Cultura
Arcipelago dell’ignoranza, oceano della negazione

Teorie senza fondamento, assurdi e offensivi paragoni con le persecuzioni subite dagli ebrei: che cosa si cela dietro la galassia di no vax e complottisti

Usano la stella gialla, alternativamente fissata sul petto oppure esibita su qualche cartello, come segno di immediata distinzione. Il rimando alle persecuzioni contro gli ebrei, praticate dal regime nazista e da quelli fascisti in Europa, è evidente.  Ma non si tratta di un deferente ricordo bensì di un’appropriazione. Totalmente indebita. Così come abrasivo, se non intollerabile, è il continuo rifarsi, in maniera completamente strumentale, al passato delle dittature per ribadire che quanto avvenne nel secolo trascorso si starebbe ripetendo oggi. Ai danni, tuttavia, non di una minoranza nazionale bensì di un gruppo sociale “perseguitato” in virtù della sua rivendicazione di libertà. Una libertà intesa come astensione dalle norme che valgono invece per tutta la collettività. Hanno fallito, com’era prevedibile, l’obiettivo di mobilitare le piazze ma sono parte integrante di quell’universo dell’hate speech, dell’odio online, dello stalking politico e civile che usa le immagini della distruzione dell’ebraismo europeo per accreditarsi come grandi vittime del presente nel momento in cui, invece, si comportano come piccoli carnefici della collettività.
Non è di certo una novità, quest’ultima, laddove i ripugnanti accostamenti servono per usare un inesistente credito (associarsi parassitariamente alle vere vittime) per confondere le coscienze, strumentalizzare i significati, manipolare la comunicazione. Si tratta di una minoranza, ma che ha fatto dell’intolleranza un totem di auto-legittimazione.
Cerchiamo di capire quale sia lo spessore, l’ordito e la trama di un fenomeno, il rifiuto della vaccinazione, che da espressione di nicchia si sta trasformando in una sorta di ricettacolo politico dei peggiori malumori. Per capirci da subito, non basta liquidarlo come manifestazione di ignoranza.
Al pari del complottismo (“gli assetti del mondo sono in prodotto di una cospirazione costantemente tramata da poteri occulti”), anche l’antiscientismo si nutre di tutti i temi che in età moderna e contemporanea hanno ispirato non solo le molte superstizioni dei singoli ma soprattutto le false credenze dei tanti. Come tale, in quanto strumento di mobilitazione delle coscienze fragili, presenta diversi punti di contatto con quell’universo sempreverde di deteriori mitologie, a partire dallo stesso antisemitismo (presentato come la denuncia di una congiura, quella di burattinai – gli ebrei – che vorrebbero incatenare il mondo, soggiogandolo ai propri interessi), che simula la critica dei poteri scimmiottandola attraverso il richiamo al cospirazionismo. Nel caso dei vaccini, l’ossessione per una manipolazione che il sistema industriale, e gli inconfessabili interessi ad esso interconnessi, eserciterebbero sui corpi e le coscienze della collettività altrimenti indifesa, è il fuoco di una credenza che si trasforma in elemento di manovra della stessa politica. Quanto meno, di una parte di essa. Non di tutta, quindi. Ma di una significativa parte di essa.
Stiamo parlando di un microuniverso, basato non solo su credenze consolidate (quelle che inducono a ritenere che la scienza sia una deliberata falsificazione a beneficio dei cosiddetti «poteri forti») ma anche sull’idea che, al riscontro della realtà dei fatti, possa sempre contrapporsi una qualche alternativa, a partire da quella che deriva dall’egocentrismo. I deliri di QAnon, di cui già molto abbiamo detto, si inscrivono in questa paradossale ipertrofia dell’Ego. Ma da soli non bastano.
Il cosiddetto «movimento no vax», organizzatosi e manifestatosi in crescente progressione dall’inizio di quest’anno, con l’avvio e poi lo sviluppo della campagna vaccinale in Italia così come nel resto dei paesi a sviluppo avanzato, benché continui a contare su un numero relativamente contenuto di aderenti e partecipanti, ha espresso – tuttavia – una capacità estremamente significativa nell’occupare lo scenario mediatico.
