Cultura
Testimoni di testimoni, quando l’arte fa memoria. Un libro di Salvatore Trapani

“Di fronte alla Shoah. Arte fra testimonianza ed empatia” è il titolo del volume su arte e memoria. Per insistere su un tema importante: la possibilità di testimoniare le testimonianze

Ci sono diversi modi di essere testimoni della Shoah. Almeno in ambito artistico, dove accanto alle opere realizzate nei campi di concentramento, ci sono quelle del periodo postbellico create dai sopravvissuti e quelle, in epoca ancora più recente, di chi ha sentito l’urgenza di raccontare la Shoah, pur non avendola vissuta. Sono questi gli artisti dell’empatia di cui parla Salvatore Trapani nel suo libro Di fronte alla Shoah. Arte fra testimonianza ed empatia, pubblicato da corsiero editore. Un volume interessante perché mette a confronto le diverse possibili testimonianze, creando una nuova visione, più ampia, della memoria della Shoah: dalle Avanguardie artistiche del Novecento, passate attraverso l’Olocausto, si arriva all’arte contemporanea in un discorso unitario tra il prima e il dopo Auschwitz.

Naturalmente le parole del filosofo Theodor Adorno a proposito dell’impossibilità di fare poesia dopo Auschwitz, sono sempre sotto gli occhi dell’autore che le analizza per giungere al presente: «In gioco è la memoria stessa, che ha bisogno di nuova linfa in continuità con la fine del percorso di vita dei sopravvissuti», scrive Trapani, «Lo scopo è continuare liberamente a interrogarsi su quel fenomeno che è più pericoloso perché è così vicino alla cultura da poterla irretire. Se il nazismo fosse stata barbarie, ci saremmo liberati molto prima dell’incomodo senza dover continuare a tenere gli occhi aperti, per il rischio costante di un drammatico ripetersi di certi fenomeni». E se Auschwitz rappresenta il punto culminante di una storia fatta di persecuzioni, va considerato nella sua concretezza di luogo reale nato dall’ingegno funzionale al nazismo.

La proposta di Trapani è proprio quella di superare l’ineffabile, per dare contenuto storico a un simbolo tremendo come Auschwitz. Allora quell’esperienza si potrà ricondurre al presente. Come fanno gli artisti empatici, considerati da un punto di vista inedito rispetto a quando vennero bollati con questo aggettivo, inizialmente in tono canzonatorio perché accusati di far propri i sentimenti dei testimoni in una forzatura manierista. Per Trapani, «negli artisti empatici deve essere ricercata la sorgente utile alla memoria, perché grazie a loro, dopo i testimoni, la memoria potrà vantare il miracolo di una generazione in più». Se il nazismo è il prodotto storico dell’Europa, nato e cresciuto in una tradizione culturale ben radicata, dove l’odio per l’ebreo è così debordante da creare nuovi linguaggi espressivi ariani che avrebbero dovuto riempire il vuoto che si sarebbe creato al compimento della soluzione finale, la storia e le storie raccontano anche altre possibilità. Come quella di Cornelius Gurlitt, venuta alla luce in un’indagine della polizia del 2013 a Monaco di Baviera, che ha scoperto un tesoro inestimabile di opere d’arte custodito nella casa dell’ormai anziano signore (mancherà soltanto l’anno dopo). Arte degenerata al suo massimo livello: Chagall, Picasso, Matisse, Nolde, Marc, Klee, Kokoschka, Kirchner e Liebermann. Cornelius aveva semplicemente custodito la memoria di suo padre, Hildebrand, mercante d’arte e critico che Hitler in persona incaricò di acquistare opere d’arte “diffamanti” per essere distrutte. Ma Hildebrand si oppose e acquistò con soldi propri le opere da mettere al riparo della distruzione. La costruzione dell’oblio sognata e progettata dal nazismo che avrebbe poi fondato il mondo nuovo da zero, si inceppa. Come, fortunatamente, in molti altri casi.

Oblio, assenza, vuoto. Morte. Auschwitz. Sono questi i termini con cui fa i conti la memoria della Shoah. Con cui fa i conti chiunque senta il bisogno di ricordare, di salvare la memoria da quella damnatio memoriae molto ben spiegata da Trapani come forma ulteriore dell’odio. «Vuoto e assenza valgono come epifanie stesse della Shoah, facendo del vuoto causato dallo sterminio, cemento armato», dice Trapani. Nasce da queste considerazioni la mostra da lui curata con Margherita Fontanesi dal titolo In Absentia, collettiva di artisti contemporanei che ha segnato un nuovo modo di ricordare tutti coloro che non ci sono più, contrastare la condanna della memoria e anche quella convenzione al silenzio che forse in Italia più che in tutti gli altri Stati ha caratterizzato il dopo guerra. Dare la parola all’arte contemporanea significa perpetrare la memoria. Significa parlare la lingua del presente ed escludere l’ipotesi dell’oblio. Santiago Ydáñez così in un’opera senza titolo del 2006, incasella cinque uccellini morti in una scatola a comparti diversi. Terribile. Universale. L’opera era stata esposta anche in ricordo di Primo Levi che definì i bambini giunti ad Auschwitz ignari di attendere il loro turno nelle camere a gas come uccelli di passo.

«Sarà meglio cominciare ad accettare come arte della memoria anche quella degli empatici, di una memoria non diretta, e non per questo da deprezzare. Anzi, il suo merito è quello di essere frutto di comprensione da parte artistica di un tema nodoso e difficile», spiga Trapani, che poi sottolinea l’importanza di una lettura del passato e la sua interpretazione con gli strumenti della conoscenza storica dei fatti. Conoscere il passato serve a capire il presente, naturalmente, e l’arte si pone «tra certezze e premonizioni», continua Trapani, «Poiché non si basa che su originali filosoficamente ed empiricamente ricostruiti e messi in corsa su strade non brevettate, sotto gli occhi di tutti. Gli empatici sono coloro che non vogliono dimenticare l’esperienza vissuta da altri individui come loro, ma in un’epoca precedente. Auschwitz è un comune evento storico tragico, che s’impone come autocoscienza per la contemporaneità, in un processo di umana umiltà».

Salvatore Trapani, Di Fronte alla Shoah. Arte fra testimonianza ed empatia, corsiero editore, pp. 144, 18,50 euro

Micol De Pas

È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.


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