Cultura
“Una stella tranquilla”: Pietro Scarnera e il suo ritratto sentimentale di Primo Levi

“C’era qualcosa di familiare in Primo Levi: mi ricordava i racconti di guerra di mio nonno, che non era uno scrittore, ma in quel caso diventava un narratore”. Da qui parte il lavoro del fumettista italiano, che lo racconta in questa intervista

Quando Primo Levi scriveva «meditate che questo è stato», non si riferiva certo a forme passive di commemorazioni, ma spronava il lettore ad assumere una posizione responsabile, a farsi promotore di una rielaborazione critica in grado di evidenziare le condizioni e le contraddizioni che resero possibile quello che è passato sotto il termine Olocausto, Shoah o genocidio ebraico. Infatti, per quanto lo scrittore torinese abbia attribuito buona parte delle colpe di quello che accadeva nei campi alle SS, ha sempre sostenuto che sarebbe stato erroneo focalizzarsi solo su di esse. La sua formulazione della zona grigia voleva essere proprio l’analisi di come tanti prigionieri si lasciarono corrompere da forme residuali di potere. Sicuramente Primo Levi non metteva, né aveva intenzione di mettere sullo stesso piano vittime e carnefici, ma evidenziava l’esistenza di un confine, uno spazio in cui ciò che era umano si preoccupava solo di come restare in vita, a discapito di tutto il resto. Forse la radice della “vergogna dei sopravvissuti” risiede in queste poche considerazioni, e sembrerebbe che essa si sia stanziata nelle loro coscienze. Il campo li aveva plasmati con il suo sistema di priorità e gerarchie, ma una volta tornati nella loro dimensione “normale” il lager è diventato solo un luogo di sconfitta, perché lì è morto il “concetto della persona” e si è verificata la sua radicale umiliazione.

Ne consegue una difficoltà legata ai differenti tentativi di raccontare quell’orrore, soprattutto da quando la narrazione di quell’evento tragico ha assunto connotazioni così stereotipate da non lasciare spazio ad altre forme di racconto. Si finisce, ancora oggi, col sentire l’esigenza di avere anche un po’ di silenzio, di riuscire a riascoltare, come se fosse la prima volta, quello che i testimoni ci hanno lasciato. È chiaro che il lascito della scrittura di Primo Levi si presenti estremamente complesso, ma fondamentale per qualsiasi tipo di studio sulla memoria, in particolare nel contesto italiano. Il suo contributo si dimostra ancora più incisivo nel momento in cui la cultura memoriale vi attinge per farlo sconfinare in altre forme rappresentative, permettendo al lettore/spettatore di tracciare un percorso “alternativo” intorno a Levi scrittore, uomo, artista e testimone.

Nel 2022 l’artista Pietro Scarnera ripubblica per Coconino la graphic novel dal titolo Una stella tranquilla. Ritratto sentimentale di Primo Levi, con l’introduzione di Marco Belpoliti, Primo Levi. Uno e bino, pubblicata per la prima volta nel 2013 per Comma 22. In entrambe le versioni, alla fine dell’opera sarà lo stesso autore a rivelarci di aver riscoperto, solo a un certo punto della sua vita, Primo Levi. «Come tutti anch’io ho letto Se questo è un uomo a scuola. Mi era piaciuto naturalmente, ma come tante altre letture scolastiche era rimasto lì, isolato, non aveva generato particolari conseguenze in me. Forse ero troppo piccolo per capirne l’importanza, forse era troppo presto». Molti anni dopo, Scarnera ritornerà sullo stesso libro, questa volta approfondendo la sua conoscenza dell’opera leviana e non solo, aggiungendo dapprima la lettura de La tregua, poi quella di altri libri e tante interviste. Egli sente che Primo Levi gli è estremamente familiare, sia perché sono tutti e due torinesi, sia perché i suoi libri tanto gli ricordano anche i racconti di suo nonno. Ne abbiamo parlato insieme.

