato un brevetto provvisorio. Staremo a vedere.

Uscendo dalle Scritture e dal liceo passiamo all’ambito accademico, dove l’intelligenza artificiale cerca di dare il proprio contributo anche alla ricerca medica. In particolare, lo fa con l’ambizione di “curare le malattie attivando e disattivando i geni”. I ricercatori della NYU Grossman School of Medicine e dell’Università di Toronto hanno messo a punto un programma di AI  che consente la produzione di proteine ​​personalizzabili chiamate zinc fingers (dita di zinco), capaci di attivare e disattivare i geni responsabili delle malattie. La ricerca, di grande interesse per la cura delle affezioni genetiche e quindi di valore universale, sarebbe di particolare interesse per gli ebrei. Tra i mali potenzialmente curabili attraverso questo editing informatico ci sarebbe infatti anche la malattia di Tay-Sach. Come si legge sul sito del Norton & Elaine Sarnoff Center for Jewish Genetics, che dal 1999 si occupa di farne lo screening, questo male comporta un lento deterioramento del sistema nervoso e, di conseguenza, delle funzioni cognitive e avrebbe un’incidenza particolarmente alta tra gli ebrei originari dell’Europa orientale.

La capacità di immagazzinare e interpolare dati di AI risulta preziosa anche per quanti hanno perso i propri cari nella Shoah, così come per chi invece ne è sopravvissuto. Da una parte troviamo un sito, From Numbers to Names , che consente di identificare i volti negli archivi di foto e video dell’Olocausto, comprese le collezioni del Museo commemorativo dell’Olocausto degli Stati Uniti e di Yad Vashem, dall’altra l’iniziativa dell’organizzazione israeliana Chasdei Naomi, che sfrutta il software Midjourney per trasformare in immagini i ricordi dei sopravvissuti. Aperto a tutti, il tool di From Numbers to Names dà la possibilità di caricare fotografie dei propri cari e confrontarle con quasi mezzo miliardo di fotografie di ebrei scattate prima, durante e dopo la Shoah. L’algoritmo fornisce quindi all’utente un set dei 10 volti più somiglianti a quello caricato, fornendo di ciascuno informazioni utili a perfezionare l’eventuale riconoscimento.
Il lavoro dell’ente israeliano si è invece concentrato all’inizio di quest’anno sulla memoria di 19 israeliani scampati ai nazisti. Seduto accanto all’operatore di AI, ciascun testimone gli ha raccontato i propri ricordi, fornendo così a Midjourney le parole chiave per creare una a o più elaborazioni grafiche. Una sorta di storyboard che il protagonista ha potuto passo passo modificare o approvare. Consegnando così alle generazioni presenti e future una immagine che altrimenti sarebbe andata inesorabilmente perduta.

La carrellata di opzioni di AI in campo ebraico si conclude con due applicazioni relativamente più leggere. L’una tocca il campo musicale, e in particolare quello del fantomatico Club 27, formato dai miti della musica morti appunto all’età di 27 anni. Accanto a Jimi Hendrix e Kurt Cobain, l’articolo di Moment cita l’indimenticabile cantautrice di origine ashkenazite Amy Winehouse e di come nel progetto Lost Tapes of the 27 Club sia stata usata l’intelligenza artificiale per farne rivivere la voce e la musica. Il risultato è un brano “originale” generato dalla Magenta AI di Google e intitolato Man I Know . Forse poco convincente per gli estimatori di Amy, resta comunque apprezzabile per il coinvolgimento di ingegneri e tecnici del suono che hanno rifinito le tracce create da AI e di cantanti di tribute band chiamate a interpretare i testi creati dal software.

L’ultima applicazione ci riporta nel campo delle leggi ebraiche, in particolari a quelle che riguardano il cibo. Cheesecake Wizard  è una app sviluppata da Abraham Bree in collaborazione con il marchio di prodotti lattiero-caseari kosher Norman’s. Inserendo le proprie preferenze in fatto di crosta, ripieno e topping, l’utente può creare la propria cheesecake del cuore, dolce o salata e sempre rigorosamente kosher. Il sistema, in grado di produrre fino a 64mila ricette, corredate da immagini generate da Midjourney, sarebbe nato in parte dal desiderio di Bree di sfidare le prospettive dei suoi colleghi ebrei ortodossi sull’IA. Si torna così ai dubbi da cui eravamo partiti. E rispetto ai molti che vedono l’intelligenza artificiale in contrasto con l’Halacha, il creatore dell’app è indubbiamente più ottimista: “Sto usando la tecnologia per sostenere la tradizione”. E, già che c’è, promuovere tra una torta e l’altra il marchio che la sponsorizza.

 

 

 

 

 

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


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