Cultura
“Nevsu”, la serie Tv che usa l’ironia contro il pregiudizio

Cosa succede a Tel Aviv se un ebreo etiope sposa un’ebrea ashkenazita? Intervista a Yossi Vasa, co-sceneggiatore e protagonista di una serie dal successo internazionale

Trasmesso per la prima volta nel 2017 sul canale israeliano Channel 2, il successo di Nevsu è cominciato nel 2018, quando ha vinto l‘International Emmy Award come miglior serie televisiva comica. Ma da quando è approdato su Netfix sta varcando i confini di Israele facendo conoscere al mondo una delle comunità che fanno parte di questo Paese, spesso dimenticate dagli stessi israeliani. Stiamo parlando degli ebrei etiopi, giunti in Israele negli anni Novanta grazie alla celebre Operazione Shlomo, predisposta per salavare la comunità degli ebrei etiopi durante gli anni del conflitto tra Eritrea ed Etiopia.
Anche il titolo, “Nevsu”, e’ ispirato ad un termine affettuoso che significa “anima” nella lingua amarica dell’Etiopia, intercalare che si usa ancora oggi tra i giovani israeliani che appartengono alla comunità etiope.
Tra questi Yossi Vasa, co-sceneggiatore e interprete protagonista della serie con il nome di Gili Chalchau, ebreo etiope, che vive a Tel Aviv e lavora nelle pubbliche relazioni, sposato con un’artista, Tamar, interpretata da Meyrav Feldman.

Come si intuisce fin dal primo episodio, pur essendo nato e cresciuto in Israele Gili si trova spesso a essere trattato come un cittadino di “serie B”, come ancora oggi capita agli ebrei etiopi. Eppure, con il sorriso – e molto senso dell’umorismo – Gili affronta la vita quotidiana, con tutte le sue complicazioni – e discriminazioni – da gestire assieme ai suoceri ashkenaziti della moglie.
La storia è liberamente tratta dalla vita reale di Yossi, co-autore della sceneggiatura assieme a Liat Shavit e Shai Ben Attar, che ne è anche il regista.
Con grande sarcasmo – ma al tempo stesso molta profondità – questa serie cerca di mettere in evidenza le differenze culturali della coppia, insieme ai pregiudizi e alle tensioni che il loro matrimonio provoca nelle loro famiglie: dalla madre di Tamar, tipica yidishe mame priva di tatto – interpretata da Hana Laszlo – alla madre di Gili, interpretata da Maski Shivro, che è irremovibile nel seguire e preservare le tradizioni etiopi.

Yossi Vasa

La serie ha riscosso talmente successo da avere avuto un seguito – la seconda stagione – da essere acquistata da un canale televisivo tedesco per un remake in versione europea e ora Fox sta negoziando per un remake in versione americana. Abbiamo intervistato il protagonista e co-autore, Yossi Vasa, per farci raccontare come questo progetto è cominciato e dove potrebbe portare.
Dopo molti anni di carriera teatrale e un progetto di graphic novel intitolato “The last day of Purim” assieme al mio partner, il co-sceneggiatore e regista Shia Ben Attar, abbiamo capito quanto fosse necessario che la storia della comunità etiope raggiungesse il pubblico mainstream attraverso una serie televisiva dal taglio comico, per raggiungere tutte le classi, nazionalità e generazioni di Israele. 

Quanto c’è di vero nella serie TV?
Anche se il protagonista è ispirato a me e alla mia vita, non tutte le storie che raccontiamo mi sono davvero capitate di persona, ma sono spesso episodi di vita, di altri ebrei etiopi, a cui ho assistito con i miei occhi. Sono storie “famigliari”. Per questo il pubblico, a prescindere dalla nazionalità di appartenenza, ci si identifica facilmente. Questo spiega perché i diritti dello show siano stati acquistati in Germania, un Paese con una forte storia di immigrazione.

Quali sono state le maggiori difficolta nel processo di produzione?
Soprattutto all’inizio, trovare un produttore che credesse al potenziale di questo progetto, come poi si è rivelato grazie anche al successo internazionale. Poi abbiamo cominciato e ogni giorno ci siamo trovati di fronte a una nuova difficoltà, spesso inaspettata. Una di queste il titolo. Non riuscivamo a venirne fuori. Fino a quando lo staff, sentendomi parlare al telefono con altri membri della mia comunità e continuando a utilizzare l’intercalare nevsu come per dire “amico” o “fratello” ebbero l’intuizione: usare il gergo locale ma dalla portata universale. 

Come pensi che questa serie TV abbia cambiato la percezione degli ebrei etiopi in Israele?
Ogni artista spera sempre che le sue opere abbiano anche un impatto sociale, se non politico, anche se si trattasse solo di una goccia d’acqua in un oceano. La chiave del successo di questa seria è stato il senso dell’umorismo, affrontare con il sorriso problemi che fanno parte del quotidiano, proprio come faccio nella vita, cercando di strappare un sorriso al pubblico . 
La risata è il miglior antidoto contro il pregiudizio. Diventa possibile affrontare il problema, metterlo sul tavolo, quindi può accelerare il processo di dialogo e di comprensione.

Quali sono i vostri prossimi progetti?
Come ogni altro artista, lavoro sempre a più progetti parallelamente. Ma posso già confessare al pubblico italiano che ora stiamo lavorando non stop per la terza stagione. 

Fiammetta Martegani
collaboratrice

Curatrice presso il Museo Eretz Israel, nasce a Milano nel 1981 e dal 2009 si trasferisce a Tel Aviv per un Dottorato in Antropologia a cui segue un Postdottorato e nel 2016 la nascita di Enrico: 50% italiano, 50% israeliano, come il suo compagno Udi. Collaboratrice dal 2019 per l’Avvenire, ha pubblicato nel 2015 il suo primo romanzo “Life on Mars” (Tiqqun) e nel 2017 “The Israeli Defence Forces’ Representation in Israeli Cinema” (Cambridge Scholars Publishing). Il suo ultimo libro è Tel Aviv – Mondo in tasca, una guida per i cinque sensi alla scoperta della città bianca, Laurana editore.


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