Cultura
Di memoria, ciclismo e storie false

Dialogo con lo storico Stefano Pivato a proposito del divorzio tra storia e memoria, ripercorrendo le strade di Gino Bartali salvatore degli ebrei

Lo storico Stefano Pivato ha da poco pubblicato, con Marco Pivato, il libro L’ossessione della memoria. Bartali e il salvataggio degli ebrei: una storia inventata (Castelvecchi) in cui propone una disamina attenta di entrambe le parti che compongono il titolo, la memoria e la figura del ciclista toscano. Ne abbiamo parlato con l’autore, complici le recentissime polemiche sulla figura di Gino Bartali quale postino della pace e Giusto tra le nazioni e l’imminente Giorno della memoria 2021. Per cominciare occorre prendere le mosse da un assunto del libro stesso: il ruolo della storia è stato soverchiato da quello della memoria, ora protagonista indiscussa sul palcoscenico del sapere. Nel libro infatti l’autore propone una distinzione interessante, citando Jacques Le Goff, che considera il passato l’oggetto della storia e la memoria il soggetto di questa. Ma nel corso del tempo i significati delle due parole sono andati sovrapponendosi, al punto che storia e memoria spesso sono usati come sinonimi.

“Siamo difronte a una crisi epocale dei saperi”, spiega Pivato, “dove la storia ha perso il ruolo fondamentale di tutrice, con il compito di vagliare la memoria. Che è fondamentale nella ricostruzione della storia: non avremmo mai saputo, senza la memoria dei sopravvissuti, cos’è successo ad Auschwitz. Ma quei racconti sono stati suffragati dalla storia che ha svolto un lavoro dal rigore ferreo, proprio perché si è trattato di vicende sconvolgenti. Poi però abbiamo assistito al divorzio tra storia e memoria, per vedere anche la progressiva sostituzione di quest’ultima alla prima.

E le conseguenze non sono proprio irrilevanti. Anzi, mi verrebe da parlare di effetti collaterali gravi suscitati da questa sostituzione.
“Penso che oggi sarebbe importante promuovere una Giornata della storia. Perché la memoria, priva delle tutele e delle cautele dello storico, ha finito per accreditare come veri fatti mai avvenuti. Quella che Annette Wieviorka ha chiamato nel 1998 L’era del testimone ha finito per mettere in primo piano la voce delle vittime spesso senza alcuna mediazione da parte degli storici. Ma se la memoria è più viva ed è capace di creare una maggiore tensione emotiva rispetto alle fonti della storia, spesso si rivela fattrice di false notizie. Proprio come è successo rispetto alla vicenda Gino Bartali. Che, nella storia del salvataggio degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale, non ha alcuna responsabilità. Ma c’è un fatto, probabilmente non si è tenuto conto abbastanza dei risultati acquisiti dalle neuroscienze sulla memoria. Non mi addentro nei dettagli, ma è accertato che i ricordi si rimodellano continuamente, prendono nuove forme suggerite dalla fantasia esaltando i tempi passati e se non vengono rievocati si cancellano. E questo ha a che fare anche con la questione Bartali. Ci sono state altre false testimonianze,  ma qui il caso è ancor più particolare perché il protagonista ne è all’oscuro: si comicia a parlarne cinque anni dopo la sua morte”.

