Cultura
La nuova arte israeliana in mostra in Puglia

Con il titolo di “My (Alt) Neuland” arrivano a Lecce, Trani e Polignano dodici artisti per raccontare il Paese oggi, guardando al sionismo proposto da Theodor Herzl. Intervista alla curatrice

Shades of Israel è un grande progetto nato dalla collaborazione tra Israele e la Puglia con l’obiettivo di raccontare la multiforme realtà di Israele attraverso i suoi artisti. E quest’anno la Puglia ospita tre mostre per dodici artisti, ospitati, oltre che nell’ormai noto Museo Ebraico di Lecce, sede delle precedenti iniziative, alla Fondazione Pino Pascali di Polignano e al Castello Svevo di Trani. L’occasione è doppia: un viaggio in Puglia tra luoghi meravigliosi per scoprire gli artisti di questa collettiva diffusa. Ne abbiamo parlato con la curatrice (e nostra collaboratrice) Fiammetta Martegani. Perché il taglio della mostra collettiva è dichiarato sin dal titolo, “My (Alt) Neuland”. Può spiegarci perché ha scelto proprio queso titolo e come ha selezionato glii artisti?
«Ogni mostra ha una sua storia, dal giorno in cui viene concepita al giorno in cui viene realizzata. La storia di questa mostra comincia sabato 6 gennaio, quando, per la prima volta dall’annuncio della cosiddetta “riforma giudiziaria” in Israele – promulgata dalle frange estremiste del governo – i cittadini decidono di scendere in piazza per salvaguardare la democrazia.
Da allora non hanno più smesso per 39 sabati consecutivi, ma fin da quel primo giorno ho sentito e l’esigenza di affrontare l’argomento attraverso l’arte contemporanea e i suoi artisti. Per farlo, sono partita dal primo manifesto del sionismo moderno. Nel 1902 Theodor Herzl, il visionario ideatore dello Stato di Israele, pubblicava un’opera rivoluzionaria, scritta in tedesco, la sua lingua madre: Altneuland, letteralmente “L’antica nuova terra”. In questo manifesto quasi premonitore, illustrava con afflato pionieristico la sua visione politica laica e democratica di uno Stato per il popolo ebraico nella Terra di Israele, sottolineando il valore irrinunciabile di una società aperta, “fondata sull’idea che noi siamo il prodotto comune di tutte le nazioni civilizzate. […] Sarebbe immorale se mai decidessimo di escludere qualcuno da questo progetto, a prescindere dalle proprie origini, opinioni e credenze politiche o religiose. […] C’è un unico modo per farlo: la più totale tolleranza”.
A 120 anni dalla pubblicazione di questo straordinario manifesto politico e culturale, dieci artisti israeliani, che rappresentano i diversi volti di Israele, si interrogano  sulla loro visione, anche alla luce della complessa situazione politica che attraversa il Paese. Gli artisti selezionati sono Paul Curran, Alon Gaash, Dina Goldstein, Colette Leinman, Noa Klagsbald, Lenore Mizrachi-Cohen, Tamara Moyal, Ruth Noam, Addam Yekutieli e infine la videoart e soundscape dell’intera mostra: “Theodor”, l’opera lirica contemporanea prodotta e interpretata dall’ Opera di Tel Aviv».

Un viaggio corale dunque, a partire dal pensiero di Herzl?
«Ciascuno di questi artisti, utilizzando tecniche diverse, e portando con sé una vision diversa, contribuisce a costruire My (Alt) Neuland, un percorso espositivo che si propone di rappresentare il complesso mosaico di Israele oggi, e di come potrebbe essere, attraverso uno sguardo utopico come quello del grande visionario dello Stato di Israele. Tutti assieme, questi artisti tessono un’utopia visiva che rende omaggio all’eredità di Herzl, dando vita ai suoi principi di unità, inclusività e tolleranza. Esplorando le complessità contemporanee, le loro suggestioni diventano anche una testimonianza dell’eredità duratura del sogno di Herzl, rimarcando la sua influenza, in continua evoluzione, nella narrazione e nella costruzione di Israele».

