Se si guarda in rete si coglie subito il problema: come fare e a preparare qualcosa che non faccia schifo…. Qualche soluzione (golosa) la troverete qui, tra storie e ricette
Costretti a rinunciare a farina e lievito per otto giorni, in attesa di Pesach si tende anche a mettere da parte la golosità. Detta in altre parole, questa non sembra una festa per gli amanti della pasticceria. Soprattutto delle torte. Alla luce di quanto detto, suona dunque come un paradosso che alcuni dei dolci più buoni della tradizione italiana ed europea abbiano tutte le carte in regola per essere preparati e consumati in questo periodo. Risultando talmente deliziosi da ricevere un posto d’onore sulla tavola anche del resto dell’anno. Per capirlo, bisogna allontanarsi per un attimo dai ricettari storici di cucina ebraica e dare un’occhiata a quelli senza particolare connotazione religiosa.
Per quanto riguarda l’Italia, punto di partenza è ancora una volta il caro vecchio Pellegrino Artusi. Nella sua Scienza in cucina lo studioso ottocentesco raccoglie come si sa le ricette giunte a lui dalle fonti più svariate, a volte scritte di pugno da gentili signore e signori, altre segnalate genericamente come patrimonio familiare o locale di questa o quella regione italica.
A parte rari casi, l’ascendenza ebraica dei diversi cibi o piatti non viene messa in evidenza, ma qualche dubbio, guardando ingredienti e procedimenti, sorge spontaneo. Nella sezione torte e dolci al cucchiaio del prezioso volume compaiono infatti bontà da forno che possono essere senza troppi problemi introdotte anche nei pasti di Pesach, prive come sono di farine di ogni sorta, di lievito e spesso anche di derivati del latte.
In particolare, salta all’occhio l’impareggiabile Torta di noci, preparata con noci tritate amalgamate con cioccolato fondente e zucchero in pari quantità e quindi completata con tuorli e albumi montati, e la curiosa, nel nome se non nel procedimento, Focaccia alla portoghese. Anche questa priva di farina, perlomeno di nessuno dei cinque grani proibiti, ricorre in minima parte alla fecola di patate e trae la sua forza dalle mandorle tritate (o pestate) finissime con lo zucchero, dalle uova dagli albumi montati a neve fermissima e dal succo e la scorza delle arance. Queste sarebbero anche all’origine del nome, visto che in diverse zone dell’Italia del Sud erano (e sono) chiamate portogalli in quanto importate proprio dal paese iberico.
Tornando all’elenco dei dolci, si potrebbe a questo punto passare anche agli amaretti e ai tanti biscottini e dolcetti di origini spagnole o mediorientali a base di uova, zucchero, frutta secca e poco più che affollano i ricettari italiani, ma è meglio concentrarsi come già detto solo sulle torte. Queste sono in effetti un banco di prova non da poco per chi alla dolcezza associa la morbidezza, istintivamente legata alla presenza del lievito e all’uso di uno sfarinato ben più leggero di quello ottenuto dalla macinazione di mandorle e noci. Ma anche questo è un luogo comune che la storia gastronomica smentisce ripetutamente, combattendo i pregiudizi a suon di spume leggerissime a base di albumi e zucchero.
Per capire come la pasticceria italiana ed europea abbiano acquisito, spesso inconsapevolmente, tradizioni di probabile origine ebraica o comunque diffuse dagli ebrei, è utile fare un veloce ripasso su quello che rappresenta il dolce senza lievito per eccellenza, il pan di Spagna. Certo, ora qualcuno subito obietterà che la sponge cake, come è conosciuta dagli anglosassoni, contiene farina di grano, ma anche qui la storia ha qualcosa da insegnare. Pare che l’arte di montare le uova con lo zucchero fino a inglobare quanta più aria possibile e rendere superfluo l’impiego del lievito si sia sviluppata nella Spagna moresca intorno all’anno Mille. Per ottenere una spuma voluminosa che assicurasse poi leggerezza anche al prodotto finito si usavano ramoscelli legati insieme a mo’ di frusta, ma la lavorazione era talmente lunga e noiosa che la faccenda veniva riservata alle grandi occasioni. Di sicuro, questa tecnica non era sfuggita ai Sefarditi, che sono stati tra i primi e più ferventi sostenitori di quello che, con l’aggiunta di poca farina e di un po’ di scorza di limone o di vaniglia, sarebbe diventato il moderno pan di Spagna.