Come ti sei avvicinato alla figura di Primo Levi, e qual è il significato del sottotitolo “ritratto sentimentale”?
Ho incontrato Primo Levi due volte. Da ragazzino, alle scuole medie, quando ho letto per la prima volta Se questo è un uomo. Non ricordo molto di quella lettura, solo che genericamente mi era piaciuto, ma probabilmente ero troppo piccolo per comprendere davvero quell’opera. Poi, più da grande, dopo aver letto Maus di Art Spiegelman, mi era venuta voglia di approfondire l’argomento e naturalmente ho ripreso in mano la mia copia di Se questo è un uomo. Quell’edizione aveva in appendice anche La tregua, il secondo libro di Levi, e da lì è partita un’infatuazione: ho letto tutto quello che Levi aveva scritto, comprese le poesie, le interviste, gli articoli de L’altrui mestiere. In breve ho scoperto uno scrittore molto più ricco e complesso di quello che avevo conosciuto a scuola. Però c’era anche qualcosa di familiare nel modo di raccontare di Primo Levi. Dopo un po’ mi sono reso conto che mi ricordava i racconti di guerra di mio nonno, che fu deportato in un campo di lavoro in Germania come soldato italiano. Mio nonno non era uno scrittore, ma quando parlava di quelle sue esperienze diventava un narratore. Credo che qualcosa di simile sia successo anche a Primo Levi, che al ritorno dal lager si trovò dotato di “uno strano potere di parola”. Avevano anche qualcos’altro in comune: entrambi temevano di non essere creduti, soprattutto dai giovani. Una delle cose che ho tentato di fare in questo fumetto è di rispondere a questa paura: Una stella tranquilla ruota tutto attorno al confronto tra due generazioni, quella di Levi, dei “nonni”, e la mia, quella degli ideali “nipoti”. Il termine “ritratto sentimentale” si riferisce a questo particolare approccio, che non è quello di uno studioso ma nasce da una vicinanza affettiva.

Non va dimenticato che Una stella tranquilla, prima di essere il titolo del fumetto, è un racconto di Primo Levi che apre la sezione Futuro anteriore del suo libro narrativo Lilít, pubblicato nel 1981, un racconto molto particolare che inizia con la descrizione di un universo molto lontano e di una stella. Da quel racconto Scarnera ha tratto l’ispirazione per dare al suo Primo Levi un’apparente tranquillità, posatezza e saggezza, ma anche per esprimere la sua inquietudine e la sua complessità di uomo e di scrittore.

Nella tua opera così delicata, in che modo sei riuscito a conciliare il dramma di una vita con la “leggerezza” dell’espressione artistica?
Per preparare il mio fumetto ho letto tante biografie di Primo Levi, ma non ritrovavo mai lo scrittore che avevo amato. Mi sono reso conto che il Levi narratore, lo scrittore, il personaggio pubblico, non è immediatamente sovrapponibile al Levi uomo. Lo dice lui stesso in alcune interviste: nei suoi libri si era sempre dipinto come un uomo equilibrato, ma la realtà era diversa. A me non interessava per niente scavare nella vita privata di Levi, volevo invece basarmi solo su quello che aveva scritto o detto nelle interviste, cioè su quello che lui ha lasciato alla mia generazione e alle prossime. In questo modo penso di essere riuscito a preservare, anche nel mio fumetto, la voce ironica, curiosa, profonda che si trova nei libri di Levi. Anche il disegno si adegua a questo tono: ho tentato di essere semplice ma preciso, e di seguire la linea della chiarezza che contraddistingue la poetica di Levi.

