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“Il conflitto teologico”, uno studio sul dialogo ebraico-cristiano

Icone positive e modelli negativi che hanno costruito la relazione tra le due religioni. Un saggio di Massimo Giuliani

È difficile in poche righe presentare anche solo per sommi capi Il conflitto teologico. Ebrei e cristiani (Morcelliana, Brescia 2021) denso lavoro del filosofo Massimo Giuliani, studioso di pensiero ebraico e protagonista da più di due decenni del dialogo ebraico-cristiano nel nostro paese e non solo, e tuttavia cercherò di percorrerlo almeno nelle sue linee di fondo, data l’importanza che mi pare possa avere nell’attuale stato interpretativo pubblico dei rapporti ebraico-cristiani.

Benché il libro si presenti apparentemente come un saggio, ha la densità e l’andamento di un vero e proprio trattato, e richiede al lettore una concentrazione e forse anche una precomprensione notevoli, che sfuggono al genere letterario “Introduzione a”. Il primo dei quattro densi capitoli, dal titolo “Excursus. Un corpo a corpo ad armi impari” è segnato da un’atmosfera drammatica e pessimistica circa la possibilità di venire in chiaro della posta in gioco del dialogo tra due religioni in qualche modo parallele, o figlie dello stesso grembo (ma già quest’ultima affermazione è parte del tema di cui si parla, essendo alquanto problematica) dialogo che però nacque e durò per moltissimo tempo come conflitto a partire da un evento storico, che l’autore così descrive: «Il tempio e la sua distruzione: ecco il singolo evento storico che sta al centro del più antico conflitto di interpretazioni della cultura occidentale e che funge da catalizzatore tra il nascente giudaismo e il nascente cristianesimo, nel senso che la caduta del tempio si offrì – e ancora si offre – a uno spettro di spiegazioni storiche e religiose che, da solo, mette in moto diverse auto-rappresentazioni di senso contenenti nuovi nuclei teologici attorno ai quali si svilupparono i giudaismi post-70, ovvero dopo quella distruzione» (p. 8).

Tutto sarebbe molto più semplice se si trattasse di due religioni parallele sì – almeno da un certo tempo in poi –, ma anche diverse, come dice lo studioso e rabbino Jacob Neusner (Ebrei e cristiani, un mito di una tradizione comune, San Paolo, 2009): «Ebraismo e cristianesimo sono due religioni completamente diverse, non differenti versioni di una religione (quella dell’“Antico testamento” o della “Torah scritta”, come la chiamano gli ebrei). Le due fedi rappresentano gente diversa che parla di cose diverse a gente diversa» (Ivi, p. 11).

Giuliani però non sembra condividere questa impostazione, anche se ammette che il giudizio da parte dei maestri rabbinici di ‘avodà zarà – culto estraneo, idolatrico, «non tanto e non solo per la sua dottrina trinitaria, quanto soprattutto per quella dell’Incarnazione» (Schwarzschild) – fu in larga misura prevalente, sia pure con diverse sfumature, e talora con rare eccezioni volte a valorizzare in certo grado il cristianesimo nel suo valore morale e civilizzatore, come nel caso del rabbino Meiri (1249–1306): «In quanto i cristiani, a cui viene richiesto di conformarsi ai fondamentali statuti morali costituenti la civiltà, adorano l’unico creatore del cielo e della terra»; p. 58); Sfumature e ambivalenze, da parte ebraica, che si rivelarono almeno fino all’epoca dell’haskalà (illuminismo ebraico), nella figura emblematica del suo maggiore esponente Moses Mendelssohn, il quale da una parte privatamente stimava la figura di Gesù, dall’altra pubblicamente mantenne la propria appartenenza ebraica – a differenza di molti suoi colleghi berlinesi – «rilanciando il concetto di legge naturale […] e insistendo sulla necessità della tolleranza religiosa riproponendo nozioni rabbiniche come le leggi morali che già i patriarchi biblici osservavano e l’esistenza dei giusti delle Nazioni ».