La farina di grano però non era l’unica a essere impiegata nella preparazione dei dolci di uova. Spinti si immagina proprio dall’esigenza di rispettare le regole per Pesach, gli ebrei di Spagna raccolsero l’antica tradizione di usare la frutta secca macinata per dare consistenza alla pastella di uova e zucchero. E pare che proprio in questa occasione abbia preso forma un classico della pasticceria ebraica come la Torta di arance sefardita. Preparata cuocendo in acqua i frutti e poi frullandoli con tutta la scorza (semi esclusi), prevede la classica base di tuorli sbattuti con lo zucchero, l’impiego delle mandorle tritate al posto della farina e naturalmente gli immancabili albumi sapientemente (e pazientemente) montati a neve. Con una non troppo improbabile parente in Sicilia, detta Pan d’arance, questa torta conosce un numero imprecisato di varianti in Spagna e in gran parte dei paesi del Mediterraneo. Ovunque, insomma, si trovasse una comunità ebraica e con essa una fiorente attività di coltivazione e commercio di arance e agrumi in genere. Tra diverse versioni, quella allo sciroppo si presta magnificamente a soddisfare la voglia di dolcezza nelle giornate di Pesach così come nel resto dell’anno, con una golosa bagna al succo di arancia e zucchero che viene in soccorso alla eventuale pesantezza del mix di mandorle non lievitato.
Mandorle e arance, con l’aggiunta questa volta anche di noci, sono protagoniste anche di un’altra torta ricordata da Claudia Roden nel suo The Book of Jewish Food. Parliamo del Gato de Muez de Pesah, che l’autrice cita come il dolce per eccellenza di Pesach a Istanbul insieme alla sua variante allo sciroppo e che, non fosse che per l’uso delle noci, ricorda molto da vicino anche quella Focaccia alla portoghese già vista citata dall’Artusi.
Restando in Italia, sempre la Roden vi colloca diverse altre prelibatezze perfette per i prossimi giorni. Del resto, nella sua lenta ma inesorabile avanzata in Europa, il pan di Spagna sarebbe arrivato da noi nella seconda metà del Quattrocento, forse portato dagli Arabi in Sicilia o dai Sefarditi in fuga dalla Penisola Iberica. Qui, avrebbe subito qualche modifica rispetto alla ricetta originale, come l’aggiunta di burro nella versione genovese o di mandorle tritate e di glassa di albume e zucchero nella Bocca di dama. Oggi quasi ovunque indicato come dolce ebraico e in particolare di Pesach, quest’ultimo dessert servito a quadrotti cosparsi di mandorle a scaglie compare in ben due versioni nel già citato libro dell’Artusi. In entrambi i casi lo storico indica la presenza della farina, ma la possibilità di ometterla non gli doveva essere nuova, se specifica: “Lo faccia chi vuole senza farina: io la credo necessaria per darle consistenza”. Naturalmente, i ricettari ebraici la eliminano, sostituendola con la farina di azzime o con una dose extra di mandorle macinate finissime.
Passando dalle arance a un altro prodotto dai mille legami con le comunità ebraiche, la pasticceria tradizionale di Pesach non poteva dimenticare il cioccolato, dato che erano tanti gli ebrei, e in particolare i conversos, che importavano le noci di cacao dal Nuovo Mondo, ne lavoravano la pasta e commerciavano il prodotto finito. La Roden cita nel suo libro quello scritto nel 1982 da Donatella Limentani Pavoncello, Dal 1880 ad oggi: la cucina ebraica della mia famiglia. Ripercorrendo le ricette di casa, l’autrice offre uno spaccato della tradizione gastronomica giudaico-romanesca proponendo tra le altre la ricetta della Torta di mandorle e cioccolata. Preparata con la frutta secca e il fondente macinati insieme in quasi pari quantità con l’aggiunta poi dello zucchero, ha la particolarità di non prevedere l’uso dei tuorli, ma solo di un numero ragguardevole di albumi montati. La storica di origini egiziane, poi, riporta a sua volta una ricetta di casa, presentata come uno dei capisaldi della tradizione di Pesach della sua famiglia. A metà strada tra una mousse e una torta, il Gâteau au chocolat della Roden viene preparato unendo il cioccolato fuso ai tuorli battuti con lo zucchero e mescolati con le mandorle tritate. Al tutto si uniscono poi gli immancabili albumi montati e si inforna quindi il tutto.