Tutti i testi del libro, che accompagnano le delicate immagini di Scarnere, provengono direttamente dai libri e dalle interviste di Levi, e anche per quanto riguarda i disegni c’è stato un approfondito lavoro di documentazione. Infatti, nelle pagine della graphic novel ritroviamo quasi tutte le copertine dei libri, le foto, i disegni fatti da Levi e naturalmente i luoghi della sua vita, e, infine, anche le sculture che Levi creava intrecciando il filo di rame. Scarnera si pone poi, così come aveva fatto lo stesso Levi, il problema di rappresentare i sommersi, anche in questo caso l’approccio e la soluzione sembrano essere il più possibile aderenti alla sensibilità dello scrittore attorno a cui costruisce il suo racconto. Inizialmente l’artista si dice convinto di non voler toccare i sommersi, i milioni di morti dei lager nazisti, poi però scopre i disegni di Zoran Music, un pittore deportato come prigioniero politico a Dachau. Il pittore dentro il campo utilizza la sua arte per sopravvivere, per raccontare l’orrore. Allo stesso modo Levi, nel lager, inizia ad avere un assoluto bisogno di raccontare. Molti anni dopo Music realizzerà una serie, in cui raffigura i cadaveri di Dachau, intitolata Non siamo gli ultimi, e Levi torna a scrivere di Auschwitz nel suo ultimo libro I sommersi e i salvati. Così, seguendo queste due strade distinte ma parallele, Scarnera affronta la rappresentazione della morte nei campi di concentramento, ripensando ai disegni di Music quanto più prossimi alle immagini che Levi doveva conservare nella sua memoria. Quasi alla fine del racconto Scarnera disegna anche la Mole Antonelliana, simbolo di Torino (in origine sinagoga ebraica) e motivando la scelta del titolo, scrive le seguenti parole: «Forse la definizione migliore è il titolo di un suo racconto… “una stella tranquilla”. Da lontano sembrava calmo ed equilibrato. Ma si sa che, dentro, le stelle ribollono…e quando si spengono lo fanno in maniera fragorosa».

Qual è stato lo spunto per questa definizione?
Il titolo è arrivato verso la fine della lavorazione ed era sempre frutto del ragionamento a cui accennavo sopra: la distanza tra il Levi scrittore e il Levi uomo. Mi era parso che l’immagine della stella, apparentemente tranquilla, potesse rendere bene questa doppia natura: da una parte il Levi pubblico, dall’altra quello privato; da una parte lo scrittore letto in tutto il mondo, dall’altra l’intimità di una persona molto molto riservata. Forse solo nelle rare poesie di Levi queste due figure si incontrano.

Infine è interessante sottolineare l’uso che Scarnera fa di una foto che ritrae lo scrittore con una delle opere realizzate con il filo di rame, raffiguranti animali. In particolare si rivela significativo lo scatto che l’autore utilizza per la copertina del libro: una maschera animale, una testa di gufo fatta da Levi, che nell’opera acquista un valore anche simbolico. Il gufo è l’animale con cui Levi quasi per scherzo si identificava, e Scarnera utilizza quello scatto, trasformato da lui stesso in disegno per spiegare il confine tra il Levi pubblico e quello privato. Primo Levi è uno scrittore complesso, non solo perché è un reduce di Auschwitz, ma anche perché è problematica la sua personalità di uomo e di autore.

Dalla prima pubblicazione del 2013 alla seconda del 2022 che cosa è cambiato nella tua percezione della figura di Levi?
Forse non sono molto oggettivo, perché da quando ho pubblicato Una stella tranquilla mi capita di frequentare spesso studiosi e appassionati di Levi. Mi pare però che dall’anno del centenario, dal 2019, ci sia più serenità nel modo in cui affronta la sua opera; c’è spazio per approfondire anche i suoi libri meno noti, che poi sono quelli su cui anche io mi sono concentrato in Una stella tranquilla. Qualche mese fa ero ospite al Meis di Ferrara, alla Festa del libro ebraico. È stato bello ascoltare i curatori della nuova edizione di Storie naturali, Domenico Scarpa e Martina Mengoni: parlavano di quante cose ancora si scoprono e rimangono da scoprire nell’opera leviana, in particolari nei suoi racconti di cosiddetta “fantascienza”. Ecco, mi sembra che finalmente sia arrivato il momento in cui possiamo occuparci anche del Levi scrittore, senza per questo dimenticare il Levi testimone. Anzi così facendo scopriamo quanto siano intrecciate queste due anime.

Pietro Scarnera, Una stella tranquilla. Ritratto Sentimentale di Primo Levi, Coconino, pp. 256, 22 €

Eirene Campagna
collaboratrice

Classe 1991, è PhD Candidate dello IULM di Milano in Visual and Media Studies, cultrice della materia in Sistema e Cultura dei Musei. Studiosa della Shoah e delle sue forme di rappresentazione, in particolare legate alla museologia, è socia dell’Associazione Italiana Studi Giudaici.


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