Plausibile che tale condizione non muti di troppo nei tempi a venire, semmai avvalorandosi delle inevitabili difficoltà che la lotta al Covid potrebbe ancora manifestare. Soprattutto, posti gli oggettivi ostacoli con i quali ci si deve confrontare quando si ha a che fare con una pandemia. Poiché la forza di chi dice no dinanzi alla ragione sta, al pari dei negazionisti di ogni risma, nella rimozione di qualsiasi prospettiva logica, sostituita da un immediato richiamo alla propria visione delle cose del mondo, intesa come una dimensione totalizzante. Che in quanto tale non ammette repliche: quando queste dovessero intervenire, allora si dirà che si tratta di un “attentato alla libertà di parola e di espressione del pensiero”. Sì, sussiste una sorta di linea di continuità, in questa bramosia del rifiuto dei dati di fatto, tra rimando alla “libertà” di rigettare la realtà corrente e la volontà di manipolare quella trascorsa, ovvero il passato, secondo gli interessi di circostanza. Per l’appunto: l’orizzonte dei significati, nell’uno come nell’altro caso, si trasforma in una sorta di variabile dipendente da un proprio sentire istintivo, rafforzato, secondo una logica di branco arrabbiato, se non inferocito, dall’imitazione reciproca di condotte e comportamenti di gruppo. Le manifestazioni di piazza, alle quali si accompagnano, oramai quasi abitualmente, le aggressioni a singoli giornalisti, rispondono ad una tale dinamica. E rafforzano il rifiuto collettivo della realtà.
La parola libertà diventa quindi liceità di sovversione. Del buon senso, prima di tutto, ma anche, in prospettiva, dei difficili equilibri politici di società che stanno attraversando un’età sindemica, dove alla crisi sanitaria si coniuga la trasformazione economica, culturale e sociale. Quanti negano i fatti come tali non hanno, né probabilmente mai avranno, la forza di risultare decisivi nei grandi cambiamenti collettivi. Ma la violenza censoria, quella che deriva dal riuscire ad inibire certuni, a tacitare altri e, soprattutto, a confondere non pochi altri ancora, invece possono ottenerla. Ed usarla come un manganello. Poiché gli deriva non tanto dall’inverosimiglianza logica delle loro posizioni quanto dalla manipolazione delle paure collettive, riflesse dalle difficoltà nelle quali una parte della popolazione si trova: difficoltà non di ordine strettamente sanitario bensì sociale. In altre parole: ci si sente più poveri ed indifesi e si cerca una qualche ragione alla quale imputare un tale stato di cose.
L’intero universo paranoide che raccoglie antisemiti, “qanonisti” e persone che rifiutano la scienza come tale, interviene in questo campo, raccogliendo e quindi esprimendo una parte del disagio che rimane altrimenti relegato a sé, quindi inespresso. I complottisti lo traducono secondo un lessico del furore che cerca capri espiatori, che trasforma il senso di marginalità e di espropriazione in aperta, accesa, implacabile rivendicazione di rivalsa. Soprattutto, costoro danno una parvenza di accettabilità alla superstizione. Avveniva nelle epoche trascorse, si ripete in quella presente. Non è quindi solo un fenomeno marginale, residuale, scoria del tempo che fu: semmai costituisce la fotografia di un’ombra della modernità che non è mai tramontata, accompagnandosi ai rivolgimenti che periodicamente attraversano le nostre società. A sua volta, antivaccinismo, in quanto integralismo ideologico che dice di richiamarsi ad una «natura» umana che sarebbe stata alterata dalle mistificazioni industriali, dal gioco dei profitti e dal bieco calcolo di interessi, è innervato dentro una visione fondamentalista della società, quella che si esprime in un anticapitalismo straccione e regressivo, lacero pupazzo straparlante di ciò che resta della critica sociale.
L’antiscientismo scimmiotta quindi – ancora una volta – la polemica contro i «poteri» e, con essi, contro l’autorevolezza della conoscenza (che è invece condizione indispensabile per garantire alla società una qualche forma di coesione). Si tratta di un fenomeno europeo come anche mondiale: è presente nelle società a sviluppo avanzato, dove la sanità e la salute pubblica hanno conosciuto uno sviluppo senza eguali ma è diffuso, sia pure con forme e modalità differenti, anche in altre situazioni, dove la mancanza di protezione sanitaria, viene contrabbandata per liberazione dal rischio che da essa invece potrebbe derivare, lasciando quindi le persone indifese dinanzi all’aggressione pandemica