Ma storicamente, da parte cristiana, questo rispetto non ci fu almeno sino alla dichiarazione conciliare Nostra Aetate (1965), perché il nascente cristianesimo pretese da subito (con Paolo di Tarso) di essere l’inveramento e la sostituzione della religione ebraica pre-rabbinica entro cui si era formato, e inaugurò un drammatico e sanguinoso conflitto asimmetrico, fatto di persecuzioni dall’epoca post costantiniana a quella hitleriana (nella quale all’antico antigiudaismo teologico si era aggiunto l’antisemitismo di matrice razzista e pseudo biologica nato in età positivista, che si aggiungeva agli antichi miti teologici di deicidio, e di complotto: una “causalità diabolica” retrostante ai mali storici), concludendosi in un genocidio mostruoso di esemplare singolarità. Per impostare la trattazione successiva del libro, Giuliani conclude il primo capitolo con tre domande: 1) «Come negare che la Shoà in pieno ventesimo secolo fu il culmine della lunga storia di antigiudaismo di matrice teologica cristiana? Quale giudizio hanno dato i teologi e gli intellettuali cristiani, delle diverse confessioni, di questa immane tragedia ebraica perpetrata, durante la Seconda guerra mondiale, da uomini e donne battezzati senza che nessuna autorità ecclesiastica si alzasse, se non per fermarla almeno per denunciarla con forza? E come non introdurre nell’orizzonte di questa riflessione, l’evento che da solo ha forse cambiato per sempre l’autocoscienza ebraica e di riflesso anche il modo in cui il cristianesimo pensa a se stesso il rapporto al popolo ebraico: la Fondazione nel 1948 Dello Stato di Israele?» ; 2) «Quale impatto hanno avuto, e continuano ad avere, nella riformulazione delle identità cristiana gli eventi della Shoà da un lato e della rinascita politica di Israele dall’altro?»; 3) «Infine, un discorso a parte andrebbe riservato alla corrente di studi accademici in ambito ebraico che, lungo tutto il ventesimo secolo, ha proseguito la ricerca e la meditazione sulle origini ebraiche del cristianesimo avviata da Abraham Geiger [esponente della Wissenschaft des Judentums che per primo studiò in un saggio del 1864 la matrice ebraico-farisaica della figura e dell’insegnamento di Gesù], studi che continuano a essere concentrati soprattutto sulle figure di Gesù e di Paolo di Tarso. È anche a tali studi che occorre guardare per comprendere come i rapporti del mondo ebraico con le chiese e il cristianesimo siano venuti evolvendo e come si articolino a diversi livelli e con modalità impensabili fino a tutto il diciannovesimo secolo. Tali articolazioni e soprattutto le loro ragioni storiche nonché le loro motivazioni psicosociali sono già tra i temi e gli autori che costituiscono il filo conduttore dei prossimi capitoli».

Nel primo capitolo l’autore ricorda inoltre che la locuzione “dialogo” fu per la maggior parte del medioevo e dell’età moderna segnata in ambito cristiano dal carattere controversialistico e catechetico, volto a convertire gli ebrei piuttosto che a chiarire reciprocamente i rispettivi punti di vista religiosi. E questo, parallelamente, retroagì sull’impostazione difensiva e talora identitariamente polemica da parte ebraica.
Il libro procede con la parte intitolata “Il Compimento delle scritture: il nodo ermeneutico (antiebraico) del sostituzionismo cristiano”, dove l’autore analizza i diversi teologumeni che da parte cristiana hanno segnato il contesto polemico (e lungamente tragico) della sua relazione con il giudaismo, in epoca medioevale, moderna e (in parte ancora) contemporanea. Il primo è quello tipologico del plesso figura-compimento: «Le Scritture ebraiche sono lette dalla teologia cristiana come figure che trovano compimento negli eventi cristiani che un’altra Scrittura, il Nuovo Testamento, registrerà diventando ‘il libro del compimento’». Il topos del compimento delle Scritture e della realizzazione delle profezie ebraiche del Cristianesimo non sarebbe mai stato messo in discussione, sin dai tempi del nascente movimento post-gesuano, e neppure contestato dalle frequenti eresie di stampo gnostico, ma ripreso con varie sfumature in epoca moderna, persino dall’ultima grande impresa teologica, la filosofia della religione di Hegel, che vede nel cristianesimo l’Aufhebung (elevazione-sostituzione-superamento) del giudaismo.
La lettura tipologica sembra permanere, secondo Giuliani, che anche in talune opere dell’attuale ermeneutica cattolica (l’autore si confronta, in diverse pagine, criticamente con l’opera esegetica di Beauchamp), quasi a far sospettare che lo stesso cristianesimo faccia fatica a disancorarsi dal gesto auto-interpretativo inaugurale della propria identità, come sostitutiva a quella giudaica.

