Cultura
“Honey on the Page”, storie yiddish per adulti (e piccini)

Etica ebraica e valori universali in un corpus di fiabe e poesie messo a punto dalla studiosa e darshanit Miriam Udel

Sarebbe un errore considerare Honey on the Page un semplice libro per bambini. O meglio, che lo sia è indubbio, ma né il suo messaggio né i suoi destinatari possono essere sottovalutati. Questo, almeno, è quello che pensa Miriam Udel, la professoressa e rabbina ortodossa di Atlanta che ha curato la raccolta di 47 testi, tra poesie e racconti, di letteratura yiddish per l’infanzia. Secondo quanto dichiarato dalla studiosa a Forward, sarebbe impossibile capire la modernità ebraica senza conoscere questo importante corpus narrativo.
Per comprendere come la Udel sia arrivata a queste conclusioni può essere utile ripercorrerne il percorso esistenziale e di studi. Nata in una famiglia di modeste finanze ma di vasta cultura, fin da piccola Miriam trova nei libri la più grande ricchezza. Da quelli che le regala mamma Ann a quelli che in seguito scopre nella biblioteca locale, dove la tessera del prestito vale per lei ben più di una carta di credito.
Iniziata la scuola ebraica, dove secondo le sue stesse parole è un po’ la nerd della situazione, la possibilità di studiare il Tanach le dona la sensazione di avere «un nuovo super potere». Qualche problema le arriva invece dal rapporto con gli altri studenti, provenienti da famiglie più ricche della sua ma anche meno religiose, dove il peso del denaro sembra superare quello della spiritualità. Un po’ meglio le andrà frequentando la sinagoga ortodossa, dove però a stridere saranno i suoi valori femministi e progressisti nei confronti della divisione nei servizi. «Ho capito che se volevo affrontare adeguatamente queste domande, avevo bisogno di sapere cosa c’era nei nostri testi sacri», ha dichiarato Udel a Forward. «E per questo avevo bisogno di essere in grado di leggerli nell’originale». Da qui l’iscrizione all’Univerità di Harvard e lo studio dell’ebraico classico, dell’aramaico babilonese e dell’esegesi biblica. Il passo successivo, al momento della scelta della specializzazione, sarà l’avvicinamento all’yiddish e, in seguito, ai testi per l’infanzia.

Tutto nasce dall’interesse per il ruolo svolto dalla letteratura secolare nella trasmissione dei valori etici. «Come mai», si chiedeva Miriam, «i bambini delle scuole medie discutono di dilemmi morali a lezione di inglese e non mentre studiano filosofia?». Su suggerimento di una dei suoi insegnanti, la professoressa di letteratura yiddish Ruth Wisse, che le ricorda come il processo di secolarizzazione fosse avvenuto più rapidamente tra gli ebrei dell’Europa orientale rispetto a quasi tutti gli altri gruppi etnici, Miriam diventa così insegnante di yiddish. Ancora non ne sa molto di letteratura per l’infanzia, ma ci manca poco.
Una volta diventata docente di yiddish alla Emory University, la Udel si avvicina ai testi per bambini, inizialmente alla ricerca di testi facili da far leggere ai suoi studenti. Scoprendo ben presto che tra le migliaia di storie e poesie che giacciono per lo più dimenticate nei libri e nelle riviste yiddish della prima metà del XX secolo ci sono tesori che sarebbero utili ai genitori ebrei contemporanei. La sfida, per lei, era di guardare allo sforzo compiuto dagli ebrei dell’Europa orientale di un secolo fa verso l’acculturazione come a un modello per creare una solida identità ebraica e vivere in una società laica per lo più aperta.

Venendo al suo libro, Honey on the Page è il risultato di sette anni di ricerche, letture e traduzioni, sfociate in una panoramica sistematica della letteratura yiddish per bambini. Prendendo ispirazione dalla struttura di molte antologie classiche usate nelle scuole yiddish, la Udel ha scelto di organizzare tematicamente la sua raccolta. Le prime storie includono i temi più apertamente ebraici (festività, narrazioni bibliche e personaggi storici), passando poi a opere via via sempre più universali. Come osserva nell’introduzione la curatrice, gli autori da lei trattati volevano enfatizzare la natura particolarmente ebraica delle proprie opere, ricordando però che i bambini ebrei appartengono al più ampio genere umano ed è doveroso inculcare loro valori universali.
Nello stesso testo la studiosa scrive che la letteratura per bambini yiddish è emersa insieme alla concezione dell’infanzia come una fase distinta della vita in cui gli individui sono più aperti alle influenze intellettuali e che la maggior parte della letteratura per bambini yiddish è un prodotto di scrittori di sinistra provenienti da «diversi gruppi di persone molto idealiste che combattono per tutti i tipi di valori progressisti, anche se hanno seguito percorsi diversi per raggiungerli».

Ecco allora che in Children di Mordechai Spektor due bambini impegnati a Purim nel raccogliere offerte per comprare le scarpe a una loro compagna povera sono scacciati dai più ricchi ma incontrano invece la generosità degli abitanti più umili dello shtetl. «Il socialismo ebraico era profondamente spirituale», spiega la rabbina. «Proviene da una tradizione religiosa in cui un principio chiave era la gentilezza e il fondamento di quella gentilezza era lavorare per creare un mondo più giusto».
In un altro racconto, The Magic Lion di Yankev Pat, le regole dell’osservanza religiosa sono accostate alla tradizione dei valori progressisti. Vi si racconta di un rabbino in viaggio nel deserto a dorso di cammello che si rifiuta di cavalcare il sabato e che viene quindi abbandonato dal resto della carovana. Sarà protetto dagli attacchi delle bestie feroci e dagli altri pericoli dal leone protagonista (interpretabile come miracolo divino o come simbolo della forza dei lavoratori) che, a sua volta nel suo giorno di riposo, lo porterà fuori dal deserto dopo il tramonto di Shabbath.
I riferimenti alla società contemporanea si fanno via via più sentiti dalla curatrice quando parla dei racconti di Khaver Paver dedicati a Labzik, il cagnolino comunista di Brooklyn che combatte accanto ai lavoratori in lotta per i propri diritti nell’America della Grande Depressione. Facendo un salto temporale in avanti fino all’omicidio di George Floyd, la Udel mette in evidenza come molti dei problemi che il cucciolo affronta affliggono tuttora la società americana, dalla crescente disparità di reddito alla rinnovata preoccupazione degli ebrei statunitensi per la propria sicurezza giungendo all’importanza per gli ebrei di esprimere solidarietà agli afroamericani.

Cosciente che non tutti i genitori saranno d’accordo con la morale di tutte le fiabe da lei raccolte nel libro, la Udel rivendica il diritto alla diversità e all’incontro tra posizioni discordanti, anche nell’ambito delle stesse scelte nella fede. Dal canto suo, la studiosa non ha mai smesso di seguire un proprio percorso religioso parallelo a quello universitario, approfondendo gli studi sul Talmud e sulla legge ebraica e completando nel 2019 il programma della Yeshivat Maharat, la prima yeshiva ortodossa a concedere l’ordinazione rabbinica alle donne. Scegliendo come titolo quello di “darshanit”, cioè una donna che spiega le Scritture, la Udel si augura che il suo ruolo nel rabbinato non sarà solo quello di fare ciò che i rabbini maschi hanno sempre aspirato a fare. Nelle sue ambizioni c’è quella di «riformulare le nostre aspirazioni» incorporando gli sforzi delle donne, dei neri, dei membri della comunità LGBTQ e di «altri che sono stati esclusi dalle strutture di potere tradizionali».

 

 

 

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


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