La chiave di volta di questo circuito della mistificazione è il rimando alla cosiddetta «dittatura sanitaria». Un’espressione che, nella sua banale falsità, esemplifica appieno le costruzioni ideologiche di una parte di coloro che rifiutano le misure di sanità pubblica: qualsiasi indirizzo di politica sanitaria comunemente condiviso, sarebbe la manifestazione di un’imposizione dettata da istituzioni delegittimate, contro le quali la consapevolezza iniziatica degli oppositori intende scagliarsi, per “risvegliare” una popolazione altrimenti assopita se non narcotizzata. Si tratta quindi di lottare contro la l’Imposizione politica di strategie collettive di profilassi, dietro le quali si celerebbe una trama complessa, quella che vuole assoggettare i popoli alla bramosie della caste di potere, svuotandoli delle loro ricchezze naturali, a partire da un sapere elementare e diffuso invece dirottato verso il grande capitale finanziario, che sa trarre da esso, ovvero dalla sua privatizzazione, un immane profitto.
Risulta evidente la vicinanza, la prossimità nonché la congruenza di una tale impostazione con i teoremi che da tempo inquinano il dibattito pubblico, dalla dittatura dell’«eurocrazia», che espropria i popoli delle loro libertà, alla teoria della sostituzione (l’«invasione» degli immigrati per sostituirsi alle comunità nazionali autoctone), passando per tutto il repertorio del cospirazionismo più tradizionale. Il fenomeno sovranista e antiglobalista, ossia quell’insieme piuttosto eterogeneo di forze che recupera il nazionalismo in chiave etnopopulista, se ne avvantaggia quanto meno indirettamente, trattandosi di temi nei confronti dei quali una parte dei suoi sostenitori risulta essere particolarmente sensibile. Del suo, la retorica del rifiuto della profilassi collettiva offre un impianto interpretativo fondato sull’esasperazione del vittimismo individualista: i continui, martellanti, irritanti, offensivi rimandi alla sofferenza degli ebrei sotto il nazifascismo non esprimono in alcun modo un’immedesimazione consapevole con gli strazi del passato ma – piuttosto – il desiderio di appropriarsi del dolore altrui. In altre parole, i “veri ebrei” sarebbero coloro che si vedono sbarrare il passo poiché non si sono voluti vaccinare e non intendono procurarsi un documento amministrativo qual è il green pass.
Di tutto ciò, a volere misurare la temperature delle piccole falangi che hanno animato fino ad oggi le piazze dove si sono tenute iniziative contro la profilassi pubblica, ha goduto, come beneficio di ricavo, soprattutto una destra radicale che, a partire da Forza Nuova, organizzazione rigorosamente neofascista, si muove da sempre in chiave di mobilitazione anti-istituzionale. Vecchi e nuovi volti di quell’arcipelago, sono stati visti ripetutamente tra gli organizzatori dei diversi meeting, più o meno riusciti. Si tratta di interpreti all’eterna ricerca di un copione politico, pronti a cavalcare qualsiasi disagio per indirizzarlo verso i propri lidi. Nell’età della morte della politica partecipata, nell’epoca in cui tutto si riduce a governance e ad amministrazione, il movimento che rifiuta la profilassi contro il Covid, nei suoi disordinati filamenti, diventa cornice di un lucido delirio, che va al di là delle ragioni, non importa quanto occasionali, che l’hanno generato. È come il passaggio intermedio in un lungo percorso. Quello del declino della ragione collettiva in quanto tale.

 

Claudio Vercelli
collaboratore

Torinese del 1964, è uno storico contemporaneista di relazioni internazionali, saggista e giornalista. Specializzato nello studio della Shoah e del negazionismo (suo il libro Il negazionismo. Storia di una menzogna), è esperto di storia dello stato di Israele e del conflitto arabo-israeliano.


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