Ma com’è nata la vicenda Bartali?
“Tutto nasce nell’ambiente sportivo. E in Italia, dove si pubblicano tre quotidiani sportivi, questa narrazione ha un impatto piuttosto decisivo. Anzi, mi permetto di dire che in Italia vige la religione dello sport, tanto che questa storia si crea senza che nessuno osi contrastarla. La figura di Bartali, uomo esemplare, di elevatissima moralità, la rende verosimile. Era infatti uno sportivo di grande lealtà, profondamente cattolico, terziario carmelitano, marito e padre esemplare e non privo di un coraggio che talvolta lo oppone al fascismo. Solo che questi elementi non bastano per accreditare la storia del Bartali corriere, che non solo assume contorni miracolistici ma trascende anche la verosimiglianza. Nella biografia scritta dal figlio, per esempio, si racconta che nel 1944 alcuni partigiani si rivolsero a Bartali perché liberasse 49 di loro e lui, armato di bicicletta, avrebbe risposto semplicemente Ci penso io. Beh, sembra un eroe dei fumetti! Ad ogni modo, la prima volta in cui Bartali compare come postino della pace sembra risalire al testo di Alexander Ramati del 1978 che presto viene definito un romanzo in cui la scelta di utilizzare il campione come protagonista delle vicende viene giustificata dal contesto di finzione. Fra i costruttori del mito è Paolo Alberati, ciclista professionista, che nel 2004 si laurea in Scienze politiche all’Università di Perugia discutendo una tesi sul tema La Seconda Guerra Mondiale di Gino Bartali: ebrei, cattolici e dissidenti tra Umbria e Toscana 1943-1944. Ma il lavoro di Alberati è costruito su voci e ricordi che certamente circolano dalle parti di Assisi dove Alberati è nato nel 1973 e sulle cui strade si allena raccogliendo verosimilmente le voci di coloro che egli definisce «i ben informati». Ecco, appunto il ricordo”.

Cos’è successo dopo e perché la storia suscita tuttora grandi polemiche?
“Alberati, dopo aver concluso la sua carriera di ciclista alla fine degli anni Novanta, è diventato giornalista sportivo e presto la storia di Bartali salvatore degli ebrei diviene di pubblico dominio con un’eco ben più ampia rispetto al romanzo di Ramati. Di poco dopo è la richiesta da parte della studiosa Angelina Magnotta del riconoscimento del ciclista toscano come Giusto tra le Nazioni. Anche qui la storia incontra un punto oscuro perché la documentazione fornita da Magnotta al dipartimento dei Giusti di Yad Vashem risulta smarrita, anzi addirittura mai ricevuta e successivamente ritenuta insufficiente. Siamo nel 2005 e in quell’anno viene pubblicato il diario di Giorgio Nissim, attivo nella DELASEM nell’organizzare il salvataggio degli ebrei in Toscana, in cui il nome di Bartali non compare mai. Eppure il ciclista viene insignito di una medaglia per il suo ruolo di salvatore al pari di Nissim. La storia è lunga, fatta di contraddizioni, errori storici e testimonianze di seconda e terza mano, ma nel 2013 Gino Bartali è inserito fra i «Giusti tra le nazioni» dal Memoriale Yad Vashem”.

Il fatto che non ci siano prove stringenti non potrebbe però lasciare aperta una finestra sul coinvolgimento di Bartali, considerando le prove insufficienti anche per negarlo?
“La vicenda non fa onore a quegli storici che hanno avallato la leggenda. Fra questi c’è anche il sottoscritto che, nell’ultima edizione di un fortunato libretto dedicato alla vicenda politica di Bartali, ha finito per accreditarla senza le necessarie verifiche. Ma poi le ho fatte: mi resta il senso critico. E mi sono accorto di quanto questa storia sia ormai un mito, difficile da decostruire”.

Perché?
“Perché servono gli eroi positivi. Ma serve anche il senso di responsabilità etica dello storico, che ha il dovere di studiare e analizzare le fonti”.

 

Micol De Pas

È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.


2 Commenti:

  1. Sono rimasta molto ben impressionata dalla serieta’ con cui e’ stato smontato il mito di Bartali al quale ho sempre creduto anchio!
    Grazie! E’ necessario essere transparenti e veritieri..
    A questo proposito voglio dirvi che sta girando sui media un video che racconta di un uomo che nel 1983 avrebbe salvato ben 500 bambini ebrei…salvato nel senso di aver trovato loro una casa e una famiglia…
    Come e’ possibile questo in una data cosi strana?
    Grazie se potete capire e farmi capire!


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