Un incontro tra generazioni, culture e punti di vista diversi. Un viaggio sentimentale raccontato dal regista di “Yossi & Jagger”
La storia tra Michael e Tomer, i due protagonisti di Sublet, è qualcosa di più di un incontro fugace ma anche della solita storia d’amore. Il film in programma lunedì alla Cineteca Meet di Milano non è infatti un classico film sentimentale. Certo, ci si commuove e si sorride, ma diversi elementi gli fanno prendere le distanze dalla commedia romantica più convenzionale. E non solo perché si basa sull’incontro tra due uomini, appartenenti tra l’altro a due generazioni diverse.
Intanto va detto che esiste un terzo elemento protagonista, fondamentale, rappresentato da Tel Aviv. Qui atterra Michael, interpretato da un soffertissimo John Benjamin Hickey, acclamato attore statunitense di teatro, cinema e tv che qui veste i panni di un editorialista del New York Times specializzato in viaggi. Il giornalista deve scrivere una guida alternativa alla città israeliana, ma i presupposti non sono esaltanti. In piena crisi esistenziale, è un uomo di mezza età, ancora affascinante ma affaticato dalla vita, che pare osservare il mondo da dietro a un vetro, oltre il quale non intende spingersi. Volendo tener fede ai principi della sua rubrica, anziché prendere alloggio in uno dei grandi hotel del centro città, affitta la casa di Tomer, interpretato dall’esordiente e adorabile attore israeliano Niv Nissim, che vive in un quartiere popolare.
Come si può immaginare, il rapporto tra i due non si risolve con la consegna delle chiavi di casa, ma si sviluppa in una relazione leggera e profonda insieme. Gli elementi in gioco sono tanti, alcuni solo sfiorati, altri ribaditi dalla macchina da presa, che si sofferma insieme agli occhi di Michael sull’intonaco scrostato delle facciate delle case come sullo splendore del mare o la dolcezza dei bambini che giocano per strada. A poco a poco, il dramma, anzi i drammi antichi e recenti che hanno segnato la vita dell’uomo vengono a galla. Perché questo avvenga, e perché il pubblico non sprofondi nella stessa cupa malinconia del protagonista, il regista e sceneggiatore Eytan Fox, già autore tra gli altri di Yossi & Jagger, storia d’amore tra due soldati dell’esercito israeliano, e del sequel Yossi, sulla crisi di mezza età di uno dei due, inserisce l’elemento apparentemente agli antipodi di Tomer. Aspirante regista di improbabili film horror-erotici, il giovane cede la sua casa per bisogno di soldi, ma finisce poi con l’accettare la proposta del suo affittuario di dormire sul suo stesso divano. In cambio, gli farà da guida alla scoperta della vera Tel Aviv, anche perché ha bocciato senza mezzi termini il piano di visita dell’ospite, definito più adatto a «una principessa ebrea in un tour per diritto di nascita».
Tra una spremuta on the road e un pranzo a base di hummus e insalata israeliana, i due iniziano a conoscersi, confrontando più che scontrando le diverse vedute sul mondo e sulla vita. Idealista e disilluso al tempo stesso, Michael manca da Tel Aviv dall’unico viaggio fatto in Israele da ragazzino e resta colpito dall’effervescenza della città e dei suoi abitanti, dallo stesso Tomer, vorace di vita e di incontri, alla sua migliore amica, ballerina reduce da una storia complicata con un ragazzo arabo e desiderosa di andare in Germania, a Berlino, che per lei, semplicemente, è «la città più cool del momento».
Colpito dal punto di vista di Tomer sulla vita in Israele («Siamo in Medio Oriente, ma volevamo essere trattati come se fossimo in Occidente»), si confronta con lui anche sulle questioni di cuore, aprendosi a poco a poco e rivelando le proprie ferite. Tra queste, la morte per Aids del suo primo fidanzato, al quale Michael aveva dedicato il proprio bestseller ambientato nella New York di fine anni Ottanta. Ma anche il giovane è più complesso di quanto appaia. E se da una parte sostiene risoluto di non volere fidanzamenti né legami stabili perché la vita va assaporata per tutto quello che può offrire ed è sconvolto della monogamia (perlopiù casta) del maturo amico, dall’altra si lascia andare all’esaltazione romantica del bacio davanti allo sguardo sornione di Michael.
Favoriti dall’energia che pervade la città, fotografata in una luce chiarissima che la avvolge e quasi trasfigura, i due uomini scoprono di poter comunicare nonostante le evidenti distanze culturali e caratteriali, oltre che geografiche e anagrafiche. Quello che colpisce è che la disponibilità del giovane israeliano si allarga a tutto campo, quindi non solo verso gli amanti reclutati online, ma anche all’ascolto di quest’uomo che lui riconosce come più grande, ma non per questo fuori portata. Tenerissima la scena in cui i due fanno visita alla straordinaria madre di Tomer presso il kibbutz dove il ragazzo è nato e cresciuto. Calda e generosa come il figlio, e incapace come lui di moderare parole ed entusiasmi, la donna darà modo a Michael di confidare la propria ferita più recente, facendo un passo in più verso l’intimità con Tomer.
La conclusione del viaggio, così come quella del film, metterà dunque i sentimenti, e se vogliamo anche la morale, al primo posto, pur senza cedere a sentimentalismi o a moralismi. Lasciando un retrogusto agrodolce che è insieme nostalgia per i due personaggi come per la città che ne ha segnato e accompagnato le vicende. Continua la rassegna Nuovo cinema ebraico e israeliano.
Atlanta Jewish Film Festival 2021 – Premio della Giuria come migliore regia. Philadelphia Jewish Film Festival 2020 – Premio del Pubblico come migliore film narrativo.
Eytan Fox, Sublet, martedì 22 re 18.40 alla Cineteca di Milano
Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.