Lenore Mizrachi-Cohen

L’allestimento è pensato anche come un dialogo con gli spazi antichi del museo e la sua storia ebraica leccese?
«Certamente, come nelle mostre precedenti che abbiamo già allestito in questo museo. Non solo, dallo scorso anno il Museo ebraico di Lecce è diventato anche un art residence per ospitare uno degli artisti selezionati tra quelli che hanno partecipato all’edizione precedente. Nell’edizione di quest’anno abbiamo offerto una residenza artistica a  Lenore Mizrachi-Cohen, che l’anno scorso aveva partecipato con una videoart alla collettiva A Very Narrow Bridge e quest’anno, proprio lavorando tra le mura del Museo, ha creato un opera site specific: On home and disappearance. Mizrachi-Coen è un’artista concettuale che usa la sua eredità ebraica siriana come lente attraverso la quale esaminare il cambiamento di identità e culturale. Quest’opera riguarda le conseguenze del non avere un posto sicuro e permanente nella vita. Fa riferimento alla comunità ebraica di Lecce, espulsa dopo l’Inquisizione nel 1500; agli ebrei mediorientali, sottoposti allo stesso processo nel secolo scorso; agli israeliani di oggi, che ancora lottano con questioni irrisolte sin dalla fondazione del loro Paese, nonostante l’utopia immaginata da Herzl quando sosteneva la fondazione di Israele come nazione moderna.
Questi tre temi sono stati esplorati con un’opera unica, site specific, realizzata appositamente per il Museo Ebraico di Lecce. In omaggio all’originaria comunità leccese, nota per il suo lavoro nell’industria tessile, il lavoro è sospeso su telai da ricamo. Facendo riferimento alla storia familiare dell’artista, i fiori catturati dai fili sono fatti di parole arabe come “accettazione”, “permanenza”, “posterità” e “sicurezza”: lussi che queste persone non avevano, come, purtroppo, non hanno gli israeliani oggi».

Tsibi Geva

Ci sono poi due mostre personali. La prima è dedicata a Tsibi Geva, un pilastro dell’arte israeliana, già noto per la sua partecipazione alla Biennale di venezia del 2015. Oggi cosa racconta di Israele e qual è il suo rapporto con il Paese?
«Presso la Fondazione Pino Pascali di Polignano presentiamo una mostra personale di Tsibi Geva, uno dei più rinomati artisti israeliani di fama internazionale, con 50 anni di carriera alle spalle che a breve inauguererà una mostra presso il MOMA di New York. Quando gli abbiamo offerto di aprire una mostra a Polignano non ha resistito, non solo per lo splendore della cittadina pigliese, ma anche per il contesto specifico offerto della Fondazione Pino Pascali, uno dei più grandi esponenti dell’arte povera su scala internazionale e punto di riferimento artistico per lo stesso Tsibi Geva. La mostra è una retrospettiva di lavori dell’artista intitolata Terra Infirma. Il titolo sta ad indicare lo stato di precarietà che domina non solo la politica e la vita quotidiana di Israele, ma di tutti noi, specie in questi giorni così delicati per l’Europa e il Mediterraneo, luogo, da sempre, di incontro tra culture, tema centrale in tutta l’opera di Geva. Anche dal punto di vista stilistico, in questa mostra Geva riunisce la sua visione universale del mondo, con un tocco molto mediterraneo come lo stile a “terrazzo”, tipico sia dell’architettura israeliana che di quella italiana. Il “terrazzo”, infatti, nel mondo di Geva non risulta solo una tecnica stilistica, ma anche uno stato d’animo, che permette all’artista, così come all’osservatore, di perdersi in una stratificazione, una terra infirma, di pratiche e di sentimenti».

