Cultura
Primo Levi biblista. Intervista a Alberto Cavaglion

Lo scrittore torinese tra agnosticismo e attenzione per il sacro. Un viaggio nei testi leviani con lo storico Cavaglion

Alberto Cavaglion è uno storico contemporaneista che da decenni si interessa di letteratura ebraica italiana del Novecento, da Italo Svevo a Giorgio Voghera a Primo Levi. È stato tra i primi a studiare il mondo delle piccole ma numerose comunità ebraiche piemontesi messo in scena nel racconto Argon, con cui si apre Il sistema periodico di Levi, nel volume Notizie su Argon. Gli antenati di Primo Levi da Francesco Petrarca a Cesare Lombroso (Instarlibri 2006). Recentemente, con Primo Levi: Guida a “Se questo è un uomo” (Carocci) è tornato a discuterne approfondendo il tema del rapporto in Levi tra cultura umanistica, positivistica e scientifica, da una parte, e interesse per il sacro dall’altra.

Come interpreta Primo Levi la propria appartenenza ebraica e italiana? Come descrive quella che tu hai chiamato la “civiltà di Argon”?
Questo è un aspetto che interessa molto i linguisti. Il tema della comunicazione, della comunicazione linguistica è centrale in Levi per la cultura e la lingua dei suoi antenati ma non solo. Il tema specifico del suo rapporto con l’ebraismo crea sempre un po’ di imbarazzo perché ha una posizione particolare: a fronte di un dichiarato agnosticismo ha sempre dimostrato un grande interesse per la cultura biblica e il sacro. Dante e la Bibbia sono soprattutto nei primi libri i suoi punti di riferimento. Non mi convince la tesi di chi vede in lui l’illuminista convinto, il razionalista quasi voltairiano, lo scienziato puro, il positivista. C’è anche questo, però sotto c’è per tutto il corso della sua vita un interesse per i lati oscuri della personalità, il tema del destino, l’incertezza, i limiti di fronte a cui anche la scienza si ferma. La scienza ha un limite, e questo limite è dato dalla letteratura, dall’arte, dal Dante attento ai fenomeni della sacralità, il Dante salmista. Levi non amava particolarmente il mondo yiddish e ha scritto pagine critiche contro Singer e la cultura ebraica dell’Europa centrorientale, lo affascinava di più naturalmente l’ironia dei suoi antenati piemontesi ed era molto interessato alla cultura biblica, alla lettura e all’interpretazione dei libri biblici. Su alcuni di questi, come Giobbe e i Salmi, si è esercitato a lungo [nell’antologia personale La ricerca delle radici Levi ha incluso una pericope tratta dal libro di Giobbe]. Questo emerge per esempio negli intarsi di citazioni che sono presenti nella sua opera in versi e nelle traduzioni delle poesie che ha fatto. È un aspetto della sua opera che sconfina, va al di là e può essere anche inaspettato per chi si aspetta solo il lume della ragione, il razionalista, il cartesiano, insomma l’uomo di scienza.

Avevi già affrontato questo tema nella lezione curata con Paola Valabrega per il Centro Primo Levi “Fioca e un po’ profana”. La voce del sacro in Primo Levi (Einaudi 2018).
Sì, lì eravamo ancora all’inizio. Poi mi ha attirato soprattutto il fatto che Levi risalga alla Bibbia attraverso la Commedia di Dante. Questa è una tesi che mi ha affascinato negli ultimi anni e che nella Guida a “Se questo è un uomo” ho cercato di chiarire. Pur essendo la Bibbia di Dante la Vulgata, e non certo la Bibbia ebraica, mi appassiona il fatto che le citazioni bibliche nascoste presenti nell’opera di Levi originino da lì. L’ultima che ho scoperto, e che mi ha molto sorpreso, è nella poesia in epigrafe a Se questo è un uomo, parafrasi della preghiera più importante nell’ebraismo [lo Shemah]. Sotto in realtà ci sono due citazioni nascoste di Dante. La prima, quella che dà il titolo al libro, era già nota: “Considerate se questo è un uomo” è modellato sul verso del canto di Ulisse “Considerate la vostra semenza”, un tipico imperativo dantesco. Ma a proposito del primo verso, “Voi che vivete nelle vostre tiepide case”, nessuno si era ancora accorto che “Voi che vivete” è un chiaro calco dell’appello al libero arbitrio fatto da Marco Lombardo nel canto XVI del Purgatorio. È solo una piccola scoperta fatta per caso, ma sono sicuro che ce ne siano molte altre nel testo, come se Levi percepisse la sensibilità del Dante biblista. Allo stesso tempo è segno del suo universalismo il fatto che abbia amato la Bibbia e l’abbia ripresa non rivolgendosi alle traduzioni ebraiche ottocentesche o novecentesche, ma risalendo al modello dantesco. Quando si chiede “non sono forse anch’esse storie di una nuova Bibbia?”, in realtà quello che vuole dirci è che la sua non è una Bibbia classica, ma una Bibbia mediata da Dante di cui è grande cultore e appassionato. Credo che questa tesi funzioni molto bene all’inizio. Poi come Manzoni, altro modello del primo periodo, dopo La Tregua in parte svanisce.

