Cultura
Meknes ebraica

Il 18 maggio ha riaperto ufficialmente l’antico cimitero ebraico: 400 anni di storia sono tornati alla luce. L’evento fa parte di un progetto voluto dal re Mohammed VI finalizzato a preservare l’eredità ebraica in Marocco

Fino alla prima metà del Novecento a Meknes c’erano 17 sinagoghe nell’antico Mellah e 11 in quello nuovo. Basterebbero questi dati per capire quanto rilevante fosse la comunità ebraica nella quarta città imperiale marocchina. Se a ciò si aggiunge che sempre nei primi decenni del secolo scorso la popolazione ebraica contava in tutto il Paese oltre duecentomila anime, con più di 12mila nella sola città di Meknes, il quadro può farsi più preciso. Quello che salta all’occhio è l’impressionante differenza con il presente, quando in tutto il Marocco vivono appena tremila ebrei, perlopiù concentrati nella capitale Rabat e a Casablanca, con una manciata di rappresentanti in quelle che un tempo erano le città più importanti dell’impero. Meknes è una di queste.

Posta non troppo lontana dalla turisticamente più battuta Fès, immersa in una fertile regione ai piedi del Medio Atlante che comprende ad appena 27 chilometri anche l’antico sito romano di Volubilis, la città che fino al XVIII secolo era stata la capitale del Paese è oggi considerata una meta di nicchia, per veri amanti del Maghreb. Luogo rilassato e rilassante, più facile da visitare rispetto a Marrakech e alla stessa Fès, gode oggi di una bellezza discreta che si arricchisce di un carico di significati immenso. Questo patrimonio materiale e soprattutto immateriale non ha mancato di coinvolgere e commuovere il centinaio di ebrei che il 18 maggio scorso hanno partecipato a un pellegrinaggio in questa città.

il cimitero ebraico

L’occasione è stata la riapertura ufficiale dell’antico cimitero ebraico. Circa 400 anni di storia sono stati rievocati grazie a un lavoro di ripristino durato oltre un decennio. L’evento fa parte di un più ampio progetto voluto dal re Mohammed VI finalizzato a preservare l’eredità ebraica in Marocco. L’operazione ha portato al restauro del museo ebraico di Casablanca, il primo del mondo arabo, così come di dozzine di ex scuole ebraiche e sinagoghe in tutto il Paese. Va poi ricordato che la Corona, che ha finanziato il tutto, ha anche modificato nel 2011 la stessa costituzione marocchina, aggiungendo una nota in cui si rimarca che il Paese è stato nutrito e arricchito da influenze ebraiche.

L’attività di restauro dei siti citati ha portato a un aumento del turismo ebraico, con oltre 19mila israeliani che nel 2010 sono entrati in Marocco, ben il 42% in più rispetto a quelli dell’anno precedente secondo i dati forniti dal Ministero del Turismo Israeliano. A questi vanno aggiunti i numeri offerti dalla Federazione mondiale degli ebrei marocchini, che parlano di 30mila ebrei non israeliani che ogni anno entrano nel regno. La spinta più importante sarebbe comunque giunta due anni fa, con gli Accordi di Abramo, che hanno riavvicinato a Israele alcuni paesi del mondo arabo e hanno avuto tra le conseguenze anche i primi voli commerciali diretti tra Israele e Marocco. Ed è su uno di questi aerei che sono arrivati anche i pellegrini, rappresentanti di quei circa 700mila ebrei di origine marocchina che oggi vivono in Israele e che ancora mantengono rapporti con il Paese di origine.

La riapertura del cimitero è stata l’occasione per il primo evento di questo tipo dagli anni Sessanta, con decine di fedeli che, con una candela accesa in mano, hanno camminato tra le lapidi bianche della necropoli. Per due giorni i visitatori hanno pregato davanti alle tombe dei tzadikim, i tanti maestri spirituali e rabbini che qui sono stati sepolti a partire dal 1682, data di fondazione dell’antico cimitero. Da campo di rovine a luogo che tiene viva la memoria degli ebrei marocchini, com’è stato definito da Serge Berdugo, segretario generale del Consiglio delle comunità ebraiche del Marocco, il cimitero ha riunito persone che non tornavano nel luogo in cui erano nate dai tempi dell’infanzia insieme ad altre che hanno potuto ricostruire la storia della propria famiglia a partire dal luogo di sepoltura dei loro antenati.

In questa occasione è stato anche organizzato un simposio presso il Centro Culturale Lamnouni che ha riunito studiosi, rabbini e rappresentanti delle comunità ebraiche davanti a un pubblico internazionale proveniente da Canada, Stati Uniti, Francia e Israele. Tra i temi trattati non c’è stato solo il sito rinnovato ma, allargando il campo, anche l’importanza di Meknes per la storia ebraica e di questa per quella marocchina. Tra i partecipanti, Yossef Toledano, autore di diverse opere di riferimento sull’ebraismo di Meknes, ha gettato luce sulle vicende della comunità locale attraverso tre figure chiave quali il presidente Berdugo, il rabbino Barouckh Toledano e il rabbino Yossef Messas. Yolande Cohen, professoressa di Storia Contemporanea all’Università del Quebec a Montreal, cresciuta a Meknes prima di trasferirsi a Parigi a 18 anni, si è soffermata sulla storia dei due Mellah e sui cambiamenti avvenuti all’interno della comunità ebraica della città sotto il protettorato francese. Maury Amar, autore di diversi lavori sulla giurisprudenza dei rabbinati di Meknes e Fès, ha affrontato la questione delle takkanot (leggi comunitarie) dei rabbini di Meknes, mentre Mohammed Hatimi, professore di Istruzione Superiore all’Università di Fès, ha posto l’attenzione sull’orgoglio di essere un ebreo meknassi.