Maria Saleh

L’altra personale è dedicata a Maria Saleh, un’artista molto particolare, sia per la sua storia personale sia per il suo modo fare arte. Perché hai scelto lei? Qual è il suo sguardo su Israele e quale messaggio universale trasmetterà al pubblico pugliese?
«Scelta diametralmente opposta – ma al tempo stesso complementare a  Tsibi Geva – quella di dedicare una solo exhibiton ad una giovane artista donna: Maria Saleh, la cui opera colossale, di 4 metri di altezza e 11 di lunghezza, è esposta nella splendida sede del Castello Svevo di Trani. Da anni seguo il lavoro di Maria, esposto tra i più prestigiosi musei e gallerie di Israele.
Quando quest’anno ha vinto il premio Rapoport come miglior artista israeliana del 2023 ho pensato immediatamente che non potesse mancare un’artista del suo calibro all’interno di una manifestazione di così ampio respiro come “Shades of Israel”.
Maria, infatti, figlia di padre arabo israeliano di origine musulmana e di una madre ucraina di origine cristiana, rappresenta, a 360 gradi, la complessità ma anche la ricchezza di Israele. E lo fa anche attraverso la sua arte: lavora con il suo corpo direttamente sulla tela, imprimendone tracce a carboncino, il suo strumento principale, che è anche materia della sua terra, Um-el Fachem, la città in cui è nata, che in arabo significa “terra del carbone” ed è, ancora oggi, uno dei maggiori fornitori di carbone per l’intero Israele. Il lavoro di Maria, un murales di 11 metri lunghezza e 4 di altezza, è un’opera tanto locale quanto universale. Racconta la complessità di Israele, Paese costituito da ebrei, da arabi ma anche da immigrati, come sua madre – Ludmilla, a cui l’opera è dedicata – che è arrivata in Israele dall’Ucraina, come possiamo riconoscere anche dalle scritte in cirillico e dall’orsetto mascotte delle olimpiadi che si tennero proprio in Ucraina: ricordi della sua infanzia e delle sue ricorrenti vacanze in quel paese prima che, lo scorso anno, cominciasse il drammatico conflitto russo-ucraino, ancora in corso.
Il conflitto, incluso quello arabo-israeliano, è un tema ricorrente in tutte le opere di Maria che, tuttavia, nel mondo quasi fatato da descrive nei suoi lavori, lascia spazio anche all’utopia. Come quella su cui venne fondato lo Stato di Israele e su cui riflettono tutti i 12 artisti ospitati in Puglia sotto l’ombrello di questo grande progetto che è Shades of Israel».

Alon Gaash

Tre mostre da vedere in Puglia, inaugurate durante la festa di Sukkot. Perché questa scelta?
«Durante Sukot il popolo ebraico, in tutto il mondo,  si riunisce sotto una capanna di palme, come un tempo avveniva nel deserto, per celebrare il valore dell’amicizia e della fratellanza. Come quella, ormai consolidata, tra Israele e Puglia.
Aldilà dei rapporti millenari tra questi due grandi popoli del Mediterraneo, è ormai dal 2021 che ogni anno la Regione Puglia promuove, attraverso l’arte, un consolidato rapporto diplomatico, commerciale e culturale tra questi due Paesi.
E la festa di Sukkot ci sembrava un’ottima occasione per inaugurare le tre mostre raccolte sotto la grande “capanna” del progetto “Shades of Israel”. Non solo per gli italiani, perché il turismo israeliano in Puglia è in espansione. Sempre più persone infatti stanno scoprendo la regione italiana e le festivita’ di Sukot potevano essere una buona occasione per visitare la Puglia e  i luoghi della memoria del popolo ebriaco in questa terra meravigliosa».

Il pubblico pugliese ormai è avvezzo a incontrare proposte artistiche da Israele. Qualche sogno nel cassetto?
«Il rapporto di mutua collaborazione tra Israele e Regione Puglia è cominciato nel 2021 in occasione della mostra Dalla terraferma alla Terra Promessa, ospitata presso il Museo Ebraico di Lecce, che raccontava il ruolo centrale che ha avuto la Puglia nell’accogliere i sopravvissuti alla Shoah, negli anni successive alla Seconda Guerra Mondiale, in attesa di raggiungere il nascente Sato di Israele. Fin da subito questa mostra ha intensificato i rapporti – sia diplomatici che economici che culturali tra queste due sponde del Mediterraneo – tanto da realizzare l’anno successivo, sempre presso il Museo Ebraico di Lecce, la mostra collettiva A very narrow bridge, la prima mostra collettiva di arte contemporanea israeliana che ha avuto un tale successo da partecipare, questo novembre, alla Biennale di Gerusalemme. Non stupisce che altri musei pugliesi abbiano accolto il progetto “Shades of Israel” a braccia aperte e, assieme al Museo Ebraico di Lecce, promotore del progetto, e Pugliapromozione, partner fondamentale nella sua realizzazione. Andremo avani, per raggiungere un obiettivo importante: fare della Puglia e dei suoi musei un grande laboratorio di sperimentazione per l’arte israeliana contemporanea».

Le mostre sono visitabili fino al 3 marzo 2024 presso il Museo ebraico di Lecce, Castello Svevo di Trani, Fondazione Pino Pascali a Polignano

 

Micol De Pas

È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.


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