Un altro teologumeno è quello dell’universalità cristiana versus il particolarismo ebraico (che trasparirebbe anche nello sforzo esegetico beauchampiano di istituire un’ossimorica «parzialità che è totalità» come approccio al testo biblico), il quale si fonda ultimamente sul dogma cristiano dell’Incarnazione di Dio in Gesù di Nazareth. Altri teologumeni sono, ad esempio, il dualismo nevrotico legge-carnalità vs amore-spiritualità, quello occultamento-disvelamento, quello dell’ostinazione ebraica vs. l’apertura (!) cristiana, ecc., dualismi tutti germinati dalla complessa e delicata teologia della “Legge” di Paolo (la quale richiederebbe un discorso che esula da questa breve recensione, e che potrebbe giovarsi oltre che del libro in questione – soprattutto nell’ultimo capitolo – degli studi di Pietro Stefani [si veda Gli uni e gli altri, EDB 2017] e del recente Le tre vie di salvezza di Paolo l’ebreo, [Claudiana 2021], di Gabriele Boccaccini).

Nel terzo capitolo intitolato “Modelli negativi e icone positive della relazione, Conflitto, ambiguità, riconoscimento” Giuliani elenca ed analizza una silloge dei principali modelli di relazione da l’una e dall’altra parte, dando per assunti i lavori di ricognizione storica dell’antigiudaismo e dell’antisemitismo, ma cercando di enucleare «attraverso carotaggi … modelli di relazione che nel tempo sono stati dati per giustificare attitudini ora di conflitto e ora di riconoscimento, non senza ignorare le forti ambiguità presenti [in entrambi i casi]. Da parte cristiana: 1) il modello di Agar e Sara; 2) La radice e i rami innestati; 3) I due esploratori; 4) La regina spodestata e la regina trionfante ;5) il mulino mistico. Da parte ebraica: 1) I precetti per i figli di Noach/Noè; 2) Il seme ebraico e il frutto messianico 3) Cristianesimo e Islam come praeparatio messiae; 4) La stella il fuoco e i raggi (Franz Rosenzweig, verso il quale ci sembra Giuliani nutra una vicinanza spirituale ed esistenziale, pur problematizzandone alcune posizioni); 5) il waw inversivo della resilienza ebraica e lo Judenhass.

Nell’ultima parte del capitolo, l’autore individua il vero dilemma che deve attraversare la coscienza cristiana, quello del rapporto con la Torà in quanto legge: «Il problema è cristiano e consiste nel proprio ambivalente e mai risolto “rapporto con la legge”: mai ripudiata (…) ma neppure mai accettata davvero, a partire dal suo esigente senso letterale …». Nell’analisi dello scambio epistolare tra Rosenstock e Rosenzweig, l’autore individua quella «necessaria dialettica per amore del Regno» quale luogo generatore, fuoco vivente del confronto metafisico tra le due religioni. Al termine di questa analisi si arriva alla conclusione con “Ebrei e cristiani alla ricerca di nuovi paradigmi”, capitolo la cui densità non si presta neppure per brevi cenni ad una sintesi, ma che va percorso e meditato con attenzione se si vuole comprendere la proposta autentica dello studio di Giuliani.

Il libro, che sembra aprirsi con un realismo pessimista, pur non negando alcuna delle difficoltà all’attuale status quaestionis et actionis della relazione tra le due religioni, sembra chiudersi volontaristicamente con la speranza di una migliore comprensione della specificità dell’una per l’altra, al fine di una comune assunzione di responsabilità reciproca, e di un contributo etico spirituale verso il mondo. Ad avviso di chi scrive tuttavia, la tonalità emotiva se non apertamente pessimistica, almeno di scoramento rispetto agli inizi del dialogo postconciliare, permane nello sfondo del libro, e credo a ragione, visti anche i recenti irrigidimenti nelle posizioni e nelle pratiche – pur con lodevoli eccezioni – in entrambe le tradizioni religiose.

Il conflitto teologico. Ebrei e cristiani, di Massimo Giuliani, Morcelliana, Brescia 2021, pp. 296.

Alessandro Paris
collaboratore

Dottore di ricerca in filosofia , cultore della materia studi ebraici Università di Trento e insegnante in un liceo


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