Dalle ricette viste fin qua appare evidente che la frutta secca è quasi indispensabile alla buona riuscita delle torte senza farina almeno quanto lo sono gli albumi montati per quelle senza lievito. Ma l’uso di noci e mandorle, per quanto di antichissima data, non sempre raccoglieva i favori dei cuochi. Tanto più nell’epoca precedente l’invenzione del macinino, avvenuta alla fine dell’Ottocento. Prima di allora, l’unica speranza di ottenere una polvere abbastanza sottile da non trasformare il dolce in un macigno era affidarsi a una lunghissima e tediosa lavorazione al mortaio.
Non particolarmente apprezzate dagli italiani del Rinascimento, che preferivano appena possibile ricorrere alla più semplice e leggera farina, noci, mandorle e nocciole tritate o pestate non dovevano spaventare invece i popoli del Nord ed Est Europa. Partite dalla Spagna, le torte a base di frutta secca avevano finito col conquistare nel Seicento le cucine ashkenazite. Presso le comunità ebraiche austriache, tedesche e ungheresi la Nusstorte era diventata il dolce di elezione non solo per Pesach ma anche per le festività del resto dell’anno. Preparata occasionalmente con poca farina, ma ottima anche senza, questa torta a base di noci o nocciole viene impastata senza l’uso di burro o di altri latticini, risultando così perfetta in tutte le occasioni. Comprese quelle in cui un ciuffo di panna aggiunto all’ultimo non rischia di contravvenire ad alcun precetto.
Diventata tutt’uno con l’identità ebraica a tavola, la Nusstorte avrebbe seguito gli immigrati ashkenaziti che a fine Ottocento stavano iniziando una nuova vita negli Stati Uniti. Prova della sua rilevanza è la presenza di sue numerose varianti in diversi libri di cucina ebraica editi in America a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Si passa dall’Aunt Babette’s Cook Book del 1889, che oltre a quella di noci tra i dolci per Pesach cita anche una torta di farina di patate e svariate altre con farina di azzime, a The Settlement Cook Book del 1901, che comprende una quarantina di cake a base di frutta secca, senza burro né lievito o farina, quest’ultima eventualmente sostituita dalle briciole di azzime. Ormai affermate negli States, queste preparazioni non hanno più abbandonato la tradizione locale, spesso non necessariamente solo ebraica. Allo stesso modo, pur essendo state elaborate e perfezionate per far fronte alle limitazioni imposte dalla religione, si sono rivelate così buone e facili da realizzare da essere ormai adottate per tutti i momenti dell’anno che vogliono essere celebrati con un dolce.
Torta di noci
Ingredienti per 8
140 g di noci sgusciate
140 g di zucchero
140 g di cioccolato fondete grattugiato
20 g di cedro candito
4 uova
vanillina
Pestare o frullare le noci con lo zucchero, poi mescolarle in una larga ciotola con il cioccolato, la vaniglia, i tuorli, gli albumi montati a neve e infine il cedro tritato finemente.
Foderare una teglia con carta da forno bagnata e strizzata, versarvi il composto badando che non risulti più alto di due dita, poi cuocere la torta in forno già caldo a 180 °C per circa 45 minuti. Sfornare, fare intiepidire e sformare.
Focaccia alla portoghese
Ingredienti per 8
150 g di mandorle spellate
150 g di zucchero
50 g di fecola di patate
3 uova
1 arancia e ½
Montare gli albumi con 130 g di zucchero fino a ottenere un composto gonfio e chiaro, aggiungere quindi la fecola e poi le mandorle pestate fini con il resto dello zucchero.
Grattugiare la scorza delle arance, poi spremerle per ricavare il succo e filtrarlo; unire scorza e succo al composto alle mandorle.
Montare gli albumi a neve e incorporarli al tutto, mescolare delicatamente e trasferirlo in una teglia foderata con carta da forno all’altezza di 1 dito e ½. Cuocere in forno giù caldo a 150 °C per circa 1 ora. Sfornare, fare intiepidire e sformare, completando a piacere con una glassa a base di albume mescolato con zucchero a velo e succo di limone.
Torta di mandorle e cioccolata
Ingredienti per 8
250 g di mandorle spellate
200 g di cioccolato fondente
250 g di zucchero
7 albumi
Tritate finemente le mandorle in un mixer con il cioccolato, azionando l’apparecchio a più riprese, poi trasferire il composto in una larga ciotola, unirvi lo zucchero e mescolare bene.
Montare gli albumi a neve fermissima, poi incorporarli al mix al cioccolato mescolando delicatamente e versare quindi il composto in uno stampo foderato con carta da forno.
Cuocere in forno già caldo a 150 °C per circa 1 ora, poi sfornare, fare intiepidire e sformare.
Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.