Cultura
Costruire una nuova casa, o sul matrimonio ebraico

Una mostra a New York racconta riti e contratti di nozze nel mondo, tra antichi e preziosi documenti e usanze abbandonate per arrivare al presente

Continuità e cambiamento. Due dei principi guida del movimento conservatore sono utili anche a comprendere il senso della mostra curata dalla sua istituzione di punta, il Jewish Theological Seminary . Riaperta a maggio scorso dopo anni di chiusura per restauro, per festeggiare il suo nuovo corso la biblioteca dell’ente newyorkese ha inaugurato una esposizione intitolata To Build a New Home – Celebrating the Jewish Wedding .
Volutamente ambiguo, il titolo si riferisce sia alla nuova casa di chi convola a nozze sia a quella della istituzione stessa, uscita da un importante lavoro di ristrutturazione. Con una delle più grandi collezioni al mondo di rari manufatti e testi giudaici che comprende 11mila manoscritti e 25mila libri stampati oltre a migliaia di altri materiali preziosi, la biblioteca del JTS è oggi dotata anche di nuovi spazi climatizzati e attrezzati specificamente per le esposizioni, adatti a ospitare documenti fragili e sensibili a luce, sbalzi di calore e umidità.

Come ha spiegato a Jewish Standard  David Kraemer, professore di Talmud presso il JTS e direttore della sua biblioteca, la mostra documenta «la continuità tra i matrimoni ebraici in luoghi diversi nel corso dei secoli e, allo stesso tempo, il modo in cui le pratiche nuziali ebraiche sono cambiate in modi sorprendenti nel corso di quei secoli». Legata al tema nuziale sia in forma esplicita sia in modo solo evocativo, l’esposizione «riguarda anche la diversità delle pratiche ebraiche nelle diverse comunità e i modi in cui gli ebrei hanno adattato elementi delle culture dei loro vicini». L’evoluzione delle pratiche nuziali lungo il tempo e nei luoghi più diversi è affrontata principalmente attraverso i contratti di matrimonio e altri frammenti di documenti, ma non mancano anche opere d’arte a tema nuziale o altri oggetti e testi con riferimenti più sfumati all’argomento.

Dalla contrapposizione tra antiche illustrazioni si scoprono dettagli curiosi su come si sia evoluta la pratica matrimoniale e su quanto questa sia filtrata anche al di fuori delle comunità ebraiche. Il professor Kraemer porta come esempio la chuppah, il baldacchino portatile universalmente identificato con il matrimonio ebraico. Secondo gli studiosi questa sorta di scenografia sarebbe entrata nella cultura ebraica nel XV secolo affermandosi poi presso gli ashkenaziti nel XVI secolo. Oggi si è talmente diffusa presso la cultura americana che anche molti non ebrei la scelgono per celebrare le proprie nozze. Secondo quanto raccontato da Kraemer al New York Jewish Week , l’uso del baldacchino avrebbe avuto in realtà già origini cristiane. Usato per le cerimonie di insediamento dei vescovi, sarebbe passato solo in un secondo tempo all’ebraismo, che non lo avrebbe comunque adottato universalmente. La mostra espone documenti antichi in cui si vedono nozze ebraiche celebrate senza questo elemento, con gli sposi semplicemente seduti davanti agli ospiti, senza chuppah. In un’altra illustrazione, tratta da un libro stampato ad Amsterdam nel 1683, si vede invece una coppia sovrastata non da un telo ma da un tetto a cupola decorato come un cielo punteggiato di stelle.

Tornando agli elementi di permeabilità culturale, il responsabile della biblioteca newyorkese racconta di un contratto matrimoniale del 1689 proveniente da Mantova. Anche qui sono le illustrazioni a stupire l’osservatore, ma per motivi diversi rispetto agli altri documenti. La ketubah è in questo caso decorata con immagini di corpi nudi, dettaglio piuttosto sorprendente trattandosi di un documento religioso ebraico. Sono rappresentazioni di Adamo ed Eva, riprodotti in compagnia del loro creatore, raffigurato come una sorta di creatura angelica dotata di ali. Oltre alla nudità, quello che colpisce è naturalmente la rappresentazione di Dio. Si tratta probabilmente del lavoro di un artista cristiano e dimostrerebbe l’apertura della comunità ebraica dell’epoca alla cultura italiana che la circondava.
L’Italia è il paese di origine di gran parte delle ketubbot in mostra, prova di come la decorazione dei contratti matrimoniali avesse qui raggiunto il suo apice, ma non mancano anche documenti provenienti dal resto del mondo. Tra questi va segnalato un frammento di un accordo prematrimoniale proveniente dalla Ghenizah del Cairo. Risalente al XII secolo, il documento fa riferimento alle vicende di una coppia che era già stata sposata, aveva divorziato e stava nuovamente convolando a nozze. Vivendo in paesi in cui il divorzio era una pratica accettata e diffusa, gli ebrei dell’epoca avevano evidentemente fatto propri gli usi e i costumi dei loro vicini musulmani. Tra gli altri dettagli curiosi c’è il fatto che la sposa chiedesse di accogliere in casa anche la madre e che facesse promettere allo sposo di non molestare la suocera. Richieste inconsuete a parte, da questi e altri documenti matrimoniali si deduce quanto fosse alto il potere di negoziazione della donna, in grado di imporre la propria volontà all’uomo almeno fino al giorno precedente le nozze.
In un’altra ketubah in mostra, questa volta veneziana e risalente al 1749, il testo è riportato su entrambi i lati, con il contratto da una parte e le condizioni di ingaggio dall’altro. Oltre a essere l’uno sefardita e l’altro ashkenazita, come spesso accadeva nella città lagunare, i membri della coppia sono anche legati da un patto a favore della donna: in caso di disputa, si dice chiaro e tondo che saranno seguiti i costumi di lei.

Passando all’epoca moderna, la mostra espone anche l’ultima edizione dell’Assemblea Rabbinica con le note relative alle unioni tra persone dello stesso sesso, ma sono assenti i contratti di matrimonio ebraici dei sindacati LGBTQ, così come i manufatti dei movimenti riformatori e ricostruzionisti e i matrimoni interreligiosi. Interpellati sulla questione, sia Kraemer sia Sharon Liberman Mintz, curatrice della mostra, hanno dichiarato di essere aperti a diversificare la collezione in futuro con donazioni di ketubbot e di altri manufatti.

Rivolta sia agli studiosi che frequentano i corsi del Jewish Theological Seminary sia al pubblico esterno, che vi potrà accedere liberamente negli orari di apertura della biblioteca, To Build a New Home – Celebrating the Jewish Wedding sarà visitabile al 3080 di Broadway, New York, fino al 14 agosto.

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


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