Accanto al sito della necropoli è stato anche inaugurato un nuovo spazio, il Museo Mellah. Nelle sue sale, parzialmente ancora in allestimento, si possono ammirare foto e documenti relativi agli antichi insediamenti, corrispondenze personali in lingua ebraico-marocchina, contratti di matrimonio, documenti ufficiali e foto di sovrani accompagnati dalle grandi figure rabbiniche della città. Una collezione di materiali che rappresentano un invito in più per i turisti, che nel cimitero troveranno anche tombe incastonate in un muro classificato come patrimonio storico e diventato anch’esso sito culturale e turistico.

Se museo e cimitero restaurato sono la grande novità delle ultime settimane, Meknes ha comunque da sempre molto da dire al visitatore ebreo così come al turista interessato a conoscere un capitolo tanto importante della storia marocchina ed ebraica. Una storia, quest’ultima, che a Meknes era iniziata ben prima dell’avvento dell’Islam. Come si legge nel sito di ANU, il Museum of Jewish People di Tel Aviv , gli ebrei vivevano nell’area in cui sarebbe sorta la città già in epoca romana. La loro presenza è testimoniata da un’iscrizione ebraica e dai resti di una sinagoga scoperti negli scavi presso il sito archeologico dell’antica Volubilis. In uno scritto dello studioso spagnolo Abraham Ibn Ezra (1089-1167) si legge che la comunità di Meknes fu tra quelle che soffrirono per mano degli Almohadi, mentre in un’altra nota si apprende che tali persecuzioni avvennero nel 1140 e che nel 1247, durante le guerre dei Merinidi, molti ebrei persero la vita o furono costretti con la forza a convertirsi all’Islam.

Delle innumerevoli sinagoghe che punteggiavano i due quartieri ebraici della città, quella con la storia più documentata è la Toledano, dal nome dei benefattori di origini spagnole, presumibilmente giunti da Toledo insieme ai tanti altri espulsi nel 1492, che la fecero ricostruire nel 1646 dopo che un incendio l’aveva distrutta. Risalente al XIII secolo, testimonia come già in epoca medievale gli ebrei si fossero insediati nella zona della Medina che poi sarebbe diventato il Mellah. Discorso analogo vale per la Tobi, che fu costruita nel 1540, quando evidentemente tanti ebrei già vivevano nel nucleo storico della città, a stretto contatto con la popolazione musulmana.

Nei secoli successivi la comunità ebraica di Meknes si sarebbe arricchita delle lussuose abitazioni costruite da influenti personalità ebraiche, forti anche dell’appoggio del fondatore della dinastia alawide, Sharif Mulay Ismail, che concesse loro diversi appezzamenti di terreno. Tra le comunità più sviluppate e meglio organizzate del Marocco, quella di Meknes intratteneva rapporti con tutte le altre del Paese e aveva diversi suoi rappresentanti tra gli stessi consiglieri del re e dei governanti, che qui risiedevano. Sede di importanti talmudisti e rabbini così come di mercanti e imprenditori, la città avrebbe perso nel Settecento il ruolo di capitale, passato a Fès, con un conseguente ridimensionamento anche dell’importanza della sua comunità ebraica che, come si è visto, ruotava in parte intorno alla casa reale.

Alla battuta di arresto dell’Ottocento sarebbe comunque succeduta una nuova epoca di relativa gloria a partire del 1912, con l’istituzione formale del protettorato francese. Accanto a una relativa sicurezza e al riconoscimento dei diritti umani elementari, nonché a una maggiore stabilità economica, gli ebrei di Meknes godettero in questi anni anche di importanti sviluppi sul fronte dell’educazione. Il rabbino Ze’ev Halperin, uno studioso russo giunto dalla Gran Bretagna, introdusse riforme nel sistema di studio nelle yeshivot con la fondazione di scuole che porteranno alla formazione di talmudisti che officeranno come rabbini a Meknes e in altre città del Paese. Risale sempre a questi anni la creazione del Nouvelle Mellah, il nuovo quartiere ebraico edificato grazie alle concessioni governative di nuovi terreni.

Liberi ormai di risiedere ovunque volessero nella città, gli ebrei di Meknes preferirono comunque non disperdersi e, pur liberi dalle mura che chiudevano l’antico quartiere, si concentrarono nei più ampi spazi della nuova zona. Qui sorsero le 11 sinagoghe citate in apertura oltre a una grande scuola, la Em Ha-Banim, in cui studiavano tutti i bambini della comunità toccando cifre talmente alte (nel 1947 gli iscritti erano 1.200) che l’Alliance Israelite Universelle fece costruire due nuove grandi scuole, una per ragazzi e un’altra per ragazze, frequentate da circa 1.500 allievi nel 1950. In questi stessi anni, con l’istituzione dello Stato di Israele, tali numeri sarebbero destinati a diminuire drasticamente, scendendo progressivamente dai circa 18mila del 1947 ai 2-3.000 del 1968. Gli anni Settanta avrebbero visto a Meknes una comunità ancora piuttosto vivace, tra le più vitali, per quanto piccola, delle province marocchine. Oggi quella rappresentanza si è ridotta a poche dozzine di persone, ormai sparpagliate su tutto il territorio anche periferico della città ma, come si è visto, ancora pronte ad accogliere gli antichi abitanti e i loro discendenti alla ricerca delle proprie radici.

Camilla Marini
collaboratrice

Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.