Nel ricchissimo panorama degli studi su Levi, uno studioso di primo piano come Marco Belpoliti ha sottolineato la centralità per la cultura dell’intero Novecento, e non solo di quello italiano, dei Sommersi e i salvati. Per il pubblico, grazie anche alla diffusione nelle scuole, Se questo è un uomo rimane comunque, almeno in Italia, la lettura centrale nel panorama dei libri di Levi. Negli Stati Uniti e nel mondo anglosassone è soprattutto il Sistema periodico a riscuotere successo, un testo che il “Guardian” ha definito “il miglior libro di scienza mai scritto”. Per Calvino è ancora il Sistema periodico “il più leviano dei libri di Levi”. A tuo avviso qual è il libro più importante di Primo Levi?
Io sono un sostenitore del primo Primo Levi. C’è una grande discussione, aperta da Vittorio Foa quando era ancora in vita, se vi sia coerenza tra Se questo è un uomo e I sommersi e i salvati, una linearità, o non invece come già Vittorio Foa diceva una linea spezzata, suggerendo che ci sia qualcosa nell’ultimo libro di Levi di pessimista nelle riflessioni sulla zona grigia e sul ruolo dei testimoni, un decadimento di quella speranza nonostante tutto che era presente invece nel primo libro. La mia è una voce minoritaria rispetto alla maggior parte dei critici di oggi che convengono che tutto stia nel testamento spirituale dell’ultimo libro. Io invece vedo una frattura tra la prima e la seconda fase e per questo consiglio ai miei studenti di partire dall’inizio, da Se questo è un uomo. Non è un libro da affidare a un diciottenne a cuor leggero, I sommersi e i salvati, è un libro di profondo pessimismo di uno scrittore disincantato che non aveva più le speranze e gli ideali del periodo dell’esordio. Belpoliti, Domenico Scarpa e Martina Mengoni la pensano in modo diverso. Ma io sono assolutamente convinto che il suo capolavoro sia Se questo è un uomo e la traccia che ne deriva, perché Levi ha continuato a riscriverlo. È molto interessante vedere le tracce che quel libro ha lasciato in racconti, novelle, articoli successivi e come Levi per tutta la sua vita abbia dedicato larga parte della sua energia di scrittore commentando se stesso, approfondendo, indagando su aspetti e episodi che non aveva chiarito, e come dunque vada considerato in fondo autore di un unico libro. Nulla toglie alla grandezza degli altri scritti, per esempio Il sistema periodico è un grande libro, ma non tutti i racconti di fantascienza sono ugualmente alti e si rischia di passare da un eccesso all’altro. Insomma, non credo che tutti i racconti delle Storie naturali siano capolavori: si tratta di grandi opere che però non stanno allo stesso livello di classicità e grandezza del primo libro e anche del secondo, La tregua. Questa è tuttavia un’opinione del tutto personale, molto discussa e molto controversa. Oggi una delle questioni aperte più dibattute è proprio se prevalga la continuità oppure, come spesso capita agli scrittori attivi per mezzo secolo, vi siano oscillazioni, fratture, segmenti che conducono in direzioni diverse.

Giorgio Berruto
collaboratore
Cresciuto in mezzo agli olivi nell’entroterra ligure, dopo gli studi in filosofia e editoria a Pavia vive, lavora e insegna a Torino. Ama libri (ma solo quelli belli), musei, montagne

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